giovedì 23 luglio 2020

#FAVOLE & RACCONTI / Bicchiere o lago? (Massimo Ferrario)

Era estate. E tutti nel villaggio attendevano con ansia che Whu Zhi, come ogni anno, arrivasse al Piccolo Monastero per trascorrervi la settimana.

Era una tappa consueta del suo viaggio per le montagne e le valli della regione. Si ripeteva due volte l'anno, in estate e in inverno, e la tradizione durava da qualche lustro: era ormai impensabile potesse interrompersi. Perché le conversazioni in pubblico del maestro, nella piazza del paese, costituivano l'avvenimento che nessuno voleva mancare. In quei giorni tutte le attività venivano sospese e le parole di Whu Zhi avevano una 'vita lunga': divenivano oggetto di riflessione e di scambio tra i valligiani nella vita quotidiana fino al successivo incontro.

E poi, il maestro, nel corso della settimana in cui sostava al monastero, concedeva  incontri singoli: lui non aveva naturalmente la ricetta per risolvere i problemi di vita e di convivenza di chi andava a confidarsi, ma era apprezzato proprio per questa sua franchezza nell'ammetterlo.
'Ti fa riflettere', ripetevano tutti quelli che avevano avuto occasione di condividere i loro dubbi, anche profondi, o i loro vissuti, anche molto sofferti. E aggiungevano, convinti: 'Ti instilla nell'anima dei piccoli semi: magari, al termine dell'incontro, non hai la risposta che desidereresti avere subito, ma dopo lo scambio ti ritrovi con uno sguardo diverso. E' il seme che germina. E molte volte, a distanza di giorni o mesi dal colloquio che hai avuto con lui, la risposta te la ritrovi, più facile e più semplice, dentro di te. Può non essere risolutiva: ma è una risposta che un po' comincia ad aiutarti'.

Sun Peng non aveva mai parlato con Whu Zhi, ma lo aveva ascoltato con attenzione e partecipazione durante tutte le sue venute in paese: ogni volta era rimasto impressionato dalla saggezza e dalla ampiezza di visione con cui sapeva inquadrare i problemi.

Da mesi sperimentava una confusione totale: un disagio esistenziale che non riusciva a governare. Era giovane, la vita avrebbe dovuto sorridergli: il suo mestiere di artigiano gli dava soddisfazione, i clienti di tutta la valle gli riconoscevano mestiere e onestà, all'orizzonte intravvedeva un matrimonio con una ragazza bella e innamorata di lui. Eppure stava male: soffriva.

Per essere sicuro di riuscire a parlare con il maestro, la mattina del secondo giorno del suo arrivo, il giovane fin dalle prime ore dell'alba stazionava davanti al portone del Piccolo Monastero: aspettò a lungo, per paura di apparire invadente. Poi, nonostante l'ora, si decise. Bussò e chiese a Li Min, l'allievo che gli aveva aperto, di essere ammesso alla presenza di Whu Zhi.

La disponibilità di Whu Zhi era nota: Li Min non ebbe dubbi nel far entrare il giovane, anche per evitare, se avesse frapposto ostacoli sull'orario inusuale, di essere rimbrottato dal maestro.
E poi, la faccia scura e cupa del ragazzo, era parlante: la sua anima doveva essere avvolta da una grande sofferenza.

«Mi hanno riferito che vuoi assolutamente parlarmi, Sun Peng. Indovino dal tuo volto che porti in te un peso che ti schiaccia. Se vuoi aprirti, dimmi della tua sofferenza. Anche se sai che non sono un mago: non ho bacchette miracolose che possono cambiare cose e persone, diffondendo fortuna e felicità.»
Il giovane si mostrò consapevole.
«Lo so, maestro. Non mi aspetto soluzioni prodigiose, ma conosco la vostra saggezza. In paese tutti ne sono conquistati. E non c'è chi, quando ha avuto bisogno, non si è sentito aiutato da voi. Per questo sono qui.»
«Prova a dire, ragazzo: ti ascolto con testa attenta e cuore caldo. La testa, per cercare il più possibile di capire anche ciò che sempre, dall'esterno, si fatica a capire; e il cuore, per essere in profonda partecipazione con la tua anima: sentire come te quello che senti, cercando di caricarmi dei tuoi problemi.»

Sun Peng si sentì rinfrancato.
«Grazie, Whu Zhi. Non voglio rubarvi troppo tempo: cercherò di essere sintetico. Posso racchiudere tutto ciò che mi sta capitando in un unico verbo. Un verbo di poche lettere, ma che mi sta davvero squassando l'esistenza: soffro. Soffro disperatamente. La confusione in cui sono precipitato è grande: la vita mi appare senza significato. Vivo tutto ciò che faccio come insulso: il lavoro di artigiano che svolgo, per il quale pure mi viene riconosciuta competenza e abilità; l'amore che provo da un anno per la ragazza che vorrei far diventare mia moglie; i rapporti che ho con i miei vecchi genitori e con gli amici. Ogni cosa mi sembra senza senso. Queste parole possono suonare retoriche, false, stucchevoli. E per questo solo a te, ora, le sto dicendo: nessun altro capirebbe tutto il dolore lancinante che provo. Vorrei smettere di vivere. Ti chiedo aiuto».

Il maestro era stato precipitato in un profondo turbamento.
La sua anima aveva colto l'angoscia esistenziale del ragazzo. Sono i casi in cui le parole risultano insufficienti: in cui bisogna ascoltare e stare zitti. E se il silenzio è profondo e intenso, davvero pregno del dolore che l'altro trasmette, anche questo è comunicazione.

Trascorsero secondi che parvero minuti.
Poi il maestro fissò negli occhi il ragazzo a lungo.
E prima di un secondo silenzio che parve ancora più interminabile, si limitò a sussurrare.
«Ti 'sento', Sun Peng. La tua anima è entrata dentro di me. E mi fa male il dolore della tua.».

Fu il giovane a riprendere. Ma era come se parlasse con se stesso.
«Mi perseguitano anche idee strane. Ma forse sono io che le chiamo strane. Sono strane solo perché sono un vigliacco: non ho il coraggio di salire allo Strapiombo dei Demoni...».

Whu Zhi, senza neppure pensarci, si trovò a confessare un suo segreto.
«E' accaduto anche a me, Sun Peng. Tanti anni fa. Non lo sa nessuno, ma è accaduto. Era un altro strapiombo, in un'altra valle, con un altro nome. E a differenza di quanto tu mi stai dicendo, io a quello strapiombo ero salito: su quel bordo ci ho trascorso una notte. Poi ho deciso di ridiscendere. Forse non solo per vigliaccheria. Ma perché ho capito che nella vita si può perdere il bandolo della matassa. Ma lo si può anche ritrovare. Magari non per sempre perché la matassa si riaggroviglia. E la sofferenza, il disagio del non-senso, le domande di fondo dell'esistenza, si ripresentano: dure, implacabili, decisive. E ogni volta devi scegliere che fare. Ho imparato che si chiama vita. E ognuno la vive in maniera diversa».

Il giovane era sbalordito dalla rivelazione del maestro: non si sarebbe mai aspettato che la personificazione della saggezza, rappresentata da Whu Zhi, potesse rivelarsi così umana.

Il maestro colse questo suo sentimento e glielo esplicitò.
«Non siamo divinità, caro Sun Peng: non esistono gli dei, né quelli buoni, né quelli cattivi. Siamo umani. Tutti. Anche i cosiddetti saggi. Siamo terribilmente, ma fortunatamente, umani. Cioè 'terreni', come dice l'etimologia di una lingua occidentale che troppo spesso l'Occidente parla senza più conoscere. Sì, 'fatti di terra', non di cielo limpido e puro. Oppure, ancora meglio, impastati di un miscuglio di terra e di cielo: di ombra e di luce.  Le persone mi mettono sul piedistallo: io ogni volta, anche con fare teatrale, scendo, per far capire che il mio posto è accanto a tutti, non sopra. Perché provo, ovviamente, le stesse emozioni e gli stessi sentimenti di tutti. La sofferenza è una delle tante dimensioni del vivere: qualche volta si ha modo di limitarla, individuando e contenendo le difficoltà che ci impediscono un atteggiamento più sereno e rilassato; qualche volta si riesce ad annullarla, entrando in una dimensione che la lascia scorrere accanto a noi, senza che ci disturbi più di tanto; qualche volta si finisce preda di essa, come fagocitati da un gorgo che ci porterebbe a fondo se non riuscissimo a trovare quel bandolo della matassa di cui parlavamo prima. Dipende, Sun Peng. Dipende.»

Il ragazzo rifletteva.
Ma il 'dipende' con cui il maestro aveva appena chiuso il suo dire fu come uno spillo su una sedia mentre ci si sta sedendo. E la domanda fu immediata.
«Dipende, Whu Zhi? Da chi? Da cosa? Che possiamo fare, allora, noi poveri umani terreni?»

Il maestro riprese.
«Dipende dalle circostanze. Dal destino. Dal condizionamento che gli altri esercitano su di noi. Da come viviamo il momento particolare. Dunque dipende anche da noi, certo: se vogliamo, se possiamo, se ce la facciamo. Noi non determiniamo tutto, ma possiamo giocare la nostra parte. Anzi, diciamolo: spesso molto dipende da noi.»
Il giovane incalzò.
«Da noi?»

Whu Zhi ricordò l'esperimento del bicchiere.
Per la verità non seppe mai quanto, quella volta, la conoscenza di quell'esperimento, trasmessagli dal suo più grande maestro di vita, gli fosse servita per uscire dalla crisi atroce che prima aveva confidato al giovane; ma un aiuto sicuramente gliel'aveva dato, quando aveva deciso di abbandonare lo strapiombo. E nonostante altre volte, nel corso della vita, avesse poi conosciuto momenti di confusione esistenziale, mai più aveva cercato di raggiungere altri precipizi dai quali farsi attrarre.
Decise di avanzare una proposta al giovane.

«Ascolta Sun Peng. Sai che non ho né bacchette magiche, né pozioni misteriose capaci di risolvere i problemi. Ti propongo solo un'esperienza: a me, la volta in cui mi trovai di fronte all'abisso di cui ti ho parlato, questa esperienza servì.»

Il ragazzo era incuriosito: per un attimo non sentì più il dolore della crisi che lo attanagliava.

«Sono pronto a tutto, maestro.»
«Benissimo. Allora oggi pomeriggio facciamo una passeggiata al Grande Lago: la giornata ha il clima giusto, il sentiero è pianeggiante e in ombra, in mezz'oretta ci arriviamo. Ti chiedo solo di procurarti un bicchiere.»
«Un bicchiere?»
«Sì, un bicchiere. Di vetro. E' fondamentale, vedrai. Ci possiamo dare appuntamento alla spiaggetta in cui sono tirate a riva le barche. Proprio vicino al pontile. Alle quattro mi troverai lì.»

Furono ambedue puntualissimi.
Il maestro si fece consegnare il bicchiere e insieme raggiunsero, sulla riva, l'acqua del lago.
Il cielo non aveva una nuvola, l'aria era tersa, il lago era blu cobalto: ispirava pace e serenità.

Whu Zhi chiese a Sun Peng di chinarsi per riempire il bicchiere con l'acqua del lago.
Il giovane eseguì: l'acqua del bicchiere era fresca e cristallina, invitava a una bevuta.
Poi chiese a Sun Peng di chinarsi per prendere una manciata di sabbia.
«Gettala nel bicchiere», gli disse.
L'acqua naturalmente divenne torbida e il bicchiere, prima trasparente, fu tutto grigio.

Il maestro allora proseguì.
«Adesso chinati per prendere un'altra manciata di sabbia, uguale a quella di prima. Ma anziché buttarla nel bicchiere, percorri il piccolo pontile fino al punto estremo: dove si vede bene la profondità del lago. Inginocchiati vicino all'acqua e getta la manciata di sabbia nel lago, senza lasciarla cadere da troppo in alto, così da non disperderla nell'aria. Poi osserva bene ciò che accade.»

Il giovane fece tutto come indicato.
Quando tornò, guardò in faccia Whu Zhi.
Commentò:
«Le mie sofferenze sono come la sabbia. Nel bicchiere intorbidano l'acqua, nel lago si disperdono e l'acqua resta pulita».

Whu Zhi sorrise.
«Ecco. Come hai appena sperimentato, e come prima dicevamo: 'dipende'.

Non ebbe bisogno di aggiungere altro.
Fu Sun Peng che concluse.
«Dipende dalla scelta che facciamo: se vogliamo essere bicchiere o vogliamo essere lago».

«Già», disse Whu Zhi.
Era soddisfatto di aver lanciato uno stimolo. Ma sapeva che la conclusione del giovane poteva non essere definitiva: se la ragione fosse l'unica a decidere, saremmo macchine, non esseri umani. Dire che basta decidere tra bicchiere o lago può costituire un primo passo: ma il passo cruciale viene dopo.

E infatti, dopo un lungo minuto di silenzio in cui quasi si poteva ascoltare il tormentato lavorìo 'testa-pancia' di Sung Peng, arrivò la riflessione finale del giovane, sussurrata al maestro con un sospiro e come mormorata tra sé e sé.
«Però c'è un altro 'dipende', maestro Whu Zhi. E questo è quello decisivo. Perché il punto non è solo se 'vogliamo' essere lago. Il punto è se 'ce la facciamo': ad allargarci per essere lago e a smettere di essere bicchiere.»

Il maestro alzò le braccia: facendo capire che qui lui era costretto ad arrestarsi.
Il giovane si inchinò, congiungendo le mani.
«Mi avete dato uno spunto per vedere le cose in modo diverso, Whu Zhi: non è tutto, ma è tanto. Vi debbo ringraziare: dal profondo del cuore.»

*** Massimo Ferrario, Bicchiere o lago?, per Mixtura - Rielaborazione creativa di un testo anonimo diffuso in rete.


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