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martedì 25 luglio 2017

#SENZA_TAGLI / Una cecità diffusa (Domenico Starnone)

La sete di giustizia va bene, ma il problema è riconoscere l’ingiustizia. In genere crediamo che sia una cosa facile ma non è così. Le porcherie sono a tal punto consuete, nella vita di ogni giorno, che le consideriamo un normale modo di vivere. La disuguaglianza sociale? È il motore indispensabile dello sviluppo. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Combatte la disoccupazione. Vendere armi? Abbiamo il dovere di contribuire alla ricchezza della nazione. Discriminare in base al colore della pelle o al sesso? Non è questione di discriminazione ma di capacità. Abbiamo messo a ferro e fuoco interi continenti saccheggiandoli, impoverendoli, e i guai odierni vengono di lì? Sempre con questo piagnisteo, guardiamo al futuro.

C’è insomma una cecità diffusa che permette di aumentare ogni giorno la dose dei soprusi spacciandoli per interventi oculati. C’è soprattutto un consentire massiccio con la disumanità sentendosi nel giusto. Sicché urge non un’educazione alla giustizia ma al riconoscimento dell’ingiustizia. Cosa da cui va escluso, però, il momento in cui ci pare che dell’ingiustizia siamo noi le vittime. Lì c’è sempre il rischio di prendere abbagli e finire nel ruolo dell’aguzzino. È solo quando riconosciamo il torto che viene fatto agli altri e lo sentiamo intollerabile a prescindere da qualsiasi eventuale buona ragione, che la nostra educazione è davvero cominciata.

*** Domenico STARNONE, scrittore, Una cecità diffusa, 'internazionale.it', 14 luglio 2017, qui


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giovedì 28 luglio 2016

#SENZA_TAGLI / Pieni di sé (Domenico Starnone)

Abbracciarsi, travolti dall’entusiasmo, è meraviglioso. Lo notava qualche tempo fa, in margine, un’esponente del Pd parlando in televisione dei cinquestelle vittoriosi. E aveva ragione.

L’essere umano è al meglio quando si riempie di fantasie, di idee, di passione, di gioia, d’amore, dell’urgenza entusiastica di rifare tutto daccapo, fino a traboccare. Non gli basta più se stesso, il proprio particulare. Vuole farla finita con la solitudine, il rimuginio insofferente, lo scontentissimo blablabla. Vuole, anzi deve sconfinare. E poiché rompersi e dilagare non si può, cerca l’abbraccio, gli abbracci, con l’altro, con gli altri. La politica in quei momenti è una straordinaria occasione di felicità comunitaria. E la deputata del Pd ne sentiva la mancanza.

C’è tutto il necessario, a volte, nella politica-spettacolo: la giovinezza, l’aspetto piacevole, la parlantina addottrinata o immaginifica, la resistenza del sistema nervoso, il giusto dosaggio di aggressività e pacatezza, un programmino da volantinare. Ma il profilo individuale è troppo netto. La persona è come irrigidita dalle numerose qualità che gli sono toccate in sorte. Così si è pieni, sempre più pieni, ma di sé. L’entusiasmo è enunciato, tuttavia non trabocca. La politica è compiacimento, non comunanza travolgente. Si coopta, si fa fuori, si esclude, si include, si vince, si perde. Ma si è soli, non ci si abbraccia.

*** Domenico STARNONE, scrittore, Pieni di sé, 'internazionale.it', 26 luglio 2016, qui


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giovedì 16 giugno 2016

#SENZA_TAGLI / Voto, astenersi non è disimpegno (Domenico Starnone)

Astenersi è “tenersi lontano da”. Il verbo suggerisce un gesto calmo della mano, un no grazie, un allontanare il calice pur non essendo astemi. Ma appena urta contro le elezioni, ecco che ci allarma come una borsa abbandonata in un vagone della metro.

Ora l’astensionismo ha sicuramente qualche ragione terra terra (è una bella giornata, andiamocene al mare) mal celata dietro il mugugno qualunquista (sono tutti ladri). Ma è altrettanto sicuro, ormai, che mettere una certa distanza tra sé e le urne è un gesto politico di tutto rispetto a cui guardano, tra l’altro, i cittadini sempre più numerosi che non sono nemmeno usciti dal seggio e già sono scontenti del voto dato. Con quel gesto ci si tira fuori da un gioco democratico che di democratico ha sempre meno; si prende atto che tutti quelli che in questo momento storico si sbracciano per rappresentarci non sfiorano nemmeno un poco l’idea di politica che abbiamo in mente noi, stufi di optare per il male minore; si segnala che l’astensione non è disimpegno ma la premessa per cercare altre vie di intervento contro i guasti dell’esistente.

È sbagliatissimo dunque liquidare quest’area con la formula: ti sei astenuto, peggio per te, ora non mettere becco, non disturbare il manovratore. Vedersela, a rito compiuto, tra felici pochi è tenersi pericolosamente lontano dalle procedure di base della democrazia.

*** Domenico STARNONE, scrittore, Non è disimpegno, 'internazionale.it', 14 giugno 2016, qui


In Mixtura altri 4 contributi di Domenico Starnone qui (compresa una mia recensione al libro di D. Starnone, 'Lacci', Einaudi, 2014)

domenica 15 maggio 2016

#MOSQUITO / Comunità, non ci tiene insieme niente (Domenico Starnone)

Cosa ci tiene insieme in una comunità, niente. 
Una comunità è attaccata con lo sputo. Una comunità è la memoria di qualcosa che ci ha contenuti e dalla quale non vogliamo prendere atto che ci siamo separati per sempre. E’ leggi distanti. Soprusi. Selve di avvocati, magistrati, poliziotti. Una concrezione della paura del caos, della morte. Ci sono affetti, a volte solidarietà, ma contano zero. Invece l’odio, quello sì che è robusto e taglia come un filo d’acciaio. La voglia di sangue, il suo lampo purpureo-pulsante. Volendo, te ne nutri in qualsiasi momento. Odio e voglia di sangue stanno sotto la glassa delle buone maniere, del buongiorno, prego, mi scusi, si accomodi, grazie. Basta una squadretta di calciatori di quartiere per sentire la spinta a svenare il barista sotto casa che tifa, sfottendo, ghignando, per la squadretta rivale. Basta che l’inquilina del piano di sopra insista a stendere al sole le sue lenzuola togliendo luce alla nostra stanza. Bastano schiamazzi, musica troppo alta dopo mezzanotte. Basta uno spintone distratto per strada. Basta che qualcuno fissi troppo la tua donna. Una comunità sa sempre, in segreto, che non ha niente veramente in comune, è solo competizione diseguale, mercato, divergenza, frattura, illegalità travestita da legalità, conservazione violenta di equilibri e potere, galera, terrore sparso ad arte dallo stato, campo di concentramento (o stadio: l’orrendo stadio cileno dentro cui gli sgherri degli Usa e di Pinochet ficcarono gli oppositori: ah quanta furia ribelle avevo assaporato e messo in parole, ecco cosa fu quello stadio, la dimostrazione che il fascismo è il correttivo per le masse che non votano come si deve). 

*** Domenico STARNONE, 1943, scrittore, ex insegante, Prima esecuzione, romanzo, protagonista, Feltrinelli, Milano, 2007


In Mixtura altri 3 contributi di Domenico Starnone qui

mercoledì 11 novembre 2015

#MOSQUITO / Scuola, che facciamo di Franti? (Domenico Starnone)

Quale scuola vogliamo? Una scuola di qualità che sia tale perché espelle i Franti o una scuola di qualità capace di trasformare i Franti in capaci e meritevoli? 

*** Domenico STARNONE, 1943, scrittore, ex insegnante, citato da Giuseppe Caliceti, A lezione di esperienza, ‘il manifesto’, 26 novembre 2008.



In Mixtura, 1 contributo di Domenico Starnone e una mia recnesione al suo libro Lacci (Einaudi, 2014) qui

giovedì 2 luglio 2015

#MOSQUITO / Gordio, ricominciare da lui (Domenico Starnone)

Mi è venuto in mente il nodo di Gordio. La storia di questo nodo è significativa. Gordio era il nome di un contadino frigio che, grazie a una profezia, diventò re e fondò una città a cui diede il suo nome. L’agricoltore per gratitudine consacrò a Zeus il suo aratro, che aveva il timone annodato con un nodo complicatissimo. Scioglierlo era così difficile che si decise di dare l’impero del mondo a chi ci fosse riuscito. Passò di lì Alessandro Magno, aspirante imperatore, e non ci perse nemmeno dieci secondi: sguainò la spada e lo tagliò. 
Questo gesto è stato molto amato da certa posterità sensibile ai gesti plateali, tanto che se oggi si dice nodo gordiano viene subito in mente Alessandro che sguaina la spada e zac. Del contadino, del suo aratro e della funzione simbolica di quel nodo difficile è sbiadita la memoria. Perché? Perché questi comportamenti brutali e presuntuosi di militari piacciono tanto? Forse perché sembrano contenere chissà quale saggezza (si pensi all’uovo di Colombo) e invece trasmettono l’idea banalotta che grand’uomo è chi non perde tempo con i beoti ma taglia, rompe, spacca con decisione. 
Il messaggio del contadino-re tuttavia non era banale e può essere sintetizzato così: “Chi pretende il comando del mondo deve avere la pazienza, la costanza, la sensibilità e l’intelligenza che ci vogliono per sciogliere questo nodo”. Messaggio di grande saggezza, finito come al solito nel nulla grazie a un colpo di spada. 
E’ pur vero, però, che la metafora dello sciogliere nodi ha conservato una sua positività, e il genere umano non si è ancora estinto solo grazie a chi si è sempre battuto perché i nodi non vadano tagliati ma sciolti. Certo non è cosa che ci si possa aspettare da eroi e navigatori, forse nemmeno da santi. 
E’ compito della gente di buona volontà ricominciare da Gordio e impedire l’ottuso ricorso dei furbi alla spada. La pace, alla fine, è il buon governo della complessità. La guerra è il trionfo criminale del-la semplificazione. 

*** Domenico STARNONE, scrittore, Bush e Gordio, ‘MicroMega’, 2, 2003.

lunedì 19 gennaio 2015

#LIBRI PREZIOSI / Matrimoni e 'lacci' relazionali

Domenico STARNONE, Lacci, romanzo, p. 133, Einaudi, 2014, € 17.50, ebook € 9.99.

Un romanzo breve, ma di impatto: forte, intenso, drammatico.

Affidato a più voci (lei, lui, i due figli), che raccontano, ognuno secondo la propria ottica, di una famiglia che si trascina addosso i lunghi anni dalla giovinezza alla vecchiaia, involvendosi nei riti consunti e psicologicamente 'malati' (ma quanto mai 'normali') di un matrimonio piccolo-borghese: dentro un sistema di relazioni stremate da ‘lacci’ sempre più stringenti e soffocanti, che paiono ineluttabili.

Una scrittura che non dà tregua: che sa incidere con efficacia chirurgica sui vissuti dei protagonisti attraverso un'analisi calma, ordinata, precisa, ma spietata. 
E uno stile magistrale: espressivamente ricco e coinvolgente. 

Ci sono libri che scivolano via. Questo non è certo per chi è, e vuole restare, spensierato: anche quando l'hai chiuso, resta aperto.