Alcuni per moda. Altri per abitudine trasmessa da amici o compagni di scuola. Altri dopo un concerto o una partita allo stadio. Altri ancora durante una gita comunitaria in montagna. In un paese dove il fascismo è fuorilegge, nessuno si vergogna più di dire “sono fascista”. Dicono che sono fascisti perché “[il fascismo] ci fa sentire vivi in un mondo di morti”. Perché “anche i miei amici sono fascisti”. Perché “fanno bella musica”. Perché “siamo italiani”. Perché “i fascisti sono gli unici che difendono gli italiani”. Perché “nella mia zona è pieno di negri”. Perché “gli ebrei sono stronzi”, “hanno la coda e mangiano il sangue”. Perché “lo stato mantiene gli immigrati e agli italiani non gli dà un cazzo”. Perché “ogni volta che vedo uno zingaro al semaforo lo vorrei menare”. Perché “nel mio quartiere spacciano e sono tutti africani”. Perché “ormai non si capisce più niente, chi è l’uomo e chi è la donna, sono tutti froci e vogliono anche adottare i bambini”. Perché “ci vuole ordine”. Perché “quando le cose non funzionano deve arrivare uno che mette tutto a posto”.
La nuova gioventù nera cresce nelle scuole politiche e nei campi estivi di Forza nuova, CasaPound, Fratelli d’Italia, Lealtà Azione. Si compatta con l’intransigenza nazionalsocialista dei gruppi più estremisti e violenti, quelli a destra di tutti, il Veneto fronte skinheads, la Comunità militante dei dodici raggi Do.Ra. di Varese. Un attivismo incentivato dalla Lega che partecipa alle iniziative inviando suoi esponenti.
*** Paolo BERIZZI, 1972, giornalista e saggista, L'educazione di un fascista, Einaudi, 2020
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