lunedì 28 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Non possiamo fare niente (Manuela Toto)

Non possiamo fare niente.
O possiamo fare tutto.

Possiamo bonificare il cuore
da odio, rancore e disprezzo.

Ognuno nel suo cuore sa dove ha nascosto la sua guerra.
Tiratela fuori e siate severi.

Il cuore di ognuno fa il cuore dell’umanità.

*** Manuela TOTO, psicologa, consulente familiare, facebook, 24 febbraio 2022, qui

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#VIGNETTE / Dove sono i 'pacifisti'? (Mauro Biani)

Mauro BIANI, 1967
'la Repubblica', 25 febbraio 2022, via facebook, qui

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domenica 27 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Pomeriggio di neve (Olav H. Hauge)

Getta via la tua oscurità e sarai ricco.
Come una sera dopo la neve.
Il campo è ricco, e la brughiera,
ovunque aghi di pino,
e le case sono ricche, sicure
per la vita e il calore.
La terra addormentata conosce
il proprio splendore.
Le sopracciglia brinate del cielo
sono piene di stelle

*** Olav H. HAUGE,  1908-18994, poeta norvegese, Pomeriggio di neve, traduzione di Fulvio Ferrari, da La terra azzurra, Crocetti Editore, 2008, in 'il canto delle sirene',  27 febbraio 2022, qui


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#PIN / Il conflitto (MasFerrario)


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#VIGNETTE / Intanto al Cremlino (Natangelo)

NATANGELO, 1985
'il Fatto Quotidiano', 25 febbraio 2022, via facebook qui


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sabato 26 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Se il tuo cuore fosse un prato (Francesca Bottari)

Se il tuo cuore fosse un prato
entrerei a piedi
nudi, 
mi sdraierei e 
ferma ascolterei
ogni 
singolo
battito.
Di vita.

*** Francesca BOTTARI, facebook, 19 febbraio 2022, qui


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#VIGNETTE / Scambio (Ruben L. Oppenheimer)

Ruben L. OPPENHEIMER
facebook, 24 febbraio 2022, qui

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venerdì 25 febbraio 2022

#SPILLI / Putin e noi, basta! (Massimo Ferrario)

Ho sempre provato ribrezzo e paura per uomini come Putin: autocrati prigionieri di io grandiosi capaci di tutto. 

La guerra di aggressione all’Ucraina (trasformata, nella 'vecchia-nuova' neolingua orwelliana, in una banale e asettica ‘operazione speciale’), con relativa invasione per ‘denazificare il Paese’ (una 'proiezione', si direbbe in psicologia), ne è la riprova eclatante. 

Ci si sorprende: ma non ci si dovrebbe sorprendere. 

E comunque, dopo aver sottoscritto tutta la possibile lista di qualificazioni negative per giustamente stigmatizzare i leader patologici che fanno gli zar imperialisti del XXI secolo, mi sia consentito provare un’analoga nausea per la canea di retorica a difesa dei valori democratici che si leva da tutto il mondo. 
La disonestà intellettuale è la causa prima di quello sfascismo globale di principi, valori, idee e comportamenti  che sta intossicando il pianeta e l’Occidente in particolare. 

Che gli Usa gridino agli stupri perpetrati nei confronti di altre nazioni è il massimo della malafede: avremo la memoria del pesciolino rosso, ma qualcosa in testa non si cancella. 
E solo per andare a un unico ricordo, tralasciandone altri anche più recenti che riguardano il nostro mondo, retoricamente sempre tanto ricco di 'idealità' sgargianti e salvifiche (pensiamo a Afghanistan, Iraq, Libia, Somalia, ex Jugoslavia...), viene in mente Henry Kissinger, quando nel 1973 giustificava il colpo di stato in Cile, favorito dagli Usa, nel nome della difesa degli interessi nazionali americani e fingendo di preoccuparsi dei poveri cileni ritenuti irrimediabilmente irresponsabili. Candido e spudorato (quindi, almeno lui, senza quella melensa ipocrisia che oggi ci annega), diceva: «Non vedo alcuna ragione per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli». 

‘Nessuno è innocente’ non è una comoda espressione da aria fritta usata per nascondere le responsabilità di ognuno. 
E’ un modo, invece, per esaltare le proprie responsabilità: non scaricare le colpe ad altri e assumersele in proprio. 
Magari per tentare, in futuro, con un sovrappiù di auto-consapevolezza conquistata, se non di essere innocenti al 100% (impresa da santi), di essere meno colpevoli. 
E, soprattutto, per provare a smettere, oggi, subito, di essere assassini. E 'criminali di guerra'.

Dovrebbe valere per tutti: per i comuni mortali senza potere, ma soprattutto per chi è a capo di democrature o di democrazie
Queste ultime, peraltro, sempre meno democrazie e sempre più oligarchie e plutocrazie che le fanno assomigliare alle prime. Con una sola differenza: che ci sommergono, ogni giorno che passa, di retorica falsa e insopportabile sulla democrazia. Mentre le democrature, senza infingimenti, se non altro si vantano di essere quello che sono.

*** Massimo Ferrario, Putin e noi, basta, per 'Mixtura' 


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#SGUARDI POIETICI / L'ultima candela (Damiano Andriolo)

E' sera.
La fioca luce dell’ultima candela
proietta nella stanza
un’ombra tremula, inquieta.
Si consuma nel silenzio,
lacrime di cera scendono,
sa già che la sua ora s’avvicina.
E la fiamma s’alza, altera,
come a voler scolpire sulle pareti
ciò che resta di sé a futura memoria.
Un ultimo sussulto,
si spegne, e un fil di fumo
s’alza lentamente verso il cielo.


*** Damiano ANDRIOLO, L'ultima candela, da Arpeggi d’autunno, Interno Libri Edizioni, 2022, in 'internopoesia', 21 febbraio 2022, qui


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#FAVOLE & RACCONTI / Il serpente in ospedale (Massimo Ferrario)

Primo colloquio con un paziente entrato in ospedale psichiatrico da neanche una settimana. 
«Buon giorno, signor Follegatto. Sono il dottor De Mentis. E' il nostro primo incontro. Se le va, ne avremo molti altri. Ci conosceremo e la aiuterò a superare il momento difficile che sta vivendo.»

Il paziente, serio e sulle sue, fa un cenno distratto di saluto: vuole comunicare una sua disponibilità sospettosa. 
Il medico prosegue. «Allora: mi racconti di lei. Io la ascolterò con attenzione. Forse c'è qualche problema di cui mi vuole parlare?»

Il paziente fa trasparire un sorriso forzato, senza aprire bocca: nessuna reazione. 
Il dottore non vuole premere. Il silenzio pesa nell'aria, ma il dottore ci è abituato. 
Dopo oltre cinque minuti, De Mentis decide di rompere il ghiaccio. 
«Signor Follegatto, mi vuole intanto dire come si trova in questo ospedale? C'è qualcosa che magari non le piace o la disturba?».

Il paziente si mostra colpito. Si infiamma. 
«Finalmente!» dice, muovendosi sulla sedia. «Finalmente ho trovato qualcuno che se ne accorge». 
Il dottore fa una faccia stupita. 
«Finalmente cosa?»
«Il serpente».
«Il serpente?».
«Nella mia camera. Ogni mattina, appena mi sveglio. E poi dopo pranzo. E pure la sera, prima di coricarmi. Tre volte al giorno»
«Scusi signor Follegatto, mi faccia capire. Cosa succede? C'è un serpente in camera sua?».
«Per fortuna no. Ma ogni volta è un fastidio».
«Ah, beh’, meno male: quindi mi sta dicendo che non c'è un serpente…».
«No. Però tre volte al giorno devo strisciare sul pavimento, guardare sotto il letto, poi alzarmi e battere le mani. E gridare di non farsi vedere. Anche lei sarà d’accordo che un serpente in ospedale non ci deve stare. Non è igienico. E poi è pericoloso: per via del veleno. E se ti soffoca, magari nel sonno?».
«Be', certo. I serpenti stanno nelle foreste. O tutt'al più negli zoo. Mica in un ospedale. E infatti anche lei mi ha appena detto che non ha serpenti in camera».
«E' così, dottore. Però, abbia pazienza: questa storia deve finire. Non ne posso più. Tre volte al giorno. Appena sveglio. Poi quando torno in camera dopo pranzo. E infine la sera prima di addormentarmi. Chinarmi, strisciare per terra, guardare sotto il letto, batter le mani e gridare di non farsi vedere».

De Mentis è pensieroso. Rimugina. Non riesce ad afferrare il problema.
«Guardi, signor Follegatto, intanto la ringrazio della sua confidenza. Ma mi tranquillizzi: lei  non vede serpenti in questo ospedale, vero?».
«Certo che non li vedo. E ci mancherebbe pure che questi maledetti serpenti li dovessi vedere girare per l'ospedale».
«Ma allora, se non ci sono serpenti, il problema non esiste».
«Lo dice lei».
«Perché lo dico io? Non lo sta confermando anche lei?».
«Io le sto dicendo che non ho più voglia di occuparmi di questo maledetto serpente. Per l’ospedale è comodo: se ne lava le mani». 
«Ma scusi: se lei ammette che in ospedale non ci sono serpenti, da domattina può smettere di strisciare sul pavimento, guardare sotto il letto e battere le mani».
«Bravo. E se non faccio queste operazioni tre volte al giorno, lei è sicuro che non mi ritrovo il serpente in camera?».

*** Massimo Ferrario, Il serpente in ospedale, per 'Mixtura' - Libera riscrittura di una barzelletta.


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#VIGNETTE / Noi con Dio (Mauro Biani)

Mauro BIANI, 1967
'la Repubblica', 24 febbraio 2022, via facebook, qui

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giovedì 24 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Mio padre mi diceva che per fare felice una donna (Gio Evan)

Mio padre mi diceva che per fare felice una donna
Non ci vuole molto
Ma ci vuole molto

Cioè, si spiegava meglio
Non ci vuole molto impegno, mi diceva
Ma ci vuole molta passione
Non ci vogliono molti soldi
Ma ci vuole un sacco di creatività

Per vedere se la donna che hai accanto sta bene
Tu portala a passeggiare, mi diceva
Portala nei vicoli della città
Portala a guardare le cose piccole
Come le vecchiette che annaffiano dai balconi
Che poi le passeggiate
Aiutano pure ad innamorarsi di più, mi diceva
Perché quando si cammina
I pensieri stupidi scorrono via
Rimane solo il giorno
Rimane solo il presente, la bellezza di questo momento
Rimanete solo voi due

Poi portala a fare un aperitivo, mi diceva
Quella sarà la prova del nove
Fate un bell'aperitivo insieme
Riposatevi dalla passeggiata
Bevete, mangiate, ridete
Diamine, falla ridere

E se dopo l'aperitivo ti dice
Oh, io ho ancora fame, andiamo a cena?
Ecco, se ti dice così
Allora significa che quella persona
Sta davvero bene con te

È felice, mi diceva
Perché una donna
Quando sta bene
Ha sempre fame

*** Gio EVAN (Giovanni Giancaspro), 1988, scrittore e poeta, umorista, performer, cantautore, artista di strada, facebook, 14 febbraio 2022, qui
http://www.gioevan.it/biografia/


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#VIGNETTE / Un'arca di Noè senza l'uomo (GianLorenzo Ingrami)

GianLorenzo INGRAMI
facebook, 23 febbraio 2022, qui

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mercoledì 23 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Sono stanca (Francesca Bottari)

Sono stanca
della maniacale ricerca
della felicità. Tutto
questo gran da fare
quando basta fermarsi
a guardare. Un petalo
è la combinazione giusta
di gioia
e caduta. Dove c’è troppa allegria
dimora tristezza, e un petalo
insegna
quello che un pagliaccio incarna. L’allegria
e la tristezza. E là, in mezzo
lungo le braccia aperte
di un funambolo, inizia la felicità. Dove scorre
l’equilibrio. Paura e gioia
di camminare verso un orizzonte
su una corda dritta e tesa
sopra una rete di coraggio
sapendo che poi
la felicità
è solo una questione 
di equilibrio, e stabilità.

*** Francesca BOTTARI, facebook, 22 gennaio 2022, qui


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#MOSQUITO / E venne il tempo della venalità generale (Karl Marx)

Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato (objet d’échange, de trafic et pouvait s’aliéner); il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio (tout enfin passa dans le commerce). È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore (pour être appréciée à sa plus juste valeur). 

*** Karl MARX, 1818-1883, filosofo, economista, storico, sociologo, giornalista tedesco, Miseria della filosofia, 1846-1847


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#VIGNETTE / Scusi, a che ora inizia la guerra? (Fabrizio Fabbri)

Fabrizio FABBRI (Bicio)
facebook, 21 febbraio 2022, qui

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martedì 22 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Forse non essere è esser senza che tu sia (Pablo Neruda)

Forse non essere è esser senza che tu sia,
senza che tu vada tagliando il mezzogiorno
come un fiore azzurro, senza che tu cammini
più tardi per la nebbia e i mattoni,

senza quella luce che tu rechi in mano
che forse altri non vedran dorata,
che forse nessuno seppe che cresceva
come l'origine rossa della rosa,

senza che tu sia, infine, senza che venissi
brusca, eccitante, a conoscer la mia vita,
raffica di roseto, frumento del vento,

e da allora sono perché tu sei,
e da allora sei, sono e siamo,
e per amore sarò, sarai, saremo.

*** Pablo NERUDA, 1904-1973, poeta, diplomatico e politico cileno, da Cento sonetti d'amore, 1960, traduzione di Giuseppe Bellini, in 'il canto delle sirene', 14 febbraio 2022, qui
https://it.wikipedia.org/wiki/Pablo_Neruda


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#VIGNETTE / Campo largo (Natangelo)

NATANGELO
'il Fatto Quotidiano', 20 febbraio 2022, via facebook, qui

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lunedì 21 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Gli ultimi istanti prima di una guerra (Federico Pichetto)

Gli ultimi istanti prima di una guerra
sono attimi preziosi.
Infatti, se fai bene attenzione,
in questo cupo silenzio
potresti sentir piangere la pace
L’uomo vero non è chi attacca,
l’uomo vero è chi sa fermarsi
ad ascoltare quel pianto.

*** Federico PICHETTO, facebook, 19 febbraio 2022, qui


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#HUMOR / Do solo un'occhiata (Davide Viviani)


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#VIGNETTE / Azione, si gira! (Stefano Rolli)

Stefano ROLLI
facebook, 19 febbraio 2022, qui

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domenica 20 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Siamo uccelli (Alessandro Bergonzoni)

Siamo uccelli
e saremo quel che voliamo,
migrando tra una ramo di pazzia
e l'altro.

**Alessandro BERGONZONI, 1958, scrittore, autore e attore teatrale, comico, rubrica 'il pensiero del giorno', 'Robinson', 19 febbraio 2022


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#PIN / E finiamo per chiamare vita (MasFerrario)


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#VIGNETTE / Mani Pulite, ti ricordi 30 anni fa? (Mauro Biani)

Mauro BIANI, 1967
https://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_Biani
'la Repubblica', 18 febbraio 2022, via facebook, qui


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venerdì 18 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Invecchiando (Hermann Hesse)

E' facile essere giovane e agire bene, 
e tenersi lontano da ogni meschinità; 
ma sorridere, quando già rallenta il battito del cuore,
questo va appreso. 

E colui che vi riesce non è vecchio. 
Ama ancora appassionatamente 
e unisce con la forza della mano 
i poli del mondo. 

Poiché vediamo là la morte in attesa, 
non fermiamoci. 
Le andremo incontro, 
la scacceremo. 

La morte non è ne là ne qui, 
è su tutti i sentieri. 
È in te e in me, 
non appena tradiamo la vita.

*** Hermann HESSE, 1877-1962, scrittore, poeta, filosofo, pittore tedesco naturalizzato svizzero, premio Nobel per la letteratura nel 1946,
Invecchiando, da Hermann Hesse, Le stagioni della vita, Mondadori, 1988


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#VIGNETTE / 30 anni fa, Mani Pulite (Natangelo)

NATANGELO, 1985
'il Fatto Quotidiano', 17 febbraio 2022, via facebook, qui

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giovedì 17 febbraio 2022

#FAVOLE & RACCONTI / Il suono della campana (Massimo Ferrario)

Kung-Fu, il direttore del piccolo monastero di montagna, chiamò il giovane novizio, Li-Pen. Decise che non si sarebbe più occupato della campana, ma del rifornimento quotidiano di acqua e legna.

Li-Pen chinò il capo, ma non nascose la sua insoddisfazione. "Mi piaceva suonare la campana. Lo considero un compito importante: perché è il rito che ci accompagna nella giornata. Ci aiuta a ritmare le ore e ci tocca l'anima. Placa il nostro pensare, spesso confuso e ripetitivo, e ci apre al Cielo. Il suo suono è una risonanza che ci ispira."

"Condivido perfettamente, caro Li-Pen. E' questo, sono sincero, che un po' è mancato nella tua prestazione. Che era, appunto, una prestazione: precisa, anche perfetta. Ma sempre e solo una prestazione. La domanda che ogni volta mi facevo, sentendo la ‘tua’ campana, era dove tu fossi. Ti sentivo fuori: esterno, non partecipe. Per questo, e non certo per punirti, credo che, almeno per un po' di tempo, sarà meglio che tu ti dedichi ad altre attività, del resto anche queste fondamentali per la nostra vita giornaliera. Come faremmo a lavarci e a scaldarci senza acqua e senza legna?” 

Li-Pen non voleva contestare, solo spiegare. "Ho sempre cercato di essere puntuale, Kung-Fu. Non ho mai dimenticato un turno. Credevo di fare bene il mio lavoro. Sono dispiaciuto: ma se questo è il tuo volere, così sia." Kung-Fu sorrise, benevolente: la giustificazione addotta dal giovane lo confermava nella scelta. 

Il giovane venne sostituito da Li-Wu, il monaco più anziano. 

Dopo un mese, il direttore chiamò Li-Pen e Li-Wu. "Volevo ringraziare Li-Wu per l'impegno che in questi trenta giorni si è aggiunto alle sue normali incombenze. Anche per questo, come gli avevo preannunciato un mese fa, da ora la cura della campana non sarà più sua.” 

Il direttore interpellò poi Li-Pen. "Da un mese Li-Wu ci ha ispirato con il suono giornaliero della campana. Quali sono state le tue emozioni?"

Li-Pen era entusiasta. "Ho provato emozioni che non credevo possibili, Kung-Fu. Mai avevo sentito un suono così pieno e rotondo, una vibrazione così intensa, profonda, pura. Tutta la mia anima è stata come invasa ogni volta da quel suono. Si dice che nella campana, quando è magicamente fatta suonare, c'è la voce di un dio. Devo ringraziare il confratello Li-Wu: ogni volta era come se un dio mi toccasse le corde che ho annodate dentro di me e le sciogliesse, lasciandole libere di volare oltre ogni confine. E' stata un'esperienza unica. Davvero." 

Li-Wu era imbarazzato: non era abituato alle lodi e si schermì. "Eseguivo solo il compito che mi era stato assegnato. Tutto qui."

Il giovane, accalorandosi, intervenne subito per dissentire. "E' proprio questo il punto, caro Li-Wu. Non c'è stata, da parte tua, esecuzione di un compito. Ero io che tentavo di eseguire un compito. Ma suonare la campana è altro. L'ho sentito, e l'ho appreso, ma prima ancora l'ho visto. Grazie a te".

Kung-Fu fu sorpreso: "L'hai visto?" 

"Certo. Li-Wu non si è accorto, ma più volte ho spiato per cercare di carpirgli il segreto. Di nascosto sono salito sulla torre e ho assistito alla sua preparazione: l'inchino prima dei rintocchi, come per rispettare il suono che poi la campana avrebbe dovuto emanare; il momento di raccoglimento con cui riempiva preventivamente la sua anima del tocco che si accingeva a battere; la concentrazione esclusiva e totale su ciò che si accingeva a fare... Da fuori tutto questo può apparire una semplice procedura formale, invece è sostanza. E' quello che fa accadere ciò che poi accade. Quando la campana risuona nell'anima di chi la ascolta e ti senti trasportato oltre la terra: lassù verso il Cielo. Dove vibra la purezza profonda e rotonda della voce che evoca il divino." 

Kun-Fu abbracciò Li-Pen. "Hai detto cose che sento ti sono venute da dentro. Adesso so che sei pronto per suonare davvero la campana."

*** Massimo Ferrario, Il suono della campana, per ’Mixtura’ - Libera riscrittura di un testo di ispirazione zen.


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#VIGNETTE / Mi impressiona l'evoluzione (Mauro Biani)

Mauro BIANI, 1967
'la Repubblica', 16 febbraio 2022, via facebook, qui

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mercoledì 16 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Non basta la sintassi (Massimo Salvadori)

Non basta la sintassi
ordinare pane e latte dal droghiere
fare deduzioni dalle nubi della sera
sapere se domani piove.
Ci vuole vita sufficiente
coniugare il presente 
ancora col futuro
avere il tempo necessario
di imparare.

*** Massimo SALVADORI, insegnante e poeta, facebook, 12 febbraio 2022, qui


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#MOSQUITO / Ho chiuso con le grandi cose e i grandi progetti (William James)

Ho chiuso con le grandi cose e i grandi progetti, le grandi istituzioni e i grandi successi. Sono per quelle piccole, invisibili, amorevoli, forze umane che operino da individuo a individuo, strisciando tra le fessure del mondo come tante piccole radici, o come il capillare trasudìo dell'acqua, che, se gli vien dato tempo, perforerà in due i più forti monumenti dell'umano orgoglio. 

*** William JAMES, 1842-1910, psicologo statunitense di origine irlandese, citato in Rosamund Stone Zander e Benjamin Zander, L’arte del possibile, 2000, Il Sole 24 ore, Milano, 2001.


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#VIGNETTE / Eutanasia, bocciato il referendum (Natangelo)

 
NATANGELO, 1985
facebook, 15 febbraio 2022, qui

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martedì 15 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / A corte c'è grande costernazione (Otoko Shiranami)

A Corte c'è grande costernazione 
Perché è malato l'Imperatore. 
Sgrida e scaccia tutti, 
Minaccia, li richiama. 
Come lepri spaventate 
Da un'eclisse di luna 
Sono fuggiti nei boschi 
Ministri e capitani. 

Le brume coprono ogni giorno 
La cima bianca del Fugi. 
Nella baia di Edo, 
Takeda il pescatore 
Prepara come ogni giorno le reti: 
«Anche oggi qualcosa acchiapperò ». 

*** Otoko SHIRANAMI, 1868-1912, danzatrice e poetessa giapponese dell'epoca Meijj, citata in Guido Ceronetti, Tra Pensieri, Adelphi, 1994


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#MOSQUITO / Fine per cecità mentale (Guido Piovene)

Non finirà per uno scoppio, come credono gli imbecilli, né per malattie nuove inventate dalla natura, né per l'inquinamento delle acque e dell'aria. Per finire così, bisogna essere ben Vitali! No, non succede niente, e il mondo tanto più finisce quanto meno ce ne accorgiamo. Si svuota, si devitalizza, cessa di capirsi, entra in coma. Un corpaccio decerebrato. Muore senza dolore, in modo anemico, leucemico, senza averne coscienza. Muore senza visioni, finite le utopie. In un'assoluta mancanza di visioni, al margine della cecità mentale. Uno degli aspetti più di fine di questa fine è che forse non sarà intera, lascerà ancora indietro qualche piccola scoria. 

*** Guido PIOVENE, 1907-1974, giornalista e scrittore, Verità e menzogna, 1975, in Guido Ceronetti, Tra pensieri, Adelphi,1994


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#VIGNETTE / Scherzare col fuoco (Lele Corvi)

Lele CORVI
'il manifesto', 13 febbraio 2022, via facebook, qui

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lunedì 14 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Lacerti (Andrea Galli)

Avrei voluto scriver
versi scabri ed essenziali
lievi drappi di seta
canti di primavera.

L’avrei intitolato a te il mio sforzo.
Ma
mai ho saputo scrivere
incarnare l’assenza
organizzare questi
lacerti di memoria
nella forma di un verso.
Ora come allora, ci giro intorno.

*** Andrea GALLI, 1987, Lacerti, in 'poeticon', 12 febbraio 2022, qui


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#FAVOLE & RACCONTI / Lo stregone e il legame d'amore (Massimo Ferrario)

Dopo un anno di felice convivenza, Luna Piena e Piccolo Bisonte erano pronti: si amavano di un amore limpido e intenso e ormai erano desiderosi di celebrare la loro unione davanti a tutta la tribù, secondo i riti che nel loro popolo da sempre consacravano i legami di coppia, benedetti dal Grande Spirito e festeggiati da tutta la comunità.
Ma prima di far questo, decisero di interrogare Occhio Sapiente, lo stregone che era considerato il saggio che conosceva ogni risposta.

I due innamorati giunsero alla tenda dello stregone tenendosi teneramente per mano. Occhio Sapiente, come ogni mattina, si era alzato all'alba e in quel momento era seduto fuori dalla tenda, con le gambe incrociate: guardava un batuffolo di nuvola all’orizzonte e ispirava l'aria con regolarità, quasi volesse farsi entrare il cielo intero nel petto. 
Luna Piena e Piccolo Bisonte attesero, immobili e silenziosi, che lo stregone completasse la sua meditazione. 

Quando Occhio Sapiente, accortosi della loro presenza, girò lo sguardo e li vide, fu Luna Piena a parlare. 
«Ti chiediamo scusa, Occhio Sapiente. Non volevamo interrompere il tuo sacro momento di ispirazione. Ma Piccolo Bisonte ed io abbiamo un grande problema e tu solo puoi darci il consiglio giusto.»
Lo stregone, a differenza di molti suoi colleghi di altre tribù, era affabile e disponibile. Allargò il viso in un sorriso: «E' il cielo che mi dà l'ispirazione per tentare di rispondere alle domande della terra. Ma per rispondere a chi mi chiede, devo smettere di guardare il cielo: in questo caso, ad esempio, devo guardare e ascoltare voi. Quindi non vi debbo perdonare, cari giovani, perché mi riportate a terra: ditemi tutto. Soltanto, non fatemi più sapiente di quanto so: principio fondamentale cui cerco di attenermi da una vita è quello evitare la tracotanza, che ti fa credere di essere ciò che non sei.».

I due giovani si sentirono incoraggiati. 
Piccolo Bisonte pose la domanda. «Noi oggi ci amiamo come mai avremmo creduto possibile e vogliamo continuare ad amarci così anche domani. Ma sappiamo che è difficile: basta guardare molti adulti della tribù. Anni fa si amavano come noi e ora si odiano come mai avrebbero pensato; oppure sono insieme senza esserlo. C'è un modo per evitarlo, Occhio Sapiente?»

Lo stregone si commosse: come non provare dolcezza di fronte a quel legame fresco e sincero che chiedeva di conservarsi così per sempre? 
Poi si preoccupò: ci tenne a moderare le attese. «Cari giovani innamorati, ignoro la riposta sicura e non ho un consiglio risolutivo: soltanto vi proporrò una riflessione. Prima, però, chiedo ad ambedue di assolvere un compito per ognuno: saranno impegnativi e faticosi così come è sempre impegnativa e faticosa una relazione che voglia restare viva e non morire nella ripetitività».

«Siamo disposti a tutto, Occhio Sapiente, e ti obbediamo», assicurarono in coro i due giovani.
«E allora ecco ciò che vi chiedo. Tu, Luna Piena, dovrai scalare la Montagna del Nord, là dove volano i falchi. Avrai con te una rete e solo con questa dovrai catturare il falco più bello e vigoroso. E tu, Piccolo Bufalo, dovrai scalare la Montagna dei Lampi, là dove volteggiano le aquile reali e solo con la tua rete catturerai l'aquila più bella e imponente. Tornerete da me con i due animali il terzo giorno di luna crescente. Poi osserverete con attenzione quanto accadrà».

I giovani chinarono il capo in segno di assenso, senza chiedere ragione di quella strana prova e obiettare nulla. Ringraziarono lo stregone, si diedero un bacio veloce, corsero nelle tende a procurarsi le reti e partirono subito per la missione.

La caccia fu come previsto: non facile e lunga. Ma il terzo giorno di luna crescente i due giovani si presentarono davanti alla tenda di Occhio Sapiente con i due animali nelle reti. 

Lo stregone si complimentò: «Non avevo dubbi che ce l'avreste fatta. Sono due splendidi animali».
«E adesso, che dobbiamo fare?», chiesero i giovani, curiosi e impazienti.
«Vi consegno questi lacci di cuoio. Legate le zampe dei due uccelli: una zampa del falco con una zampa dell'aquila. Poi fateli uscire dalle due reti, perché volino nel cielo».

Piccolo Bisonte e Luna Piena eseguirono con scrupolo quanto ordinato. Le zampe del falco e dell'aquila era legate in modo da non potersi sciogliere. I due animali vennero estratti dalle reti e posti davanti allo stregone. I due giovani li incitarono: su su, volate volate. Gli animali cominciarono a zampettare sul terreno. L’aquila e il falco provarono ad aprire le ali, ma, avvinghiati com'erano, erano bloccati a terra: procedevano a balzi, sbattendo inutilmente le ali. Dopo un po’, irritati per l’impossibilità di volare, ambedue gli animali cominciarono ad aggredirsi l’un altro beccandosi fino a ferirsi e emettendo reciprocamente striduli versacci.

Piccolo Bisonte e Luna Piena non riuscivano a distogliere gli occhi: non c'era bisogno di molte spiegazioni e Occhio Sapiente si limitò a sottolineare il senso di ciò che stava accadendo. 

«Questa immagine sia con voi per il resto dei vostri giorni. Sappiate che voi siete come l’aquila e il falco. Se il vostro legame sarà come il laccio di cuoio che avete stretto alle zampe dei due uccelli, questa sarà la vostra fine. Prima, così avvinghiati, tenterete di zampettare, ma non sarà vita né di voi come coppia né di voi come singoli; poi proverete a volare, spendendo inutilmente le energie e frustrando il vostro naturale bisogno di essere ciò che siete; infine, non riuscendo a spiegare le ali e a conquistare il cielo, continuerete a ferirvi a vicenda, urlandovi addosso reciprocamente il vostro odio. L'amore, quando è costrizione, diventa carcere e uccide. Se vi manterrete liberi, volerete assieme: compirete il miracolo di rimanere voi stessi pur restando coppia. Altrimenti, come faremo ora con il falco e con l'aquila, sarà sano anche per voi strappare il laccio di cuoio. Quando l’unica strada è insopportabile, chi non è malato ne sceglie altre: sempre ce ne sono e sta a noi trovarle».

*** Massimo FERRARIO, Lo stregone e il legame d’amore, per ‘Mixtura’ - Il racconto è una libera riscrittura di un testo diffuso in internet.


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#VIGNETTE / Notte in casa Draghi (Natangelo)

NATANGELO, 1985
'il Fatto Quotidiano', 12 febbraio 2022, qui

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domenica 13 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / C'è caos (Gloria di Palma)

Un rumore, che rimbomba nella testa,
nella giornata.
È finita la festa,
ad un’altra vita è rimandata.
C’è caos.
Tra la gente,
camminando:
nessuno lo sente.
Un disincanto.
C’è caos.
Nei passi notturni,
quando chiudi gli occhi.
Anche in quelli diurni.
Quando non senti più niente e ti blocchi.
C’è caos.
Come il vuoto,
dopo una grossa risata.
Come il nuoto,
in una piscina desolata.
C’è caos
che fa rumore,
ma non si sente.
Prima era l’amore
ora non c’è più niente.

*** Gloria Di PALMA, 2001, C'è caos, 'poeticon', 22 gennaio 2022, qui

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#PIN / Punto di vista (MasFerrario)

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#VIGNETTE / Pd primo partito (Stefano Rolli)

Stefano ROLLI
facebook, 11 febbraio 2022, qui

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sabato 12 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Matematicamente (Alessandro Bergonzoni)

Matematicamente 
di noi adoro il te%,

**Alessandro BERGONZONI, 1958, scrittore, autore e attore teatrale, comico, rubrica 'il pensiero del giorno', 'Robinson', 12 febbraio 2022


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#FAVOLE & RACCONTI / La successione al monastero (Massimo Ferrario)

E giunse il tempo in cui il Maestro fece quello che doveva fare. Chiamò i discepoli e disse: «Lascio».
I discepoli non capirono. Un mormorio si diffuse per la grande sala del monastero. Il Maestro attese qualche minuto: in silenzio, immobile, con il viso sereno e accogliente. Finché il discepolo meno timido, inchinandosi e tenendo le mani giunte, osò fare la domanda: «Maestro, cosa intendi quando dici ‘lascio’?».

Il maestro sorrise.  Si limitò a ripetere.  «Lascio.» Poi aggiunse: «E' giunta l'ora».

Allora i discepoli non ebbero più dubbi. Sempre il meno timido, rincuorato dal fatto che il maestro aveva accettato la sua domanda precedente, riprese la parola: «Maestro, possiamo rispettosamente chiederti se una malattia è la causa del tuo abbandono? Perché, se così fosse, noi ti possiamo assicurare il nostro coinvolgimento assoluto e continuo per alleviarti l'impegno del tuo insegnamento e rispondere a ogni tuo grande e piccolo bisogno di adesso e di domani. Fino a che il cielo lo vorrà».

Il Maestro, non nascondendo un filo di commozione, si inchinò tre volte di fronte agli allievi.  Spiegò ciò che stava per accadere. «Mi siete tutti molto cari. E vi ringrazio dal profondo del cuore della sollecitudine che mostrate. Ma la vecchiaia, almeno per ora, non mi fa intravvedere nessuna fine imminente, almeno su questa terra. E' solo la mia età con cui io e voi abbiamo a che fare. Ed è la mia preoccupazione per il vostro futuro. Per questo lascio. E' tempo che uno di voi mi succeda. Un avvicendamento fisiologico: lo stabilisce la natura. Dipende se noi la ascoltiamo, oppure pretendiamo di essere eterni: preda della nostra disumana autocentratura e dell'hybris che troppo spesso ci rinserra nell'io, facendoci credere Dio. Ora il mio compito è lasciare e scegliere chi potrà essere il mio successore. Vi conosco e so che ognuno di voi può giustamente ambire alla posizione. Ma la posizione è unica e uno solo la potrà occupare. Ora vi propongo soltanto un piccolo esercizio per facilitarmi la scelta».

I discepoli si fecero muti e attenti. Il Maestro prese una brocca e la pose sul pavimento davanti a tutti. «Vi chiedo di descrivere questa brocca. Chiunque vorrà intervenire potrà farlo. Io ascolterò ognuno con la massima attenzione, ringraziandovi fin d'ora perché accettate di sottoporvi a questa prova».

In un ordine perfetto, e con la massima armonia, tutti i discepoli si alternarono davanti al Maestro proponendo la loro definizione della brocca. Ci fu chi la descrisse limitandosi all'essenziale: un vaso di forma rotondeggiante, fornito di un manico e di un becco. Chi la definì pensando alla sua funzione: un recipiente che serve a contenere acqua o altri tipi di liquido. Chi disse che una brocca è una brocca e non è nient'altro che una brocca. Chi spese parole per commentare i colori e le sfumature, le dimensioni, lo stile di fattura, la forma armoniosa. Tutti dissero la loro, tranne il discepolo più timido: quello che pure aveva osato porre la domanda inziale, preoccupato della salute del Maestro. Non era più in piedi nelle prime file, ma si era ritirato in un angolo in fondo alla sala. 

Il Maestro lo individuò.
«Mi  pare che qualcuno non abbia ancora detto la sua. Non è obbligato: anche il silenzio, in questo caso, è una scelta da accogliere. Ma se chi sa a chi mi sto rivolgendo decide di sottrarsi all'intervento, sappia che qualunque sia la sua decisione, lo ringrazio con molto affetto». 

Il discepolo percorse la sala dal fondo, avvicinandosi al Maestro. Giuntogli davanti, dopo il rituale inchino di saluto, si chinò a terra: raccolse la brocca dal pavimento e la innalzò, più alta che poté, perché tutti la vedessero e la ammirassero.

Niente meglio del gesto poteva definire cos'era la brocca di cui il Maestro aveva chiesto la definizione.
Il Maestro allargò il viso. Era felice. Accennò, per tre volte, a un leggerissimo e sobrio battito di mani, fissando negli occhi, compiaciuto e benevolo, il discepolo.
Aveva individuato il successore.  Lo presentò alla sala. E stavolta l'applauso fu generale. Di tutti i di-scepoli.

*** Massimo FERRARIO, La successione al monastero, per 'Mixtura'. Il racconto è una libera riscrittura di un testo zen di autore anonimo diffuso in internet.


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#VIGNETTE / Presidenzialismo (Mauro Biani)

Mauro BIANI, 1967
'la Repubblica', 10 febbraio 2022, via facebook, qui

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venerdì 11 febbraio 2022

#SGUARDI POIETICI / Ogni anno, mentre scopro che febbraio (Giuseppe Ungaretti)

Ogni anno, mentre scopro che febbraio
È sensitivo e, per pudore, torbido,
Con minuto fiorire, gialla irrompe,
La mimosa. S’inquadra alla finestra
Di quella mia dimora d’una volta,
Di questa dove passo gli anni vecchi.

Mentre arrivo vicino al gran silenzio,
Segno sarà che niuna cosa muore
Se ne ritorna sempre l’apparenza?

O saprò finalmente che la morte
Regno non ha che sopra l’apparenza?

*** Giuseppe UNGARETTI, 1888-1970, poeta, scrittore, traduttore, Godimento, 18 Febbraio 1917, da Tutte le poesie, Mondadori Meridiani, 2009, in 'internopoesia', 1 febbraio 2022, qui


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#FAVOLE & RACCONTI / Lo scemo del villaggio (Massimo Ferrario)

Era accaduto ancora. 

Lui era entrato al bar dell'Angelo d'Oro, il locale centrale del paese, sulla piazza della chiesa. In genere, specie d'estate quando l’afa era pesante, il barista gli offriva un bicchiere di birra. Lui ringraziava, beveva, ma prima di andarsene c'era sempre qualcuno che si divertiva: metteva sul bancone una banconota da cinque euro insieme con una moneta da un euro e gli chiedeva di scegliere, intascando la moneta o la banconota. Il solito gruppo di avventori che si avvicendavano in quello che consideravano un gioco spiritoso, ma che era tale solo per i poveri di spirito che insistevano a farlo, assisteva in silenzio: sapevano in partenza come sarebbe finita e si preparavano a gustarsi l'ennesima derisione in pubblico che sarebbe seguita nei confronti del povero disgraziato.

Lui era il 'barbone' del paese: dormiva per strada e, quando non riusciva a farsi offrire qualche lavoretto pagato, chiedeva la carità. Senza insistenza, rispettando l'indifferenza degli altri. Diceva sempre grazie, anche quando nessuno gli allungava qualche centesimo, e non disturbava nessuno. Ma tutti lo prendevano in giro perché era considerato lo 'scemo del villaggio'. 

Quella volta, dopo che, come sempre, lui aveva scelto la moneta da un euro lasciando sul bancone la banconota da cinque euro, tra gli sghignazzi generali e i soliti insulti di 'sceeemo sceeemo', un nuovo cliente del bar, proveniente dal paesino vicino e che quindi non conosceva il pover’uomo, decise di intervenire. 

Quando tutti smisero di deriderlo e se ne uscirono dal bar, il forestiero si avvicinò all’uomo e, con molto rispetto, gli fece notare quello che era accaduto. Perché sceglieva la moneta da un euro quando poteva prendere la banconota da cinque? Era ovvio che con questa scelta ci perdeva quattro euro.

Il barbone fissò il forestiero, scuotendo il capo. «Non mi conosci, buon uomo. Apprezzo il tuo coinvolgimento. Ma forse tu non sai che io qui sono conosciuto come lo 'scemo del villaggio'. Lo pensi anche tu?».

«Io no. Non ti conosco, è vero. Ma sono abituato a rispettare le persone. Non ho motivo per credere che tu sia quello che dicono. Se ti comporti così avrai le tue ragioni. Solo che non le conosco. E, se posso dirtelo senza che ti offendi, non capisco il tuo comportamento. Potresti guadagnare di più, invece ci perdi».

«Mi piaci, forestiero. Peccato che non sei di qui. Potremmo frequentarci e magari diverremmo amici. Perché, sai, io qui sono chiamato ‘lo scemo del villaggio’, ma non sono scemo. Questo gioco che fa divertire quei poveretti che poi sghignazzano additandomi al pubblico ludibrio si ripete spesso. Lo fanno apposta per prendermi per i fondelli. Sai cosa succederebbe se per una volta scegliessi la banconota da cinque euro anziché la moneta da uno?»

«Non lo so. Forse ti metteresti in tasca quattro euro in più.»

«Vero. Ma sarebbe la prima e ultima volta. Credi che loro, gli intelligentoni che amano fare questo gioco scemo, per sentirsi superiori a un povero disgraziato come me creduto scemo, continuerebbero a farlo? ».

*** Massimo Ferrario, Lo scemo del villaggio, per Mixtura - Il racconto è una libera riscrittura di un testo diffuso in internet.

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