La sete di giustizia va bene, ma il problema è riconoscere l’ingiustizia. In genere crediamo che sia una cosa facile ma non è così. Le porcherie sono a tal punto consuete, nella vita di ogni giorno, che le consideriamo un normale modo di vivere. La disuguaglianza sociale? È il motore indispensabile dello sviluppo. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Combatte la disoccupazione. Vendere armi? Abbiamo il dovere di contribuire alla ricchezza della nazione. Discriminare in base al colore della pelle o al sesso? Non è questione di discriminazione ma di capacità. Abbiamo messo a ferro e fuoco interi continenti saccheggiandoli, impoverendoli, e i guai odierni vengono di lì? Sempre con questo piagnisteo, guardiamo al futuro.
C’è insomma una cecità diffusa che permette di aumentare ogni giorno la dose dei soprusi spacciandoli per interventi oculati. C’è soprattutto un consentire massiccio con la disumanità sentendosi nel giusto. Sicché urge non un’educazione alla giustizia ma al riconoscimento dell’ingiustizia. Cosa da cui va escluso, però, il momento in cui ci pare che dell’ingiustizia siamo noi le vittime. Lì c’è sempre il rischio di prendere abbagli e finire nel ruolo dell’aguzzino. È solo quando riconosciamo il torto che viene fatto agli altri e lo sentiamo intollerabile a prescindere da qualsiasi eventuale buona ragione, che la nostra educazione è davvero cominciata.
*** Domenico STARNONE, scrittore, Una cecità diffusa, 'internazionale.it', 14 luglio 2017, qui
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