Mi sono molto divertito con la storia degli imbecilli del web. Per chi non l’ha seguita, è apparso on line e su alcuni giornali che nel corso di una cosiddetta “lectio magistralis” a Torino avrei detto che il web è pieno di imbecilli. È falso. La “lectio” era su tutt’altro argomento, ma questo ci dice come tra giornali e web le notizie circolino e si deformino.
La faccenda degli imbecilli è venuta fuori in una conferenza stampa successiva nel corso della quale, rispondendo a non so più quale domanda, avevo fatto un’osservazione di puro buon senso. Ammettendo che su sette miliardi di abitanti del pianeta ci sia una dose inevitabile di imbecilli, moltissimi di costoro una volta comunicavano le loro farneticazioni agli intimi o agli amici del bar - e così le loro opinioni rimanevano limitate a una cerchia ristretta. Ora una consistente quantità di queste persone ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni sui social networks. Pertanto queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli.
Si noti che nella mia nozione di imbecille non c’erano connotazioni razzistiche. Nessuno è imbecille di professione (tranne eccezioni) ma una persona che è un ottimo droghiere, un ottimo chirurgo, un ottimo impiegato di banca può, su argomenti su cui non è competente, o su cui non ha ragionato abbastanza, dire delle stupidaggini. Anche perché le reazioni sul web sono fatte a caldo, senza che si abbia avuto il tempo di riflettere.
È giusto che la rete permetta di esprimersi anche a chi non dice cose sensate, però l’eccesso di sciocchezze intasa le linee. (...)
Come filtrare? Ciascuno di noi è capace di filtrare quando consulta siti che riguardano temi di sua competenza, ma io per esempio proverei imbarazzo a stabilire se un sito sulla teoria delle stringhe mi dica cose corrette o meno. Nemmeno la scuola può educare al filtraggio perché anche gli insegnanti si trovano nelle mie stesse condizioni, e un professore di greco può trovarsi indifeso di fronte a un sito che parla di teoria delle catastrofi, o anche solo della guerra dei trent’anni.
Rimane una sola soluzione. I giornali sono spesso succubi della rete, perché ne raccolgono notizie e talora leggende, dando quindi voce al loro maggiore concorrente - e facendolo sono sempre in ritardo su Internet. Dovrebbero invece dedicare almeno due pagine ogni giorno all’analisi di siti web (così come si fanno recensioni di libri o di film) indicando quelli virtuosi e segnalando quelli che veicolano bufale o imprecisioni. Sarebbe un immenso servizio reso al pubblico e forse anche un motivo per cui molti navigatori in rete, che hanno iniziato a snobbare i giornali, tornino a scorrerli ogni giorno. (...)
*** Umberto ECO, 1932, semiologo, filosofo, saggista, scrittore, Un appello alla stampa responsabile, 'L'Espresso', 26 giugno 2015
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