Il cerbiatto, appena nato, si guardava in giro, per scoprire piano piano il mondo che lo circondava. Mamma cerbiatta lo allattò per due settimane, poi, una mattina, dandogli un colpetto deciso con il muso, lo spinse a trotterellare per il bosco: doveva conquistarsi la sua libertà.
Ogni sera, quando tornava a ricevere le carezze della mamma, il piccolo raccontava ciò che aveva visto durante la giornata. E mamma cerbiatta gli trasmetteva, con amore e pazienza, tutto il suo sapere, perché il cerbiatto si muovesse al meglio nella foresta. Gli raccontava dei pericoli, dei trucchi per trovare il cibo migliore, delle strade più belle da percorrere per scorrazzare nella pianura. Ma poi, in particolare, per spingerlo a gustare la bellezza della natura, gli insegnava a riconoscere i colori: il marrone dei tronchi, il grigio dei rami, il verde delle foglie e dell'erba, il bianco delle nuvole, l'azzurro del cielo, il giallo del sole, l’arancione bruciato delle terre aride che si stendevano all’orizzonte, lontano dalla foresta, là dove stava Re Leone, la massima autorità degli animali: cui avrebbe dovuto rivolgersi se avesse avuto delle questioni fondamentali da risolvere.
Proprio mentre mamma cerbiatto impartiva questi insegnamenti, si verificò un fatto strano e inspiegabile. Il cerbiatto ripeteva con ostinazione che l’erba era blu. La mamma aveva cercato di convincerlo, facendogli ripetere i colori delle cose che si vedevano attorno a loro. Le risposte erano tutte appropriate. Ma l’erba, per il piccolo animale, restava inesorabilmente blu. Allora mamma cerbiatto chiese aiuto a tutti i cerbiatti del gruppo, grandi e piccoli. E tutti, stupiti, cercavano di correggerlo: l’erba è verde, come le foglie, gli ripetevano. Ma non c’era niente da fare: alla domanda sul colore dell’erba, la risposta non mutava. Blu. Solo blu. Sempre blu. Nessuno capiva perché questa assoluta e assurda testardaggine del cerbiatto. Si sarebbe potuto pensare a un difetto di vista, ma il cerbiatto riconosceva che le foglie erano verdi e ogni altro colore era attribuito giustamente alle cose che avevano quel colore: quindi i suoi occhi funzionavano.
Il problema sembrava senza soluzione. E tutti, alla fine, avevano deciso di rinunciare a discutere con il cerbiatto. Se voleva che l’erba fosse blu, poco male; glielo concedevano, per lui l’erba sarebbe stata blu.
Successe però che in una lunga camminata che portava alla fine della foresta, proprio al confine con una ragnatela di sentieri che si inerpicavano ripidi verso la cima della montagna, il cerbiatto incontrò un cervo, giovane come lui. Iniziarono a parlare e fecero amicizia. Poi, subito, il cerbiatto approfittò della nuova conoscenza per chiedere al cervo di che colore fosse quel po’ di erba che stavano calpestando, prima che comparisse il grigio della roccia. Il cervo naturalmente rispose che l’erba era verde, ma il cerbiatto contestò con calore la risposta: come faceva a non vedere che l’erba era blu? Il cerbiatto confessò che anche gli altri cerbiatti, e pure la sua mamma, erano convinti che l’erba fosse verde, ma si sbagliavano: solo lui aveva ragione. Litigarono violentemente e il cervo dovette trattenere la voglia di usare le corna contro il nuovo amico, per porre termine al diverbio sempre più acceso. Alla fine si accordarono: andiamo a porre la questione a Sua Altezza Re Leone.
Partirono subito e dovettero percorrere un'infinità di miglia, perché Re Leone abitava in tutt’altra parte del mondo.
Quando giunsero al cospetto di Re Leone, dopo giorni e giorni e notti e notti di viaggio, i due animali, distrutti dalla fatica, spiegarono la ragione per cui avevano fatto tanta strada.
Re Leone ascoltò, ma non poté nascondere l’ombra di fastidio che gli passò per il viso. Prima commentò che la questione si sarebbe risolta in pochi secondi: lui era re e aveva ben altri impegni da assolvere. Poi, lasciando trasparire tutta la noia di cui era capace, domandò: «Allora, caro cerbiatto: voglio essere sicuro di aver compreso bene quello che tu sostieni. Qual è secondo te il colore dell’erba?».
Il cerbiatto, gongolando per essere stato preso in considerazione addirittura dal Re degli animali, rispose con prontezza: «L’erba è blu, Vostra Altezza. Blu, naturalmente».
Re Leone abbozzò un sorriso stentato. Rimase zitto e immobile per qualche secondo: fissava il cervo, che attendeva con curiosità di assistere al seguito.
Il cerbiatto insistette: «Allora, Vostra Altezza, non ho forse ragione?».
Re Leone annuì. «Sì, caro cerbiatto. Hai ragione: se dici che l’erba è blu, l’erba è blu».
«Quindi anche voi, Re Leone, che siete la massima Autorità di tutti noi animali, state dicendo che l’erba è blu: non verde, come invece mi ripetono tutti?», continuò il cerbiatto per essere sicuro di avere capito bene.
Re Leone confermò con un sospiro rumoroso. «È blu».
Il cerbiatto provò una felicità incontenibile e si lasciò andare a grandi salti di gioia. Si mise a correre tutt’attorno. Gridava: «Finalmente! Finalmente ho ragione io: l’erba è blu, anche Re Leone l’ha ammesso». E partì subito di corsa per andare a riferirlo alla mamma e alla famiglia dei cerbiatti.
Il cervo trasecolò: non voleva contraddire il Re, ma non riusciva a tacere. Timidamente arrischiò: «Vostra Altezza, non capisco la risposta. Tutti sappiamo che l’erba è verde».
Re Leone lo zittì battendo una grande zampata sul tronco su cui era seduto: «Mio caro cervo, ho già perso troppo tempo con simili sciocchezze».
Il cervo chinò le corna in segno di ossequio. Ma non si arrese. Cercando di mostrare tutto il rispetto di cui era capace, chiese: «Ma Vostra Altezza crede davvero che l’erba sia blu?».
Re Leone tenne a freno la collera, sfogandola in un ruggito spaventoso. Poi, sempre più stizzito, urlò: «È evidente che l’erba non è blu, caro il mio cervo. Se ciò che vediamo verde lo chiamiamo verde, l’erba non può essere che verde. E non c’è bisogno che sia un re a dirlo».
Il cervo, spaventato per la reazione di Re Leone, era impietrito. Ma non riuscì a non sussurrare, come a se stesso, che non ci capiva più nulla: lui non era diventato sordo e al cerbiatto Re Leone aveva detto chiaramente che l’erba era blu.
Re Leone finse di non aver ascoltato le parole bisbigliate dal cervo e roteò il muso alla ricerca dei giovani leoni che gli facevano da corte. Intimò loro di avvicinarsi e quando li ebbe accanto, emise l’ordine: «Accompagnate questo giovane cervo alla caverna delle punizioni. Per tre giorni sarà vostro prigioniero e resterà senza cibo. Voi lo curerete giorno e notte e non lo perderete di vista un attimo. Se cercherà di fuggire potrete farne carne per il vostro pasto».
Il cervo, prima di seguire i cinque leoni che subito lo avevano circondato in ossequio al comando di Re Leone, a questo punto osò alzare la voce.
«Obbedisco a Vostra Altezza e rispetto la vostra autorità, ma davvero non comprendo la punizione. Avete appena finito di dire voi stesso che l’erba, ovviamente, è verde».
Re Leone capì che doveva calmarsi e dare al giovane cervo una spiegazione del suo comportamento. Distese il muso in un sorriso, stavolta genuino e ammise.
«Hai ragione di protestare, mio giovane cervo. E hai diritto a un chiarimento: le punizioni servono a chi le riceve solo se sono motivate. Altrimenti non educano. Punire soltanto è sterile: produce godimento ad un'autorità sadica che non merita di essere autorità. Ecco, io non ti punisco per il colore dell’erba: che ha il colore verde che ha e cui non va dedicato neppure un secondo di discussione. Ma perché gli animali intelligenti non devono sprecare tempo e energie con persone sciocche: le quali, magari solo per affermare se stesse, vantandosi di pensarla diversamente dagli altri, non capiscono o non vedono ciò che è ovvio e sotto gli occhi di tutti. Io amo chi dissente. Ma non chi dissente per dissentire. È giusto insegnare e far capire, dimostrare e argomentare. Ma se uno non vuol capire e insiste nel sostenere posizioni assurde, fuori da ogni logica o da ogni corretta e congruente visione dei dati di realtà, va lasciato al suo destino. Tu hai trottato per giorni e notti con il povero tuo amico cerbiatto per venire da me e pormi una questione che non è una questione. Forse devi imparare anche a sceglierti meglio gli amici. E intanto io, punendoti, voglio insegnarti che tu, io, tutti noi dobbiamo trattare con rispetto il tempo che la vita ci dà. Non dobbiamo sprecarlo: abbiamo altro di meglio da fare che dar retta agli stupidi che credono di essere intelligenti, giocando più o meno consapevolmente a fare i bastian contrari. Il nostro popolo è pieno di animali che sanno capire e ragionare, con cui fare amicizia e discutere di problemi veri. Gli altri, quelli che pretendono di essere nel giusto e sanno solo ripeterci le loro stupide convinzioni, isoliamoli. È un diritto e un dovere di ciascuno di noi».
*** Massimo FERRARIO, L’erba blu e l’insegnamento di Re Leone, per ‘Mixtura’ - Il racconto è una libera riscrittura di un testo di autore anonimo che circola
in internet.
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