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sabato 28 ottobre 2017

#RACCONTId'AUTORE / La donna veramente saggia (Manfred F.R. Kets de Vries)

C’era una volta un ragazzino a cui piaceva suonare il tamburo e lo faceva per tutto il giorno. Si rifiutava di smettere di battere e non gli importava quello che gli altri dicessero o facessero. 
I suoi vicini consultarono le donne più sagge chiedendo loro di fare qualcosa per il bambino. 

La prima donna saggia disse al ragazzo che se avesse continuato a fare così tanto rumore avrebbe finito per perforarsi i timpani, ma il suo ragionamento era troppo complicato per il bambino, che non era né uno scienziato né un illuminato. 

La seconda donna saggia gli disse che il battito del tamburo era un atto sacro e pertanto doveva essere effettuato solo in occasioni speciali. Il bambino però continuava a tamburellare felicemente. 

La terza donna trovò una soluzione semplice, offrì dei tappi per le orecchie ai vicini. 

La quarta diede al ragazzo un libro in modo da poter concentrare le sue energie su altre cose. Ma, ovviamente, i libri erano di scarso interesse per lui. 

La quinta diede, invece, ai vicini i libri che insegnavano a gestire la rabbia. 

La sesta diede al ragazzo alcuni esercizi di meditazione per farlo placare e gli spiegò che tutta la realtà è immaginazione. Come tutti i placebo, alcuni di questi rimedi  funzionarono per un breve periodo, ma nessuno funzionò a lungo.

Alla fine, arrivò una donna veramente saggia. 
Consegnando al ragazzo un martello e uno scalpello, gli chiese: «Mi chiedo cosa ci sia dentro a quel tamburo». 

*** Manfred F. R. KETS DE VRIES, 1942, consulente manageriale, docente clinico di sviluppo della leadership, La donna veramente saggia, da Effetto porcospino. Il segreto per costruire team eccellenti, 2011, Edizioni Ferrari Sinibaldi, 2012.


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sabato 2 settembre 2017

#RACCONTId'AUTORE / La rana che ce la fece (Manfred F.R. Kets de Vries)

Un gruppo di rane stava saltellando allegramente attraverso una palude, come fanno abitualmente le rane, quando due di loro caddero in un buco profondo. 

Le altre rane si fecero attorno per vedere cosa potevano fare per le loro amiche. Quando videro quanto era profondo il buco, rinunciarono. Dissero alle due povere rane che dovevano abbandonare ogni speranza e prepararsi a morire. 

Non volendo accettare il loro destino, le due rane cercarono di saltare fuori dal buco con tutte le loro forze. 
Le altre rane dalla palude continuavano a rimproverarle, insistendo che la loro situazione era senza speranza e che il meglio che potessero fare era risparmiare energia e aspettare pazientemente di morire. Non esitarono ad aggiungere che non si sarebbero trovate in questa brutta situazione se fossero state più attente e se avessero ascoltato i più anziani.

Ma le due rane continuarono a saltare il più in alto possibile. 

Gradualmente, la stanchezza cresceva. Alla fine, una delle due ascoltò le parole degli amici. Esausta e scoraggiata, accettò il suo destino con tranquillità, si sdraiò sul fondo del buco e morì mentre gli altri la guardavano addolorati.

L’altra rana invece fu più ostinata. Continuò a saltare con ogni grammo della sua energia, anche se il suo corpo era distrutto dal dolore. Ancora una volta, la folla delle rane da sopra il buco le gridava di smettere con quelle assurdità, di accettare il suo destino e morire. Imperterrita, la rana saltava sempre più in alto, finché, meraviglia delle meraviglie, balzò così in alto che uscì dal buco. 

Stupefatte, le altre rane festeggiarono il suo miracoloso ritorno alla libertà, e raccogliendosi attorno a lei, le chiesero: «Perché hai continuato a saltare quando ti abbiamo detto di rinunciare?».

La povera rana le guardò attonita. 
«Ma, amiche mie» disse «io sono sorda. A quella distanza non potevo leggere le vostre labbra. Quando vi ho visti fare segni e urlare, ho pensato che mi steste incoraggiando a non arrendermi. Questo è il motivo per cui ho continuato a provare». 

*** Manfred F. R. KETS DE VRIES, 1942, consulente manageriale olandese, docente clinico di sviluppo della leadership, da Effetto porcospino. Il segreto per costruire team eccellenti, 2011, Edizioni Ferrari Sinibaldi, 2012.


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domenica 30 aprile 2017

#RACCONTId'AUTORE / Grande Bufalo M'bogo (Manfred F.R. Kets De Vries)

C’era una volta una mandria di bufali guidata da un animale molto forte, chiamato M’bogo. 

Un giorno, M’bogo, sdraiato su un prato erboso vicino a un ruscello mentre ruminava, urlò ai suoi seguaci: «Come sta andando laggiù?» e aspettò che gli dessero delle buone notizie. 
A poca distanza, il bufalo più giovane era incerto su cosa dire. Le cose non andavano bene. La fornitura di erba verde stava diminuendo rapidamente e non cera molto da mangiare.
Ma nessuno aveva il coraggio di dare la notizia a M’bogo poiché sapevano fin troppo bene che cosa poteva accadere se lui si arrabbiava. Molti portavano addosso le cicatrici che lo dimostravano e l’ultima cosa che volevano era metterlo di cattivo umore. 

«Che cosa devo dirgli?» chiese agli altri Syncerus. Il moto di rabbia di M’bogo quando un altro branco si era trasferito nel loro miglior pascolo era ancora un vivido ricordo. Come la maggior parte degli altri, Syncerus sapeva che era giunto il momento di andare avanti e cercare pascoli migliori. La maggior parte dell’erba era stata mangiata fino alle radici, a parte il luogo in cui si trovava ora M’bogo. 

Syncerus si chiedeva se aveva il coraggio di dire a M’bogo che il branco rischiava di morire di fame. Beh, si rese conto che la risposta era no.

Infine, Syncerus si avvicinò a M’bogo: «Le cose stanno andando abbastanza bene, capo - disse - C’è abbastanza erba per tutti. Naturalmente, la pioggia sarebbe utile, ma ce la stiamo cavando in qualche modo».
M’bogo grugnì e disse: «Sono felice di sentire che le cose stanno andando bene». 

Chiuse gli occhi e continuò a ruminare. Il giorno seguente non prometteva nulla di buono. Un nuovo branco di bufali si era trasferito nella zona in cui cera ancora un po’ di erba verde. Questo arrivo inaspettato era stato catastrofico. 

Syncerus lentamente si diresse verso M’bogo e, dopo aver fatto alcune chiacchiere, disse: «Oh, a proposito, boss, un nuovo branco si è spostato nel nostro territorio». 
M’bogo aprì gli occhi di scatto ed era pronto a colpire con le proprie corna Syncerus. 
Rendendosi conto di quello che stava per succedere, Syncerus si affrettò ad aggiungere: «Ma non è un grosso problema. Da quello che ho sentito, sono solo di passaggio». 

M’bogo si calmò subito e disse: «Bene. Non ha senso agitarsi per nulla, vero?

Ma col passare dei giorni, la situazione andava peggiorando. 
Un giorno, guardando dall’alto del suo posto sulla collina, M’bogo notò che erano rimasti pochi bufali nel suo gregge. Convocando Syncerus, chiese irritato: «Che cosa sta succedendo? Dove sono tutti?». 
Syncerus non riusciva a riferire che la maggior parte del branco si era unita ai nuovi arrivati per cercare pascoli migliori. Con molta esitazione disse: «Boss, prima delle piogge, ho pensato che fosse un buon momento per fare ordine nella mandria e sbarazzarsi dei pesi morti, sai, quelli che non possono difendere i nostri ragazzi contro i leoni e le iene».

«Molto bene - disse M’bogo - Ottima idea. Liberarci degli scansafatiche ci darà un po’ più di margine di manovra. I bufali hanno bisogno di una leadership forte. Sono contento di sentire che ti stai muovendo nella giusta direzione».

Non passò molto tempo prima che Syncerus e M’bogo rimanessero gli ultimi bufali. 

Il momento della verità era arrivato. Syncerus non poteva più rimandare, doveva dire a M’bogo cosa stava succedendo. 
Si mosse pesantemente verso di lui e disse: «Boss, ho una notizia terribile. Siamo gli ultimi rimasti. Tutti gli altri bufali se ne sono andati».

M’bogo era così sorpreso che dimenticò di colpire con le corna Syncerus. 
«Tutti mi hanno lasciato? - gridò - Per quale ragione? Cosa è andato storto?»
Syncerus fissava timidamente per terra. 
«Non riesco a capire - disse M’bogo - mi hanno lasciato, e proprio quando tutto stava andando così bene». 

*** Manfred F. R. KETS DE VRIES, 1942, consulente manageriale olandese, docente clinico di sviluppo della leadership, Grande Bufalo M'bogo, da Effetto porcospino. Il segreto per costruire team eccellenti, 2011, Edizioni Ferrari Sinibaldi, 2012. 
https://en.wikipedia.org/wiki/Manfred_F.R._Kets_de_Vries


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giovedì 7 maggio 2015

#MOSQUITO / 'Workaholic', vuole piacere alla mamma (Manfred F.R. Kets de Vries)

Dentro di loro alcuni stacanovisti pensano che nessuno li accetti o li ami; pensano che gli altri li apprezzino solo per ciò che fanno, non per ciò che sono. Questo li fa sentire oltremodo ansiosi e insicuri di sé. (...) la maggior preoccupazione che attanaglia la mente degli stacanovisti è corrispondere ai severissimi standard che hanno interiorizzato. 
Per molti di loro, l’abitudine di compiacere continuamente i genitori, radicatasi nell’infanzia, non finisce mai. 

*** Manfred F.R. KETS DE VRIES, consulente di direzione e psicoanalista, Vita e morte del manager rampante, 1995, Il Sole 24 ore, Milano, 1998.



Di Kets de Vries, sempre in questo blog:

#ExLibris, Leadership: arroganza, narcisismo, giullari, 27 aprile 2015

lunedì 27 aprile 2015

EX LIBRIS / Leadership: arroganza, narcisismo, giullari (Manfred F.R. Kets de Vries)

I pericoli dell’arroganza
L’arroganza è il prevedibile esito di un narcisismo incontrollato. Il narcisismo, una forza basilare che sta dietro il desiderio di leadership e potere, si aggrava spesso una volta che leadership e potere siano stati conquistati. Vediamo allora, come dice Freud, un leader “che non ama altri che se stesso... autoritario, assolutamente narcisista, sicuro di sé e indipendente” (1921). Leader di questo genere, portati a rifugiarsi in un mondo esclusivamente proprio, possono essere miopi, testardi e poco inclini a chiedere o accettare consigli da altri. In molti casi si creano una realtà personale rimanendo incrollabilmente ciechi alle possibili conseguenze negative di questo loro atteggiamento. Questa situazione è ancora più grave quando riguarda i rapporti leader-gregari, rapporti non sempre di natura razionale. A volte si verifica una sorta di regressione reciproca da cui origina un comportamento del tutto incongruo. Causa di questi processi regressivi, nei quali vengono smarrite personalità reali e realtà oggettiva, sembrano essere particolari situazioni di transfert, nelle quali il leader viene idealizzato dai seguaci che si rispecchiano in lui.
Pochi sono in grado di confrontarsi con la realtà senza lasciarsi prendere da primordiali meccanismi di difesa capaci di portare all’arroganza. In genere esiste il pericolo di una folie à deux, o pensiero di gruppo, che porta l’individuo a impegnarsi in decisioni irrazionali. Come accade in situazioni di malattia mentale, la soluzione va ricercata nell’identificazione di possibili distorsioni della realtà.

Il ruolo del giullare
In passato il ruolo di elemento equilibratore nei rapporti con il leader, in genere un imperatore o un re, veniva assunto dal giullare o matto. Naturalmente non uso questo termine per indicare una persona stupida o incapace di giudizio - proprio il contrario -, ma piuttosto una persona il cui ruolo consiste nell’indurre una trasformazione dicendo scherzosamente la verità. In virtù di questo rapporto il destino del leader e quello del suo giullare vengono inestricabilmente accomunati da uno stesso fato. Il giullare crea una certa atmosfera emotiva e in vari modi ricorda al leader il carattere transitorio del potere. Diventa il guardiano della realtà, impedendo paradossalmente decisioni insensate. Si noti che il poeta satirico francese Rabelais definì Rigoletto, il famoso buffone della corte di Francesco I, morosofo. E’ questa una parola composta molto interessante: in greco moros significa “matto” e sophos “saggio”.
I giullari o “matti” costituiscono una vera e propria categoria sociale generalmente riconosciuta. Tutti ne abbiamo incontrati, e qualche volta noi stessi abbiamo assunto il loro comportamento. Ci sono stati presentati da antropologia, mito, folklore, letteratura e dramma sotto nomi diversi: elfi, istrioni, buffoni, pagliacci, giullari, Arlecchini, Pierrot, per esempio. Elaborate descrizioni di tipo antropologico del matto rituale sono presenti in diversi studi sulle comunità africane, asiatiche, oceaniche, nordamericane, mesoamericane e sudamericane. L’elfo, in genere una figura maschile, è dotato di misteriosi poteri di veggenza e profezia. E’ allo stesso tempo un diseredato e un oggetto di timorosa reverenza, uno specchio, un giocoliere capace di trarre ordine dal caos allacciando l’inesplicabile al quotidiano. Jung lo descrive come: “un essere primordiale cosmico di natura divino-animale, da un lato superiore all’uomo per le sue qualità sovrumane, dall’altro a lui inferiore per la sua innocenza e insensatezza” (1954). Se paragoniamo il ruolo svolto da questa mitica creatura nelle diverse culture vediamo come l’elfo diventi un simbolo della condizione umana, parodiando pulsioni, necessità e debolezze umane, combinando astuzia e stupidità, divertimento e in un momento immediatamente successivo terrore. La ricerca antropologica suggerisce che sulla figura dell’elfo è possibile all’individuo riflettere debolezze, ideali e timori propri, conferendole la capacità di svolgere un ruolo significativo presso molte società. Welsford arriva a considerare il giullare un educatore, “in quanto in grado di portare alla luce la follia latente nel suo pubblico” (1935). Per mezzo di un esempio negativo il giullare afferma veri valori e valide azioni.
Indipendentemente dal valore etnografico della figura del giullare o matto, il suo ruolo è stato istituzionalizzato nella professione di clown, di istrione, di buffone di corte. E’ un essere privilegiato in quanto, sotto le apparenze della follia o della stupidità (quindi dell’innocuità) può dire ciò che per altri è indicibile. Per porgere il suo messaggio usa ogni genere di strategia: goffaggine, esagerazione, distrazione, dissimulazione, panto¬mima, imprecisione. E’ stato definito una caricatura vivente. Senza dubbio nel suo rapporto con il re il tradizionale che gli è caratteristico, ber¬retto con campanelli e bastoncino sormontato da un globo, costituisce una trasparente parodia della corona e dello scettro del monarca. [...]
Un esempio, forse il più famoso, del ruolo del buffone come operatore di trasformazione è quello del Matto del Re Lear di Shakespeare. In apparenza un ragazzo mezzo scemo, egli solo fra tutti quelli che circondano il re ha l’acume e il coraggio di riconoscere e proclamare la verità. Per un giudizio sulle figure di buffoni esistenti nel teatro drammatico è importante non perdere di vista l’utilità per il drammaturgo di una figura così ambivalente. Il Matto del Re Lear può essere sfruttato all’infinito per spiegare le dinamiche psicologiche dell’azione. Si tratta di una figura complessa e unica nel suo genere, con una funzione drammatica di grande importanza. Come spiega Muir: «Non è tanto una figura comica, quanto una valvola di sicurezza per il pubblico. Se giudicata con spirito critico, la condotta di Lear appare assurda, e d’altra parte la rappresentazione della follia suscita più il riso che non la simpatia. Il Matto è stato pertanto introdotto per dirottare su di sé l’ilarità del pubblico e conservare così a Lear la sua sublime dignità» (1952).
Oserei affermare che il potere del leader ha bisogno della follia del buffone. L’interazione tiene i due - e con essi l’organizzazione - in equilibrio psicologico. [...] 
L’aspetto duplice del rapporto re/matto mette in ri¬lievo la natura bifronte del potere. Il saggio/matto è spesso l’unica persona in grado di proteggere il re dal rischio di diventare arrogante. Nel contesto di una più generale patologia della leadership, il matto ha una parte molto importante da recitare. Dimostrando la follia di decisioni prese a seguito di una visione distorta, può aiutare il leader a mantenersi salda¬mente ancorato alla realtà. [...]
Nello studio delle organizzazioni si pone in genere grande attenzione ai leader e solo raramente alla parte svolta dai subordinati. Tra i due ruoli esiste invece un rapporto molto stretto: i leader hanno bisogno dei gregari, il re del suo buffone, e viceversa. Non dobbiamo dimenticare che, anche se si suppone che le organizzazioni siano permeate di razionalità, la verità in proposito è spesso qualcosa di molto diverso. Il dominio della realtà e quello dei pii desideri sono divisi da una linea molto sottile. Quando questa linea scompare si possono avere conseguenze devastanti per il buon funzionamento dell’organizzazione. Ed è precisamente allora che il matto organizzativo può svolgere un ruolo cruciale. 
George Bernard Shaw disse una volta che «ogni despota deve avere un suddito sleale che lo aiuti a rimanere sano di mente». E’ questa la funzione del giullare. Una persona che sappia svolgere questo ruolo nell’organizzazione contribuisce a mantenerla sui giusti binari, a non farle perdere il senso della realtà e, cosa più importante di tutte, a tenere sotto controllo la forza distruttiva dell’arroganza.

*** Manfred F.R. KETS DE VRIES, 1942, psicoanalista olandese, saggista, formatore e consulente di direzione, Leader, giullari e impostori (1993), Cortina, Milano, 1994.