venerdì 31 luglio 2020

#SGUARDI POIETICI / Non mi importa se vai (Gio Evan)

Non mi importa se vai
se te ne vai lontano
sei libera di allacciarti le scarpe
e iniziare i progetti
che hai sempre avuto in testa
di vedere posti nuovi
di vedere nuvole diverse
di conoscere venti caldi
palme altissime e mari bianchi
nuove specie di formiche giganti
ippopotami liberi
falene alte quanto me

sei libera di avere paura
e poi gioia
e poi paura e gioia insieme
sei libera di scombussolarti
come meglio credi

sei libera di andare
libera di andare lontano
dove i cartoni animati sono
in lingua straniera
dove le piste ciclabili funzionano
dove i semafori sono di forma simpatica
dove i morti si cremano
o dove non si muore quasi mai
dove c'è sempre la neve
dove tutto si risolve a bassa voce

libera di prendere
la strada giusta
libera di tornare indietro
e prendere poi
quella sbagliata
che le strade sbagliate
spesso non portano a niente
ma il più delle volte
le strade sbagliate
sono quelle
con dei paesaggi meravigliosi

puoi andare dove vuoi
sei libera
fatti una valigia comoda
e metti tutto l'essenziale:
felpa
portafoglio
passaporto
asciugamano
medicine omeopatiche
non mi importa se vai
se te ne vai lontano
sei libera per sempre
di fottere le suole
delle tue scarpe
sulle strade che vuoi

puoi andare dove vuoi
puoi andare sempre
dove vuoi,
io vengo con te.

*** Gio EVAN (Giovanni Giancaspro), 1988, scrittore e poeta, umorista, performer, cantautore, artista di strada, facebook, 29 giugno 2020, qui
http://www.gioevan.it/biografia/


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#MOSQUITO / La categorizzazione di genere, prima ancora della nascita (Maria Giuseppina Pacilli)

La categorizzazione di genere è tanto potente da iniziare addirittura prima ancora della nascita. La sociologa Barbara Rothman [1988] ha chiesto a un gruppo di madri di descrivere i movimenti del feto negli ultimi tre mesi di gravidanza riscontrando un dato interessante. Fra le donne che non erano a conoscenza del sesso del bambino, non c’era un particolare pattern di descrizione associato al sesso del bambino. Quando le donne invece erano a conoscenza del sesso del feto, se sapevano che era maschio (e non se sapevano che era femmina) tendevano a descrivere i suoi movimenti con aggettivi quali «vigoroso» e «forte».

*** Maria Giuseppina PACILLI, docente di psicologia sociale all'università di Perugia, Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità, Il Mulino, 2020


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#VIGNETTE / L'opposizione è compatta (Natangelo)

NATANGELO, 1985
'il Fatto Quotidiano', 30 luglio 2020, via facebook, qui

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giovedì 30 luglio 2020

#SGUARDI POIETICI / Hanno le cose (Massimo Salvadori)

Hanno le cose
una radice strana
qualcuno le dà il nome
di memoria
che di continuo scintilla nella vita
come un'assenza
oppure
un abbandono.

*** Massimo SALVADORI, insegnante e poeta, facebook, 24 luglio 2020, qui



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#FAVOLE & RACCONTI / L'uccellino e il sasso (Massimo Ferrario)

Neve a vista d'occhio: non una casa all'orizzonte. 
Solo montagne, altipiani, boschi. 
Il silenzio rotto dal frusciare del vento: in quel momento trasformato in una brezza, che mormora tra le piante.
Fiocchi incessanti: roteano lenti nell'aria, prima di posarsi a terra e rendere tutto uguale.
Il cielo bianco, accecante.

Un inverno freddissimo. 

Un uccellino, esausto per il lungo volo, sta per lasciarsi cadere: le ali non lo reggono più. 
E' congelato: sogna un riparo, deve recuperare forze.
Prima di arrendersi, ancora qualche colpo d'ala: si abbassa, sfiora le cime dei pini.
La neve è dappertutto: non un punto in cui posarsi.
Sforza gli occhietti, ormai appannati per la stanchezza: rallenta il movimento delle ali, scruta il terreno del bosco. Possibile che tutto sia neve e gelo?

A un certo punto, prima non ci crede, ma poi griderebbe di gioia se avesse ancora energia.
Alle basi di un pino, sotto un grande ramo, un sasso dimenticato dalla neve: non molto grande, ma per lui enorme. 
La salvezza, il rifugio tanto desiderato.
Quasi si lascia precipitare in verticale: ci si plana, felice.

Si pulisce le zampette, incrostate di ghiaccio. 
Apre più volte le ali, per scuotere e far cadere la neve. 
Poi, e neppure se ne accorge, subito dopo essersi accoccolato, cade in un sonno profondo.

L'uccellino si sveglia soltanto il giorno dopo: un pomeriggio e una notte, senza un'interruzione.
E' rinato: si sente dentro un altro corpo. Completamente ritemprato. 
Si rizza sulle zampette, sbatte più volte le piccole ali: la stanchezza è scomparsa.
Muove il capino tutt'attorno. 
Non nevica più, l'aria resta fredda ma meno del giorno prima: un pallido sole cerca di bucare le nuvole su in alto. 
Forse il peggio è passato.

L'uccellino guarda il sasso su cui ha dormito: è una pietra come tante, né bella né brutta. Ovale, nerastra con venature bianche e grigie, sagomata dal tempo, vecchia come la terra. Uguale a tanti sassi che ad esempio riempiono le rive dei fiumi e dei torrenti: di nessun valore, inutili.

Mentre passa una zampetta su tutta la lunghezza del sasso, come per accarezzarlo, sente il bisogno di dirgli ciò che ha in cuore.
«Caro sasso, prima di volar via debbo ringraziarti. Tu non sei un animale come me: dicono che non hai la parola e che non sei in grado di ascoltare, perché sei una cosa fredda e inanimata. Sei solo un minerale. Non so se è vero: gli umani sanno cose che noi uccellini ignoriamo. Io però so che la vita che oggi mi ritrovo me la ritrovo grazie a te. Mi hai ospitato e mi hai salvato. Non lo dimenticherò.»

L'uccellino si è alzato in volo: senza fatica, perché ha ritrovato tutte le sue energie.
Ora si sta divertendo a disegnare in cielo ampi svolazzi, in attesa di rimettersi in viaggio.
Ripensa al sasso.
"Peccato che le pietre, come dicono gli umani, siano cose inanimate. Mi piacerebbe che quel sasso avesse sentito le mie parole di ringraziamento".

In effetti il sasso si era accorto che l'uccellino era volato via perché quella piccola parte di pietra che gli aveva fatto da letto per tutta la notte, dopo essersi scaldata per il calore del suo corpicino, ora stava ritornando tutta fredda.
Ma, anche se l'uccellino non c'era più, il sasso non rinunciò a dire ciò che aveva in animo di rispondergli. 
«Caro uccellino, è la prima volta che qualcuno mi parla. Sei stato gentile e anch'io non dimenticherò: ora, finalmente, non mi chiederò più cosa ci sto a fare al mondo, gettato alla base di questo pino».

Il sasso, immobile come da sempre, fissava il cielo, gustandosi la geometria sempre mutevole delle giravolte dell'uccellino.
Gli aveva gridato le sue parole con tutta la forza, ferma e compatta come una pietra, che aveva in sé. Era sicuro che la sua voce sarebbe arrivata al suo nuovo amico di una notte.

Chissà: le pietre hanno strane illusioni.
Certo che fu proprio in quel momento che l'uccellino smise di tracciare i suoi ghirigori a mezz'aria nel cielo e, con decisione, prese la direzione del viaggio che voleva compiere.
Prima fu un puntino, poi più nulla.

Vuoi vedere che se non sempre gli umani, cui è dato di parlare e ascoltare, sanno dire e ascoltare le cose che vanno dette, forse gli animali e i minerali ci riescono meglio?


*** Massimo Ferrario, L'uccellino e il sasso, per Mixtura - Libera riscrittura di un testo diffuso in più siti in rete.


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#VIGNETTE / Piano scuola (Mauro Biani)

Mauro BIANI
'la Repubblica', 26 luglio 2020, via facebook, qui

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mercoledì 29 luglio 2020

#SGUARDI POIETICI / Dare e avere (Raffaele Cerrieri)

Quanta, quanta pula
per un granello di grano:
che affanno.
Quanta, quanta rugiada
per fare una fragola:
una sola.
Quante, quante parole
per dire che amo
che t’amo.
Si placa il mare
nel silenzio del sale:
non muore.

*** Raffaele CARRIERI, 1905-1984, scrittore e poeta, Dare e avere, da Il cigno lanciere, Schwarz, 1955, in 'ilcantodellesirene', 22 luglio 2020, qui


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#RACCONTId'AUTORE / La revisione (Marco Pomar)

- Buongiorno, sono qui per la revisione.
- Bene. Diamo una controllata generale. Quando è stata l’ultima volta?
- Beh, ecco… Veramente io non l’ho mai fatta.
- Ahi.
- È grave?
- No, spero di no. Sarà forse un po’ più costoso.
- Vabbè, comunque è una spesa che va fatta.
- Direi proprio di si. Allora: controlliamo le convergenze sentimentali. Vediamo un attimo… Si, sono da cambiare.
- Da cambiare?
- Guardi lei stesso. Qui c’è l’usura degli anni. A quanto pare ha messo sotto sforzo parecchio le spatole.
- Le spatole?
- Si, che poi se le convergenze sentimentali sono usurate vorrà dire che anche il senso di colpa sarà quasi completamente esaurito. Cosa le dicevo? Un altro po’ e lei mi combinava qualche omicidio…
- Ma quale omicidio?
- Signore mio, senza più un briciolo di senso di colpa si commettono nefandezze inimmaginabili. Poteva votare Lega senza nemmeno accorgersene. Mi dispiace ma dobbiamo mettere una fornitura intera.
- Ma non ci sono più abituato ai sensi di colpa. Non possiamo reintegrare giusto un attimino?
- Attimino un corno. Mi faccia dare una controllata al cinismo. Oddio, ecco qui. Lo sapevo.
- Che sapeva?
- Il cinismo ha debordato. Dobbiamo cambiare le guarnizioni e sigillare il tutto.
- Ma perché?
- Perché altrimenti il cinismo supera i livelli di guardia, raggiunge la zona del sentimento, e siamo fritti.
- Siamo fritti?
- Ma certo amico mio. Basta un niente e comincerà a dire che lei non è razzista, che ha anche amici di colore, e cose del genere.  Le pastiglie della serenità almeno le ha cambiate ogni due anni?
- Si, quelle si!
- Sicuro?
- Oddio, proprio ogni due anni forse no. Ma una volta le ho cambiate sicuro. Questo me lo ricordo.
- Io non so come ha fatto ad arrivare sin qui, signore. Non oso pensare in che stato troverò la coscienza!
- No, guardi, la mia coscienza è perfettamente a posto. L’ho usata pochissimo.
- Ecco, appunto. Preparo una coscienza nuova ultimo modello. Quelle marca Zeno non si usano più.
- Ma quanto dovrò spendere?
- Lasci stare. Le farò un trattamento di favore. Vedo che la memoria tutto sommato è in uno stato accettabile…
- Accettabile? Io mi ricordo tutto, egregio signore. Ho una memoria da elefante. Posso dirle pure cosa si mangiava dai miei nonni la domenica.
- Non si illuda, dicono tutti così. È perché non sapete che esistono i falsi ricordi.
- I falsi ricordi?
- Si, coprono con desideri repressi i buchi neri dell’inconscio. A proposito: a inconscio come siamo messi?
- E come siamo messi? Me lo dica lei.
- Per quello devo fare un controllo accurato. Non basta un’occhiata superficiale. Ma sono altri duecento euro, glielo devo dire.
- No, se non è necessario no. Evitiamo.
- Come vuole. Ma se incontra una pattuglia della PS, lei è in difficoltà.
- La Polizia Stradale?
- No, la Pulizia Sentimentale.
- Perché, cosa possono farmi?
- Quelli controllano tutto, e ci mettono poco a scoprire le magagne dell’inconscio. A ritirarle la patente di seduttore non ci mettono niente.
- Ma io non ce l’ho la patente di seduttore!
- Ah, peggio mi sento! Quindi ha sedotto finora senza patente. Senta, io non voglio sapere nulla. Altrimenti dovrei denunciarla alla SUCA.
- A che?
- Alla Società Unica Coscienze Avariate. Loro rottamano senza aggiustare.
- Forte!
- Se le piace così!
- No, a me no. Guardi, mi metta tutto a posto, convergenze sentimentali, coscienze, inconscio e altri cazzi. Voglio vivere sereno.
- Sereno? Allora deve restare in laboratorio almeno un altro mese. La rivolto come un calzino, sistemo tutto, e poi le rilascio la certificazione ISO, UNI, UNESCO, AISCAT, Anica, Amat, Atac e Aci. Sarà un uomo nuovo.
- Un uomo nuovo e rovinato, immagino.
- Non si preoccupi. Tariamo il minimo più basso, così potrà vivere con poco. Abbassiamo il livello delle aspettative, tarocchiamo le ambizioni, e siamo a posto. Potrà vivere con il reddito di cittadinanza, diventare haters professionista e andare al family day.
- No, guardi, lasci stare. Tarocchi a sua sorella. Io ho alte ambizioni, la mia coscienza funziona benissimo e al family day non ci voglio andare. Mi tengo il mio cinismo, sto bene così e risparmio pure.
- Ma come fa? Se la fermano?
- Rischio. Arrivederci.
- E se le dico SUCA?
- Lo dica a sua sorella, dopo averla taroccata. Addio.

*** Marco POMAR, scrittore, facebook, 19 gennaio 2020, qui


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#SENZA_TAGLI / Farsi sputare in faccia da un positivo (Fabio Chiusi)

Ma se il virus non esiste più, o comunque non è più pericoloso, perché per dimostrarlo i nostri noti epidemiologi-negazionisti del Covid-19 (Salvini, Siri, Sgarbi, perfino Bocelli) non vanno da un positivo e, molto semplicemente, si fanno sputare in faccia?

Capisco che dirlo ai convegni fa più martire della libertà di espressione, ma non vorrete mica lasciarci davvero in mano alle menzogne del SISTEMA, no?

*** Fabio CHIUSI, giornalista, facebook, 27 luglio 2020, qui


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#VIGNETTE / Guardia costiera libica spara e uccide (Vauro)

VAURO,  1955
vignettista, scrittore, giornalista
facebook, 27 luglio 2020, qui

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martedì 28 luglio 2020

#SGUARDI POIETICI / Mio nonno non ha mai rubato (Andrea Melis)

Mio nonno non ha mai rubato. 
Mai. 
Nemmeno un minuto di vita in più, 
dopo essersela guadagnata tutta la vita e persino la morte
in anni di dignitose sofferenze. 
“Se mi volete bene”, ha detto qualche giorno fa, “lasciatemi andare”. 
E siccome pure il nostro volergli bene
se l’era guadagnato tutto,  
la sua morte ci addolora 
ma non ci ferisce. 
Da oggi, l’amore nostro
cerca solo forme nuove:
le donne fanno,
abbassano palpebre, 
scelgono vestiti
profumano la stanza,
rendono materna
e accogliente
la vita 
anche ora che se n’è andata. 
Gli uomini piangono nascosti
negli abbracci tra uomini. 
Passa alle nostre mani
il tremore dell’infermo
che ha ritrovato nella quiete
l’eleganza con cui ha vissuto. 

*** Andrea MELIS, poeta, facebook, 18 giugno 2020, qui


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#SENZA_TAGLI / Sempre sulla felicità (Simone Perotti)

Io combatto una mia piccola personale battaglia contro la felicità. Sentir parlare di "felicità" mi fa sempre tornare alla mente una velina, una soubrettina bella e scema, che interpellata su quel che desidera risponde: "la pace nel mondo". Parole vuote, senza sostanza, appoggiate su un tavolo che non ha una gamba. Accanto a una pistola quasi sempre fumante.

Posizionare in una parola senza significato, per di più eventualmente utopistica, qualcosa di importante, significa imboccare una via senza destinazione. Qualunque sforzo fatto su quella strada non porterà altro che dove porterebbe se percorsa senza alcun impegno: da nessuna parte. Camminare male o di buon passo su un sentiero senza meta non fa apparire prima o dopo la meta.

Ecco un buon obiettivo: abbandonare le parole vuote. Accorgersi che l'errore è fondativo, parte dalla prima frase. Felicità non esiste, inutile cercarla. Chi la vende è un truffatore. Chi la cerca è un imbecille. Chi ne piange l'assenza è un malato. 

Come considereremmo un velocista che si allenasse per correre i 100 metri in 2 secondi? E un allenatore che promettesse questo ai suoi allievi? E chi si struggesse per non riuscirci?

Buon obiettivo: fare quei cento metri in qualche centesimo in meno del proprio record, semmai. Tradotto: cercare di non patire la causa abituale dei propri dolori; sorvolare se si è troppo coinvolti; impegnarsi se si è lassisti; guardare a se stessi con la dovuta obiettività, senza raccontarsela perché ci fa comodo; prendere ogni cosa che non va, smontarla, rimontarla facendola funzionare; svincolarsi per chi si sente schiavo, ascoltare per chi non è attento; misurare per chi fa tutto a occhio; familiarizzare con l'acqua per chi teme il mare. 

Ecco alcuni dei possibili centesimi da rosicchiare. Roba faticosa, per gente coraggiosa, che non si è seduta, che sta andando, che si sarà meritata la meta.

In poche, sane, belle e giuste parole: mettersi in progressivo equilibrio, cercare una forma di armonia col mondo. Spietatamente accettare, ad esempio, che ogni nostra lamentela è dovuta a un lavoro ancora non fatto in quella direzione. Ogni volta che "è colpa del lavoro" o "della famiglia" o "della crisi" o "del governo" o "di quello stronzo che mi ha fatto soffrire" o "di mia madre" o "della sfortuna". Trovare il coraggio e la forza di cambiare la risposta che diamo, da sempre, in automatico (eterodiretti dalla nostra natura) alla stessa domanda.

Cioè evolvere. Che infatti è: e/ex-volvĕre, voltarsi da ciò che si sta guardando, verso qualcos'altro. Guardare (se stessi e il mondo) da un altro punto di vista, vedendo nuove cose. 
Altrove.

*** Simone PEROTTI, scrittore, Sempre sulla felicità, facebook26 luglio 2020, qui


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#QUADRI / Lavandaie sul Lago Maggiore (Arnaldo Ferraguti)

Arnaldo FERRAGUTI, 1862-1925
facebook, 18 luglio 2020, qui

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#BREVITER / Siamo per la famiglia tradizionale (Vincenzo Zoda)

facebook, 27 luglio 2020, qui

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#VIGNETTE / Un po' di riposo per Conte (Natangelo)

NATANGELO,  1985
'il Fatto Quotidiano', 24 lugli o2020, via facebook, qui

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lunedì 27 luglio 2020

#SGUARDI POIETICI / C'è nella tristezza un contagio (Mariangela Gualtieri)

C’è nella tristezza un contagio
amore mio, e da questo si vede
che abbiamo fatto comune cuore
e siamo uno che pare due.
Allora io
insemino la gioia
in questa cosa che non consiste
però esiste e tiene entrambi appesi.
La gioia ce la metto io.

*** Mariangela GUALTIERI, 1951, poetessa e scrittrice, da Bestia di gioia, Einaudi, 2010, in 'la poesia è viva', 13 agosto 2013, qui 
https://it.wikipedia.org/wiki/Mariangela_Gualtieri


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#FAVOLE & RACCONTI / Il saggio Yoshida, l'anello d'oro e il ragazzo insicuro (Massimo Ferrario)

Aveva la fama di burbero, poco incline ad ascoltare chi gli andava a raccontare i suoi problemi: spesso sembrava infastidito, aveva comportamenti sbrigativi, non compiaceva l'interlocutore. Però molti raccontavano che se superavi questo suo approccio, talvolta a prima vista anche scostante, e ti sforzavi di seguire i suoi consigli, potevi trarne vantaggio.

Chen Go era molto titubante. Da quando gli avevano preannunciato l'arrivo al villaggio del maestro Yoshida  per la Grande Festa del Mercato che la Regione dell'Altopiano aveva deciso di organizzare come tutti gli anni, era dilaniato dal dubbio: andargli a parlare, oppure ancora una volta tenersi il suo piccolo grande problema e provare a risolverlo da solo?

Il ragazzo stava terminando l'adolescenza: sarebbe presto entrato nell'età degli adulti e allora non avrebbe più potuto stare a guardare il mondo. Doveva entrarci attivamente dentro, darsi da fare, trovarsi un mestiere, imparare a gestire i rapporti di lavoro, capire come competere al meglio con tanti altri giovani della sua età smaniosi di cominciare a testare la loro energia e le loro abilità.
Ma lui, ancora, non se la sentiva: si trovava inadatto a tutto.
Era timido, credeva poco in se stesso: subiva troppo il giudizio dei coetanei, che lo ritenevano schivo, impacciato, insicuro e spesso, proprio per questo, lo canzonavano e lo escludevano dalle loro compagnie.

Yoshida alloggiava alla Locanda del Gufo.
Non c'era stato bisogno di cartelli che ne dessero notizia, era bastato il passaparola. E chiunque fosse stato interessato a un incontro, sapeva dove trovarlo.
Per questo, tutta la settimana era stato un via vai incessante di persone che lo avevano assillato, anche con i loro problemi più astrusi.

Il maestro era esausto: si era tenuto l'ultimo giorno per riposare. 
Si era chiuso in camera e si era calato in letture di meditazione di scritti antichi: la sua attività preferita.
Aveva ordinato a Tanaka, il proprietario della locanda, di non far salire più nessuno, informando che, fino all'indomani quando sarebbe ripartito, non desiderava essere disturbato.

Ma Chen Go era riuscito a venire a capo del suo dilemma proprio l'ultimo giorno della festa: quando il maestro aveva deciso di chiudere i ricevimenti. 

Il giovane non fu visto entrare nella locanda dal proprietario, in quel momento impegnato a preparare i piatti in cucina per la prossima cena.
Salì le scale e bussò alla porta del maestro.
Dovette provare tre volte.
Poi, finalmente, sentì come un grugnito.
Aprì con circospezione e mise dentro il capo. 

Yoshida gli mostrava la schiena.
Era seduto vicino alla finestra, immerso nella lettura, facendo uso della poca luce del giorno che entrava dal vicolo stretto in cui si ammassavano le case del centro del villaggio.
Sembrava non essersi accorto della sua presenza.

Chen Go stava per desistere: aveva già dovuto superare, con uno sforzo di volontà che non credeva possibile, lo scoglio della decisione che lo aveva portato fin lì.
Forse era il caso di rinunciare.
Stava per arretrare fino alla porta e uscirsene alla chetichella, quando un secondo grugnito gli fece capire che la sua entrata era stata notata.
Yoshida si era voltato di scatto: il viso scuro, chiaramente irritato.
«Avevo detto a Tanaka che non volevo essere disturbato», gridò il maestro. «Non so chi tu sia e perché sei qui, ma non mi piace la gente che non rispetta i miei desideri e si mostra invadente. Cosa vuoi da me?».

Chen Go divenne rosso in viso: unì le mani in segno di saluto reverente e si inchinò.
«Maestro, vi chiedo scusa. Tanaka non è colpevole perché non mi ha visto entrare e io sono salito non sapendo del vostro ordine. Mi spiace di aver disturbato il vostro riposo. Me ne vado subito.»

La reazione del giovane, sinceramente contrito, colpì positivamente Yoshida, che ammorbidì la sua reazione. 
«Ragazzo, i comportamenti hanno un difetto: una volta messi in atto, non possono più tornare indietro. Quel che è fatto è fatto, diceva il mio maestro. Ormai sei qui. Tanto vale che, oltre a dirmi il tuo nome, mi dici perché».
«Mi chiamo Chen Go, maestro. Ma, per carità, me ne vado: non amo chi importuna e importunarvi è davvero l'ultima cosa che avrei voluto. Vi ripeto le mie scuse.»
Il giovane aveva la mano sulla maniglia, pronto a uscire.

Yoshida recuperò il tono brusco.
«Niente complimenti adesso: li amo ancor meno dei salamelecchi. Avanti, non farmi perdere tempo...».

Chen Go, un po' tranquillizzato, ma un po' pure preoccupato dal cambio dei modi, tornati rudi, si fece forza.
«Ecco, maestro. Mi chiedevo se uno dei vostri saggi consigli non mi avrebbe potuto aiutare a entrare meglio nell'età adulta. Sono giovane, devo senz'altro maturare. Forse anche per questo non ho una grande opinione di me stesso: mi sento sempre incerto, non so mai se faccio bene o male nel fare quello che faccio. Anche perché spesso gli altri mi fanno capire che valgo poco. Che sono poco determinato. Che non avrò un futuro di successo. Forse manco di coraggio. Ho sempre paura di sbagliare. E' grave, Yoshida?».

Il maestro trattenne un sorriso: era di benevola e affettuosa comprensione, ma non voleva che dopo l'inizio burrascoso potesse venir letto in chiave beffarda. No, non avrebbe certo voluto prendere in giro quel ragazzo, verso il quale stava cominciando a provare una sincera simpatia.

Decise di rispondergli a modo suo.
«Tutto sommato sei venuto a proposito. Mi togli un'incombenza di cui non volevo occuparmi».

Chen Go non capiva: un punto interrogativo gli si disegnò in viso.
Yoshida si tolse un anello che aveva al dito.
«Ecco. Ti risponderò dopo che avrai assolto a questo compito che ti affido. Anche come pegno per essermi entrato in camera senza preavviso, quando avevo deciso di starmene solo per tutta la giornata, ti chiedo di andare nella piazza del mercato. Mostra questo anello a chiunque incontri. Chiedi loro quanto lo valutano. Di' loro che sei disposto a venderlo per conto di un uomo ricco al quale poi riferirai. Fatti dire la cifra che sono disposti a pagare: purché sia superiore a una moneta d'oro. Poi torna da me.»

Il giovane prese l'anello: il mercato era a un miglio dalla locanda. 
Si sbrigò subito. 
Non fu un'esperienza piacevole.
Tutti lo deridevano: più di una moneta d'oro per quell'anello? Una follia.
Misero in discussione anche l'uomo che voleva vendere: un uomo ricco? Un poveretto, piuttosto.
Era già tanto se qualcuno era disposto a offrire una moneta d'argento. E un commerciante particolarmente tirchio si era addirittura spinto a proporre una moneta di bronzo.

Il giovane tornò da Yoshida e riferì: anche se non poteva avere nessuna responsabilità per le cifre modeste che gli avevano offerto, si sentiva implicato. E aveva la voce mesta e bassa. 
Il maestro non sembrò per nulla preoccupato: anzi, sembrò consolarsi con una risata sonora.

Poi rinnovò l'incarico al ragazzo.
«Ora ritorna al mercato. Percorrilo tutto e non fermarti più dai proprietari delle bancarelle. In fondo al mercato, troverai una bottega di un gioielliere. Entra, chiedi del proprietario: è vecchio come me e si occupa di gioielli da una vita. Fagli vedere l'anello. Anche a lui di' che un uomo ricco ti ha chiesto di vendere l'anello. Fatti fare l'offerta e torna a riferirmi.»

Chen Go eseguì.
Il vecchio gioielliere guardò l'anello più e più volte: inforcò anche la lente. Era estasiato dalla bellezza, al punto da dimenticare di comunicarne il valore.
Il ragazzo dovette incalzarlo.
«Allora, quanto offrite?»
«Dipende: forse anche 80 monete d'oro. Ma prima dovrei farlo vedere a potenziali acquirenti che sanno apprezzare le cose ben fatte. Avrei bisogno di tempo. Altrimenti, se chi vi manda vuole vendere subito, be', diciamo che con 72 monete d'oro l'affare è fatto».

Il ragazzo era entusiasta.
Anche stavolta il suo impegno era stato solo quello di fare da tramite, ma quell'offerta così alta era come fosse stata rivolta a lui. 

Quando Yoshida ebbe la risposta, si fece riconsegnare l'anello e se lo rimise al dito.
«Avete deciso di non venderlo più?» chiese stupito il giovane.
«Ha una storia lunga. Me l'ha consegnato il mio maestro in punto di morte, quando mi disse che era giunta l'ora: che ero pronto a prendere il suo posto. Lo stesso accadde a lui da giovane e al maestro del suo maestro. Insomma, questo anello ha un valore immenso. Che per me non si misura in monete d'oro. Ma sul mercato dei gioielli solo i gioiellieri lo possono misurare. Come ha fatto il vecchio da cui ti ho inviato: che da generazioni si intende di ciò che tratta.» 
«Quindi non volevate venderlo?»
«No di certo, caro Chen Go. Mai avuto questa intenzione.»

Il ragazzo era sorpreso: cercò di non dare a vedere l'irritazione.
Tutte quelle sue corse per il mercato...
Era anche un po' addolorato e tentò di sollecitare una spiegazione:
«Allora mi avete preso in giro per farmi pagare il disturbo che vi ho arrecato?».

Chiunque in quel momento avesse potuto assistere all'incontro, conoscendo la tradizionale freddezza del maestro, sarebbe rimasto senza parole: Yoshida pareva un altro. Scomparsa quella certa sua burbanza di carattere, appariva dolce, affabile, affettuoso.

«No assolutamente, caro Chen Go. Con questo anello ti ho voluto semplicemente offrire un esempio pratico che non dovrai mai dimenticare. Siamo tutti come questo anello. Tu, io, chiunque. Abbiamo un valore prezioso. Ovviamente, più prezioso ancora è questo nostro valore per chi ha con noi un rapporto affettivo: in questo caso, non c'è prezzo che tenga. Ma il nostro valore è prezioso anche per chi non sa chi siamo. Lo è per definizione. Perché siamo esseri umani. Perché esistiamo. Perché siamo ciò che siamo. Quindi nessuno di noi può essere valutato dal primo che passa. Se proprio dobbiamo avere come riferimento anche i giudizi degli altri per capire chi siamo (ma ricordiamoci sempre che gli altri non devono mai essere tutto per noi, specie se non sono importanti per noi), facciamoci valutare solo da chi se ne intende. Da chi sa cogliere il positivo che è in ogni essere umano. Perché anche chi sembra non avere nulla da offrire, ha qualcosa di unico. Insomma, caro Chem Go: siamo tutti oro. Brilliamo tutti. Anche chi ha ombre. Anzi, senza ombre il nostro brillio sarebbe meno lucente.»

Il giovane rifletteva.
«Però il valore dell'oro non è uguale per tutti: c'è anello e anello».
«Certo, ragazzo: c'è anello e anello. Ma se, come dicevo, siamo sempre oro, nessuno può dirci che siamo argento. O, peggio, bronzo. Chi lo dice, non ci conosce. Oppure non ci vuole conoscere. Oppure ci vuole umiliare. E l'umiliazione peggiore è farci credere che non valiamo il valore che valiamo. Chi si intende di esseri umani, come quel gioielliere si intende di gioielli, sa tutto questo e sa apprezzare la bellezza che è in ogni anello che vede. Non usa categorie, non stigmatizza, non squalifica: cerca di partire da quanto valiamo e, se mai, ci aiuta a valere di più. Tutti gli altri, quelli che parlano o sparlano di noi, non meritano la nostra attenzione: lasciamoli dire. Abbiamo altre cose più importanti da fare che ascoltarli. Tu, per esempio, hai la tua via da trovare. E poi, quando l'avrai trovata, da percorrere senza finire fuori strada. O magari, anche, nel corso della vita, da cambiare. Perché non è detto che una strada sia per sempre e la vita ci propone  incroci ad ogni angolo.  Importante ora, per te, è che ti guardi dentro. Che senti la tua anima, che scovi la tua pepita, alla tua età oggi giustamente ancora opaca: che fai venire a galla la tua passione. Capirai la direzione e ti metterai in cammino. Lo so, non è facile. Ma la consapevolezza che oggi ho cercato di accendere in te, di essere comunque oro, potrà aiutarti. Sei oro, ricorda: né argento, né bronzo.»

Yoshida si era quasi meravigliato dell'energia che aveva messo nelle parole: ma quel ragazzo, anche se era la prima volta che lo vedeva, gli sembrava meritarsela.
Chen Go aveva colto il tono affettuoso e autentico del maestro: pareva rinfrancato.
Anche se non si nascondeva quanto sarebbe stato impegnativo seguire le indicazioni del maestro: trovare la strada, percorrerla, non sbandare, magari correggerla, cambiarla...

Yoshida si segnò una data su un piccolo quaderno di appunti che aveva in borsa. 
Poi la comunicò al giovane.
«E' la data del giorno in cui tornerò al villaggio: tra sei mesi, per fine anno. Ho segnato il tuo nome: tieniti libera la giornata intera. Desidererei trascorrerla con te, passeggiando per i boschi, all'aria aperta, tra la neve di questo altopiano: altro che in questa cameretta opprimente (ma non dirlo a Tanaka, che è tanto gentile nell'offrirmela ogni volta: ed è la migliore della Locanda...). Mi racconterai della tua strada. Se l'avrai trovata, se e come la stai percorrendo, come stai facendo fruttare l'oro che sei. Intanto, non potendo fare altro, farò il tifo per te, caro Chen Go. Io non ho dubbi del tuo oro: a 24 carati. Non un carato di meno».

*** Massimo Ferrario, Il saggio Yoshida, l'anello d'oro e il ragazzo insicuro, per Mixtura - Libera riscrittura creativa di un testo che circola in rete.


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#QUADRI / Contadini (Giulio Da Vicchio)

Giulio DA VICCHIO, 1925-2004
facebook, 26 luglio 2020, qui

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#BREVITER / Ma infatti (Alessio Facchini)

facebook, 25 luglio 2020, qui

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#VIGNETTE / Stanotte ti ho sognata (Pepè)

PEPE'
facebook, 21 luglio 2020, qui

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domenica 26 luglio 2020

#SGUARDI POIETICI / E mentre tu impari (Maria Balossi Restelli)

E mentre tu impari
a diventare grande, 
io cresco
a diventare piccola.

Mi hai chiesto come si fa un nodo
ad un palloncino pieno d’acqua.
Ed io sono inciampata
in un ricordo pieno d’infanzia.

Sulla punta delle mie dita 
ho ritrovato mia madre.
Sulla punta del tuo entusiasmo
mi sono ritrovata 
- bambina -

Mi è scoppiato tra le mani
il ricordo di tutto 
quello stupore.

Ho fatto un nodo
attorno ad una piccola bolla.
E poi.
Uno scroscio rotondo e
un vestito inzuppato.
Il cortile era il mare.
Ho riso all’estate 
accarezzandola di schiena.

Ad infilare le dita tra i nodi,
a sentire che non fanno più male
Ad intrecciare tutti quei pensieri
mi sono riparata il cuore.

Ma come facevo a non ricordare
la meraviglia?

E mentre tu sogni
di diventare grande
io cresco,
a diventare piccola.

Le magie non hanno gli angoli.
Mai.

*** Maria BALOSSI RESTELLI, E mentre tu impari, facebook, 24 luglio 2020, qui


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#EX LIBRIS / Cosa vuoi fare della tua vita? (Kent Haruf)

Pat, disse. Mi stavo chiedendo una cosa.
Cosa?
Pensi mai a cosa vuoi fare della tua vita?
Spero di combinare qualcosa.
Davvero? rispose il padre. Che sollievo. Ma toglimi una curiosità: quando pensi di cominciare?

*** Kent HARUF, 1943-2014, scrittore statunitense, La strada di casa, 1990, NN editore, 2020


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#QUADRI / Fine di un'era (Bo Bartlett)

Bo BARTLETT, 1955
pittore statunitense
Fine di un'era, 2016-2019
facebook, 25 luglio 2020, qui

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#BREVITER / Militari israeliani (Massimo Persia)

facebook, 25 luglio 2020, qui

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#VIGNETTE / Perché non ci vai a giocare? (Kutoshi Kimimo)

Kutoshi KIMIMO
facebook, 22 luglio 2020, qui

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sabato 25 luglio 2020

#PIN / Mele marce (MasFerrario)


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#SGUARDI POIETICI / Controcorrente (Lino Curci)

Non cederò all'invito dell'ironia dissacrante,
non cadrò nella nevrosi così vezzeggiata dai critici
dove il linguaggio balbetta alla radice semantica,
non giocherò col linguaggio, non sporcherò la parola,
non sarò di moda. La vita è seria,
non giocherò con la vita, con i mali dell'uomo.
Resterò come sono e scontento di esserlo,
e che altro potrei fare ormai
se non restare nella verità
portandone gli insulti come un trofeo.


*** Lino CURCI, 1912-1975, poeta, Controcorrente, da Con tutto l’uomo, Rizzoli, 1973, in 'ilcantodellesirene', 21 luglio 2020, qui
https://it.wikipedia.org/wiki/Lino_Curci


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#FAVOLE & RACCONTI / Il pesciolino e l'oceano (Massimo Ferrario)

Aveva pochi giorni e un’energia inesauribile. 
Guizzava a più non posso: in lungo e in largo, in superficie e in profondità. Scopriva via via senza stancarsi fondi incredibili, ogni volta diversi: anfratti, caverne, catene coralline, alghe, piante subacquee mai viste. E faceva incontri continui con pesci di ogni tipo e grandezza. 

Era sempre alla ricerca di novità. 
Non riusciva a godersi la vista delle infinite bellezze naturali che le sue nuotate ogni volta gli offrivano: immaginava che altrove avrebbe trovato sempre di più e meglio.

Quella mattina gli si affiancò un pesce grande. Con i baffi. 
Doveva essere anziano. Navigava placido, lento, felice. Gustandosi il fresco dell’acqua e il panorama tutt’intorno.
Gli sorrise.

Non si parlarono molto. 
Il pesce grande sprizzava gioia: esclamò che era tutto molto bello. Troppo bello. 
Il pesciolino assentì col capino. Anche se un po’ tese a minimizzare: 
«Hai ragione. Ma io non esagererei. Chissà quanti altri posti ci sono sono ancora più belli.» 
«Guarda», assicurò il pesce grande. «Io nuoto da una vita. E  ti confesso che ho visto tanta bellezza. Nulla è più stupefacente dell’oceano.»

Il pesciolino stava per rispondere.
L’oceano? Voleva capire meglio, voleva approfondire.
Ma il pesce grande era già sparito: forse si era inabissato per osservare la superba nuotata di un cavalluccio marino che stava passando davanti a loro in quel momento.

Fu da questo incontro che nel pesciolino scattò l’ossessione. 
L’oceano.
"Nulla è più stupefacente dell'oceano", aveva detto il vecchio pesce con i baffi.
Ma dove si trovava l'oceano?
Doveva saperlo. Doveva trovarlo. Doveva andarci.

Tutte le volte che incontrava un pesce che gli pareva affidabile lo fermava e gli ripeteva la stessa domanda. Qualcuno faceva finta di non sentire, qualcuno gli lanciava un sorriso sornione.

Decise allora di cambiare interlocutore: basta pesci.
E provò con una splendida pianta che, giù in fondo, vicino a un grosso sasso, dondolava simpaticamente le sue foglie al lento muoversi delle onde, beandosi della corrente.

«Ho una domanda importante per te, cara pianta: nessuno tra i pesci sa la risposta. Magari tu mi puoi aiutare». 
La pianta si inorgoglì: finora nessun pesce si era accorto della sua esistenza.

«Dimmi, caro pesciolino. Se posso ti rispondo volentieri.»
«Ecco, il mio problema è semplice: non so dove sia l’oceano. Me ne hanno parlato. Ci voglio andare. Un vecchio pesce mi ha confidato che è un posto stupendo. Mi ha detto che lui ha girato tanto e che ‘nulla è più stupefacente dell’oceano’. Immagino che ci siano meraviglie ben più meravigliose di quelle che si vedono in queste acque. Quale direzione devo prendere per trovare questo oceano?».

La pianta si lasciò attraversare da un tremolio generale che non finiva di scuotere ogni foglia: era il suo modo di ridere. 
«Caro pesciolino, se cerchi l’oceano non c’è bisogno che ci vai. Ci sei.» 
Il pesciolino non capiva. 
«Come ci sono?». 
«Ci stai nuotando dentro. È questo l’oceano.»
Il pesciolino ebbe una reazione infastidita. 
«Mi stai imbrogliando. Questo non è l’oceano. Questa è acqua.»

E risalì senza salutare.

Non si rassegnò mai: passò tutto il resto della vita a chiedere a ogni pesce dove fosse l’oceano.
Poi finì per convincersi: anche lui, come tutti i pesci, sarebbe morto, o perché ingannato da qualche amo cui non avrebbe resistito, o perché accalappiato da qualche rete impossibile da avvistare per tempo, o perché alla fine esaurito dal procedere della naturale vecchiaia. Ma era era sicuro: un attimo dopo aver chiuso la bocca per sempre ci sarebbe andato.

Quello finalmente sarebbe stato l’oceano. 

*** Massimo Ferrario, Il pesciolino e l’oceano, per Mixtura - Libera riscrittura creativa di un testo anonimo, presente anche in rete.


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#QUADRI / Pioppi, tramonto a Eragny, 1894 (Camille Pissarro)

Camille PISSARRO,  1830-1903
pittore francese
Pioppi, tramonto a Eragny, 1894
facebook, 20 luglio 2020, qui

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#RITAGLI / La divisione giovani-anziani e i romanzi (Elizabeth Strout)

C’è una divisione in questo momento tra i ragazzi e gli anziani. I più giovani sembrano non capire che in ballo non ci sono solo loro e che possono infettare anche altre persone».

[D: Non è un tema solo americano. Manca l’empatia?]
Temo sia piuttosto una diffusa difficoltà a usare l’immaginazione. Se un evento non capita a te in prima persona, non riesci a immaginarlo ed è come se non esistesse. È anche per questo che servono i romanzi, aiutano a immaginare qualcosa che va oltre sé stessi.

*** Elizabeth STROUT, 1956, scrittr5ice statunitense, intervistata da Alessia Rastelli, Elizabeth Strout: «Negli Usa il Covid ha diviso i ragazzi dagli anziani», '7', 24 luglio 2020, qui


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#VIGNETTE / E il Piccolo Cazzaro (Natangelo)

NATANGELO,  1985
'il Fatto Quotidiano', 23 luglio 2020, via facebook, qui

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venerdì 24 luglio 2020

#SGUARDI POIETICI / Anche quando dormiamo (Paul Éluard)

Anche quando dormiamo vegliamo l’uno sull’altro
E questo amore più greve del frutto maturo di un lago
Senza riso e senza pianto dura da sempre
Un giorno dopo l’altro una notte dopo di noi

*** Paul ÉLUARD, 1895-1952, poeta francese, Anche quando dormiamo, da Il duro desiderio di durare, 1946, traduzione di Vincenzo Accame, in 'ilcantodellesirene', 13 luglio 2020, qui


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#RACCONTId'AUTORE / Caino, Abele e le galline (Federico Asborno)

- Ehi Caino!
- Ciao Abele, come mai qui?
- Mi manda papà, dice che se riesci entro stasera alle 19 dovresti dissodare il campo a sud-est, quello pieno di pietre.
- Ma sono le 17 ed è da stamattina alle 4 che zappo. Sarei anche stanco.
- Dice che è proprio proprio importante.
- E io sono proprio proprio esausto.
- Ah, vabbò, allora lascia stare, però non penso la prenderà bene.
- Senti Abele, ho un’idea, un’idea rivoluzionaria, un’idea che ti cambierà profondamente la giornata. Vuoi sentirla la mia idea?
- Dimmela!
- Perché non prendi questa zappa, composta da un rudimentale bastone nodoso e una pesantissima pietra piatta, non te la metti in spalla, ridiscendi la collina e non ci vai tu a zappare quel benedetto campo che nostro padre vuole dissodato per stasera alle 19? Perché io ne avrei anche un po’ piene le scatole di spaccarmi la schiena mentre tu ti gingilli…
- Lo vorrei tanto Caino, ma devo proprio studiare, ho l’esame dopodomani.
- Abele sono tre mesi che non muovi un dito per colpa di questo esame. Papà per pietà ti manda a badare al bestiame.
- Anche tu lo facevi!
- Sì, quando avevo 4 anni.
- Eh, bravo, che ti devo dire?
- Proprio niente visto che a 4 anni svolgevo il mio lavoro meglio di uno di 23 che si mette all’ombra di un albero a spulciare le sue pergamene mentre le bestie fanno quello che vogliono. 
- Ma smettila.
- Solo quest’estate hai perso otto capre e sei becchi! 
- Il bestiame non ci manca.
- Ci rimanevano solo quelle otto capre e quei sei becchi! 
- Dimentichi le tre galline, quelle stanno da Dio.
- Perché per loro fortuna non si muovono dal loro recinto e nessuno si sogna di affidarle a te.
- Sei sempre così critico nei miei confronti, Caino, sei sicuro di non essere un po’ invidioso…?
- Invidioso? E di cosa? Grazie a te i lupi della zona stanno diventando così grassi che già il mattino presto li vedi passare ai bordi dei prati per fare un po’ di footing.
- Esagerato!
- Alcuni hanno anche scaricato Runtastic per tenere sotto controllo i loro progressi.
- Senti, non so te Caino, ma non sono mai stato bravo a fare più cose a tempo. Devo studiare? Sì! Quindi non posso fare certi lavori e – detto in tutta franchezza – mi sembra anche magnanimo da parte mia mettermi a disposizione per farli.
- Abele, io ti voglio bene, davvero, ma è proprio venuto il momento che te lo dica: studi Beni Culturali.
- E quindi?
- E quindi smettila di fare il martire. Quanto avrai mai da studiare visto che viviamo nella dannata Preistoria? Al mondo ci saranno in tutto sette pitture rupestri in Valcamonica e qualche statuetta raffigurante le forme obese del Femminino Sacro. Mi vuoi dire che non ti basta un pomeriggio di studio come si deve per prendere un 30 e lode?
- Parli così solo perché non hai mai studiato un giorno della tua vita…
- Scusa…?
- Ma i saggi critici, Caino, hai idea di quanti saggi critici io abbia dovuto studiarmi in queste settimane?
- Ma non esistono ancora i critici!
- Non esistono?! Dio, perdonalo perché non sa quel che dice. Caino apri gli occhi: ci sono critici in ogni dove! La moria di capre che vediamo tutti i giorni non è certo determinata dalla fame dei lupi, ma dai critici e dalla loro necessità di pergamena nuova da imbrattare con le loro astruse teorie. È quella del critico la professione più antica del mondo! Pensa che esistono critici di tutti i tipi e nessuno sopporta l’esistenza degli altri, tanto che non fanno altro che litigare a suon di pamphlet più acidi del latte di Betsy…
- …quando ancora faceva latte, cioè prima che un lupo la dilaniasse mentre tu sonnecchiavi all’ombra di un pino marittimo…
- …se Betsy non si fosse allontanata oltre quel crepaccio contro la quale la mettevo sempre in guardia!
- Betsy era una capra, Abele! Che ne sa Betsy di avvertimenti e crepacci? Dovevi essere tu a starle dietro, così come io sto dietro ai miei campi!
- Eh facile così, i campi mica scappano anche se ti distrai un attimo!
- Abele ti avverto, mi stai facendo proprio uscire dai gangheri. Adesso piglia ‘sta zappa della malora e vai a dissodare quel campo.
- Non ci penso nemmeno lontanamente: sto andando a ripetere sotto il Grande Pioppo.
- A ripetere?
- Sì, Caino, è una pratica piuttosto usuale per coloro che studiano: serve a fissare nella memoria le nozioni che con fatica si sono apprese.
- Solo le ragazzine isteriche ripetono. La gente seria fa i riassunti.
- Mi mancava questa. Chi è? Novalis? Simone de Beauvoir? Feuerbach?
- Smettila di sbattermi in faccia nomi di gente a caso solo per farmi vedere che hai studiato.
- Democrito! Teofilo Folengo! Antoine-Laurent de Lavoisier! Ferdinand de Saussure! Francesco De Sanctis! Carl Friedrich Gauss! Alexandre Dumas! Franz Liszt! Giordano Bruno! Quinto Fabio Massimo detto “il Temporeggiatore”!
- Abele sei fuori corso da tre anni! Dacci un taglio che ti rendi solo ridicolo!
- All’università degli studi di Babele è più che normale andare fuori corso.
- I nostri genitori si stanno dissanguando per pagarti gli studi, lo capisci? Mamma piange ogni sera: si mette accanto alla Imponente Fessura nella grotta, sperando che il sibilare del vento copra i suoi singhiozzi. Papà per sfogarsi va a spaccare legna, frantuma ciocchi grandi quanto il suo torace lanciandoli contro l’Alta Pinnacola urlando il tuo nome. E tu che fai nel frattempo? Studi le pippe mentali di quattro sciroccati che disquisiscono di pitture rupestri sorseggiando Martini Cocktail dal mattino alla sera con i loro occhiali di corno e le giacche con le toppe sui gomiti. 
- La tua è solo patetica invidia classista da sotto-proletario, Caino. Mettiti il cuore in pace: non c’è alcun onore nell’essere povero, così come non c’è alcun merito nell’essere ignorante e io sto cercando di rimediare a entrambi dandomi da fare coi miei studi… e con un mio progettino personale.
- Un tuo cosa?
- Ho comprato la Stalagmite di Kessel.
- “Comprato”? Con che cosa? Non abbiamo altro che tozzi di pane integrale e qualche rudimentale arnese.
- Beh, ci rimanevano anche le galline…
- …hai venduto le galline?
- Tecnicamente le ho barattate. I quotatori dicono che la Stalagmite di Kessel è l’ultimo grido del mercato dell’arte. Tempo sei mesi e avrà decuplicato il suo valore!
- Chi è che ti ha proposto questo “affare”?
- Il mio docente di Storia dell’Arte Contemporanea.
- Perché? Esiste anche una Storia dell’Arte Non Contemporanea?
- No, ma…
- Vabbè, vabbè chi se ne frega. Abele, adesso tu devi fare una cosa per me: prendi la tua Stalattite…
- Stalagmite. È l’opposto.
- Ok, ok, Stalagmite. La prendi, la incarti e la riporti al tuo professore, chiedi scusa, dici che ti sei sbagliato e che rivuoi assolutamente le tue tre galline. Per il disturbo gli lasci anche un paio di uova, toh! Ma devi farlo ora, Abele, perché se tuo padre e tua madre scoprono che hai fatto una roba del genere temo che li vedremo gettarsi mano nella mano dall’Alta Pinnacola prima che il sole sia tramontato.
- Ma sei pazzo?
- Giuro di no.
- E comunque non potrei.
- Ah no? E perché?
- Mentre gli portavo le galline, beh, c’è stato un incidente.
- Abele dimmi che almeno hai quella Stalagmite.
- No, ce l’ha ancora il mio professore.
- Perché non hai quella stramaledetta Stalagmite, Abele?
- Da qui a Babele è lunga, lo sai…
- …
- …la notte prima avevo dormito poco. “Quanta strada vuoi che facciano tre galline?” mi sono detto. Dieci minuti di pisolino e non c’erano più. Ma dieci minuti di meridiana eh! Così mi sveglio, mi guardo intorno e c’erano solo un sacco di piume, qualche zampa e… Caino, che vuoi fare con quella pietra!? Caino?! CAINO!!

*** Federico ASBORNO, scrittore, facebook, 6 febbraio 2019, qui


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