domenica 29 ottobre 2023

#SPILLI / Guerre, film e fotogrammi, grandangoli e zoom (Massimo Ferrario)

Storia, responsabilità, conseguenze. Perché, come mai, cause, dinamiche ieri/oggi.
Sono categorie e domande indispensabili per inquadrare i fotogrammi dentro un film. Domande che in genere mi faccio quando accadono dei fatti. Per capire, spiegare. E questo non significa giustificare. Vuol dire solo analizzare, problematizzare, andare dietro e oltre l’apparenza. Nessun mito della verità. Semplicemente ricerca di una possibile verità. Con la ‘v’ minuscola: unica V credibile, perseguibile, a misura di uomo. Ma fondamentale per capire errori, effetti, interdipendenze. E orientare, per quanto possibile, i comportamenti al meglio.

Gli esseri umani sono soliti (dovrebbero essere soliti) chiedersi la ragione di quanto accade. Sono gli unici animali che possono farlo. Perché hanno pensiero. E se lo fanno, questo si chiama, per sottolineare l'essenza del pensiero (ma dovrebbe essere pleonatisco), 'pensiero critico'.

Semplice? Difficilissimo. Anche perché il rischio è di finire ai margini. Scomodi. Soli. Però il guadagno incomparabile è la conoscenza per quanto più possibile genuina di come sono andate, o vanno, le cose. E magari conquistarsi una possibilità in più di cambiarle. O di influenzare altri perché si mettano nell'ottica di cambiarle. Con un pizzico in più di giustizia. Perché il mondo è complesso e lo zoom non ti fa vedere la complessità. Serve il grandangolo: allargare la visuale, guardare in grande, elevare lo sguardo. Provarci almeno.

Nei film dell'odio - le guerre, ad esempio - dovremmo imporci di non fare il tifo per una o l'altra delle parti in causa. Se non siamo noi una delle parti in gioco, dovremmo essere favoriti dallo stato di terzietà di cui strutturalmente godiamo. Abbiamo il privilegio della maggiore freddezza. Possiamo evitare di scegliere il fotogramma dell'orrore che più ci fa comodo e su questo fissarci per inchiodare l'altro alle sue colpe, dimenticando le colpe di chi più appare (ci vene fatto apparire) vittima. Perché quel fotogramma è preceduto da altri fotogrammi. Sempre dell'orrore. Ma il cui il gioco carnefice-vittima si capovolge. E così avviene in tanti altri fotogrammi. Quelli che fanno un film. L'unico evento (dinamico, storico, inter-relazionale) che conta se vogliamo cercare di capire per poi interrompere (spingere a interrompere) la pellicola dei massacri. Perché in questi casi non c'è in ballo un pallone che deve fare goal, ma la vita di persone. Migliaia. Centinaia di migliaia. Milioni, nel caso estremo di un conflitto che diventa mondiale. Sono civili, soprattutto. E loro non c'entrano nulla con chi decide sulle loro teste, di fatto decapitandole. Criminali nel nome del Bene, naturalmente. Perché i Mostri sono sempre gli altri. Loro Perfetti, gli altri Perversi.

*** Massimo FERRARIO, Guerre, film e fotogrammi, grandangoli e zoom, per 'Mixtura'


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lunedì 16 ottobre 2023

#FAVOLE & RACCONTI / La prova dell'Ascolto (Massimo Ferrario)

C'è un test dell'ascolto che non sbaglia mai ed è alla portata di chiunque: non c’è bisogno di essere psicologi iscritti all’albo.

State parlando con un conoscente, o un amico. Magari lui vi sta pure guardando in faccia (gli occhi sono un linguaggio spesso trascurato) e vi manifesta in qualche modo disponibilità e interesse.
Voi avete iniziato da poco a raccontare qualcosa.
Poi, ad un certo punto, venite interrotti. E dovete subire un'interferenza.

Capita.

Ad esempio al ristorante. Il cameriere sta per avvicinarsi al tavolo. Poi si accorge che siete affaccendati in una conversazione e si ritira, attendendo con discrezione, in disparte, per non disturbarvi. Voi vi accorgete della sua presenza e gli fate cenno che siete pronti per le ordinazioni. Il cameriere, con cortesia e professionalità, fa capire che non c’è fretta: ritorna. Ma voi e il vostro commensale gli dite che avete già sfogliato il menu e avete deciso. Primo, secondo, acqua. Invece per vino o birra vi fate esporre l'offerta da lui: che vi consigli, soprattutto per il vino. Quindi scegliete.

Il tutto è durato pochissimi minuti. Il cameriere ringrazia, fa un cenno di inchino (non è un giapponese: è solo, come già detto, un professionista che conosce il mestiere), sorride e se ne va.

A questo punto voi ripensate al racconto e a quello che ancora avreste da dire per completarlo. Ma restate in silenzio. Arrivate pure a guardare in faccia il vostro interlocutore. Il quale è più zitto di voi. E’ distratto. Pensa ai fatti suoi. Oppure, butta lì un suo inizio di discorso che non c’entra nulla con il vostro che avete dovuto interrompere. E il vostro racconto rimasto in sospeso? Nulla. Evaporato.

Ecco fatto. Avete il test perfetto: quello che dicevate evidentemente non interessava. La disponibilità manifestata, con con tanto di occhioni e sorrisi accoglienti (immaginiamo la situazione migliore: perché c'è pure chi fa capire da subito che la sua attenzione all’ascolto è del tutto formale, posticcia, acquisita solo durante l’ennesimo corso di formazione), era finta, distratta, artificiosa. Al vostro conoscente, o amico, di quello che stavate dicendo, non gliene poteva interessare di meno. Altrimenti, è ovvio, non solo per educazione, vi avrebbe chiesto: “Scusa, dicevi?”. Per ricordarvi o stimolarvi a riprendere.

Naturalmente, visto che stiamo immaginando un caso reale, aggiungiamoci un dettaglio, spesso presente e grosso come un macigno. Il conoscente, o amico, è uno dei principali assertori/propugnatori della teoria dell’ascolto. Magari è un laudatore dei costumi antichi, quando “sì che c’erano tempo e disponibilità ad ascoltare”. “Sì, perché, caro dottore: oggi ognuno per sé e un Io solo per tutti. Troppa fretta, troppa indifferenza, tanti contatti e pochi rapporti. Caro mio, viviamo tempi brutti: altro che ascoltarci. Degli altri, in fondo, chissenefrega?”

Oppure no: lui li odia i tempi antichi ed è convinto che solo oggi si fanno le ottime cose che ieri non si facevano. O non si facevano a sufficienza. Come ascoltare, per esempio.

*** Massimo Ferrario, La prova dell'ascolto, per ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 16 ottobre 2023

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mercoledì 4 ottobre 2023

#MOSQUITO / Il suicidio, gli scacchi, il silenzio (Massimo Ferrario)

Scrive Viktor Frankl, 1905-1997, psichiatra austriaco, fondatore della 'logoterapia', internato ad Auschwitz, Dachau e altri campi di sterminio e sopravvissuto anche grazie alla forza espressa dalla sua visione ottimistica sulla vita, autore di numerosi saggi, tra cui il famoso L'uomo in cerca di senso: uno psicologo nei lager, 1967-2017: 

«Proviamo a immaginare un giocatore che, posto di fronte a un problema scacchistico, non trovi la soluzione. Cosa fa a quel punto? Rovescia i pezzi della scacchiera. È una soluzione al suo problema? Certamente no. Ma è proprio così che agisce il suicida: getta via la sua vita pensando di aver condotto a soluzione un problema che gli appariva insolubile. Non sa che in tal modo non rispetta le regole del gioco della vita, proprio come lo scacchista del nostro paragone non si attiene alle regole del suo gioco, all'interno delle quali un problema si risolve con un salto del cavallo, un arrocco o in qualche altro modo, ma comunque con una mossa, non certo con il comportamento descritto. Ora, anche il suicida viola le regole del gioco della vita; queste regole non ci richiedono di vincere a tutti i costi, ma ci richiedono di non abbandonare la partita.» (Viktor FranklSul senso della vita, Conferenza 1^, Significato e valore della vita, 1946, [2019], Mondadori, 2020, pp. 38, traduzione di Elena Sciarra). 

Massimo rispetto per la competenza, l'autorevolezza e la terribile esperienza di vita di Viktor Frankl. 
Ma altrettanto rispetto, io credo, è dovuto a chi si trova nel drammatico stato di chi medita il suicidio per un insopportabile dolore esistenziale e decide alla fine di passare all'atto perché ritiene di non avere altra scelta.

"Regole della vita", dice Frankl. Ma quali regole? E chi le stabilisce? 

Se è Dio che le ha fissate, questo non riguarda chi è ateo. Ma non riguarda neppure chi è credente e non ce la fa più a vivere, perché se sta rifiutando la vita nessuna regola di vita lo può interessare. E comunque, se esistono 'regole della vita' (con l'iniziale minuscola, per evitare confusioni con il trascendente che vale solo per chi accetta il trascendente), nessuno ha stabilito, regole o non regole, che sia obbligatorio giocare il gioco della vita. 

L'esempio degli scacchi è del tutto fuori centro: il suicida non rovescia i pezzi della scacchiera. Semplicemente non ha (più) nessun interesse a giocare, non vuole ottenere nulla, si limita ad andarsene. E così come nessuno può imporre a nessuno di giocare a scacchi, nessuno può imporre a nessuno il gioco della vita. 
Peraltro, non  è certo il messaggio doveristico, di per sé intrinsecamente minaccioso e persecutorio, per cui ci sono regole che impediscono l'abbandono di partita, che può convincere chi vuole smettere e lasciare la partita a continuare a stare al banco e giocare. 

Ho sempre pensato che una delle poche cose nella vita che richiedono silenzio assoluto, quando si verificano, per la inspiegabilità profonda e misteriosa che circonda il singolo e specifico atto di chi ne è soggetto più o meno consapevole, sia il suicidio. 

Mi piacerebbe che tutti, anche i più illustri 'esperti' di umanità, quando toccano certi temi stessero in posizione rispettosamente 'china': rigorosamente attenti a non proferire parola. E meno che meno sentenze. 
Perché, in questo caso, ogni parola è violenza.

*** Massimo Ferrario, Il suicidio, gli scacchi, il silenzio, per 'Mixtura', 


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