C'è un test dell'ascolto che non sbaglia mai ed è alla portata di chiunque: non c’è bisogno di essere psicologi iscritti all’albo.
State parlando con un conoscente, o un amico. Magari lui vi sta pure guardando in faccia (gli occhi sono un linguaggio spesso trascurato) e vi manifesta in qualche modo disponibilità e interesse.
Voi avete iniziato da poco a raccontare qualcosa.
Poi, ad un certo punto, venite interrotti. E dovete subire un'interferenza.
Capita.
Ad esempio al ristorante. Il cameriere sta per avvicinarsi al tavolo. Poi si accorge che siete affaccendati in una conversazione e si ritira, attendendo con discrezione, in disparte, per non disturbarvi. Voi vi accorgete della sua presenza e gli fate cenno che siete pronti per le ordinazioni. Il cameriere, con cortesia e professionalità, fa capire che non c’è fretta: ritorna. Ma voi e il vostro commensale gli dite che avete già sfogliato il menu e avete deciso. Primo, secondo, acqua. Invece per vino o birra vi fate esporre l'offerta da lui: che vi consigli, soprattutto per il vino. Quindi scegliete.
Il tutto è durato pochissimi minuti. Il cameriere ringrazia, fa un cenno di inchino (non è un giapponese: è solo, come già detto, un professionista che conosce il mestiere), sorride e se ne va.
A questo punto voi ripensate al racconto e a quello che ancora avreste da dire per completarlo. Ma restate in silenzio. Arrivate pure a guardare in faccia il vostro interlocutore. Il quale è più zitto di voi. E’ distratto. Pensa ai fatti suoi. Oppure, butta lì un suo inizio di discorso che non c’entra nulla con il vostro che avete dovuto interrompere. E il vostro racconto rimasto in sospeso? Nulla. Evaporato.
Ecco fatto. Avete il test perfetto: quello che dicevate evidentemente non interessava. La disponibilità manifestata, con con tanto di occhioni e sorrisi accoglienti (immaginiamo la situazione migliore: perché c'è pure chi fa capire da subito che la sua attenzione all’ascolto è del tutto formale, posticcia, acquisita solo durante l’ennesimo corso di formazione), era finta, distratta, artificiosa. Al vostro conoscente, o amico, di quello che stavate dicendo, non gliene poteva interessare di meno. Altrimenti, è ovvio, non solo per educazione, vi avrebbe chiesto: “Scusa, dicevi?”. Per ricordarvi o stimolarvi a riprendere.
Naturalmente, visto che stiamo immaginando un caso reale, aggiungiamoci un dettaglio, spesso presente e grosso come un macigno. Il conoscente, o amico, è uno dei principali assertori/propugnatori della teoria dell’ascolto. Magari è un laudatore dei costumi antichi, quando “sì che c’erano tempo e disponibilità ad ascoltare”. “Sì, perché, caro dottore: oggi ognuno per sé e un Io solo per tutti. Troppa fretta, troppa indifferenza, tanti contatti e pochi rapporti. Caro mio, viviamo tempi brutti: altro che ascoltarci. Degli altri, in fondo, chissenefrega?”
Oppure no: lui li odia i tempi antichi ed è convinto che solo oggi si fanno le ottime cose che ieri non si facevano. O non si facevano a sufficienza. Come ascoltare, per esempio.
*** Massimo Ferrario, La prova dell'ascolto, per ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 16 ottobre 2023
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