giovedì 30 novembre 2023

#LIBRI PIACIUTI / “I rapaci”, di Paolo Mottana

Paolo MOTTANA
I rapaci
Edizioni Ensemble, 2023
pagine 246, € 16,00

Un titolo perfetto

‘I rapaci’ è un titolo perfetto. A stigmatizzare con un solo termine, concretissimo ma anche immaginifico, un mondo di artisti e artistoidi che intrallazzano per mettersi in mostra e avere successo: si usano, si vendono, fingono, inseguendo prevalentemente moda e denaro. 

Il protagonista, Mauro, è un pittore introverso e fuori dal giro, non più giovane ma con un talento ancora non compiutamente espresso. La sua arte è riconosciuta da pochi intenditori, che non fanno mercato, perché il mercato è lasciato in mano ad affaristi che lo orientano e lo spingono là dove portano i soldi. 

La personalità di Mauro, complessa e complicata fino a sfiorare il patologico, cerca ancora di percorrere, in campo artistico, la vecchia via, faticosa e mai garantita, dell’ispirazione. Nel frattempo è travolto da un amore con una ragazza assai più giovane, Sonia, bella ma per lui bellissima, che sbava per affermarsi come artista: per riuscire in questo suo intento è disposta a tutto. Lui, nonostante la consapevolezza di essere finito in un rapporto dominante e strumentale, affettivamente inconsistente e psicologicamente malato, non sa venirne fuori: più la ragazza lo insulta e maltratta, più lui si trova vittima di un desiderio senza limiti e perciò stesso sempre più insoddisfatto. 

La trama è ricca di descrizioni acute, precise e magnetizzanti, dell’ambiente milanese di galleristi, curatori, artisti. 
Lo stile è netto, tagliente, secco: brevi capitoli che corrono e coinvolgono, intrecciando, con molti dialoghi ottimamente costruiti, le tante storie che intarsiano una trama amara, ricca di personaggi cesellati con cura e massima efficacia. 
Chi legge resta ipnotizzato dall’evolversi dei fatti e da una scrittura essenziale, senza fronzoli, curioso di arrivare all’ultima pagina. La lettura è piacevole, benché inquietante. 
Chi vuole lasciarsi andare a qualche pensiero ne avrà molti su cui interrogarsi: ancor più se è vicino al mondo, miserevole e malato, qui tanto ben descritto. 

*** Massimo Ferrario, per ‘Mixtura’


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venerdì 24 novembre 2023

#SPILLI / L’anti-semitismo e l’etica delle parole (Massimo Ferrario)

Premessa - E' stato detto: le parole sono importanti. Condivido al 1.000 per 100. Usarle male, confonderle, ingarbugliarle, può essere segno di ignoranza. O di malafede: quando, ad esempio, è impossibile che uno che ha titoli non solo formali per conoscere, come intellettuali autorevoli o politici che ambiscono ad essere riveriti addirittura come statisti, si esime dal trattare con accuratezza e precisione il vocabolario che dovrebbe padroneggiare. In ogni caso, che sia ignoranza o disonestà intellettuale, l'uso inappropriato dei termini, non ci permette di capire o di far capire. Oppure indica l'intenzione, precisa e dolosa, di far capire cose sbagliate: strumentalizzando l'interlocutore per far passare il solo punto di vista dominante, confondendo le acque e realizzando 'la notte delle vacche nere'. Specie quando il tema è delicato, complesso, storicamente profondo, intrecciato e ambivalente, urge un'igiene del lessico. Come nel caso che qui vorrei trattare.

La confusione  - Si continua a confondere anti-israelismo  con anti-semitismo.
Cerco di applicare un po' di pulizia al significato di alcuni concetti: lo faccio per chiarirmi io stesso le idee su una questione tanto complicata e, magari anche, per stimolare un pizzico di chiarezza in più rispetto a quella circolante in chi mi legge. Non sono uno storico, ma semplicemente uno che cerca di capire i fatti, mettendoli in fila, dopo averli estratti da più libri letti, e tenta di tenere sotto controllo i propri pre- e post-giudizi. Non dico di riuscirci: ma il proponimento si inserisce in un approccio etico al conoscere e al capire, di cui mai come oggi credo avremmo un assoluto bisogno. 

Anti-Israelismo - C'è un anti-israelismo che nasce all'origine dello Stato di Israele e uno che viene abbondantemente alimentato in tutta l'epoca successiva, a causa delle politiche dei governi israeliani. Entrambi non hanno nulla a che fare, almeno in modo diretto ed esplicito, con l'anti-semitismo, che è un fenomeno sempre esistito e certamente tuttora esistente. 

(1) L'anti-israelismo originario sconfina nell'anti-sionismo: che è il no alla nascita di Israele come Stato. La teoria di Theodor Herzl (Lo stato ebraico, 1896), che nell'epoca dei nazionalismi crescenti di fine 800 proponeva la nascita dello Stato di Israele come ritorno alla terra dei Padri, fu osteggiata anche da molti della diaspora ebraica e non solo dagli arabi che miravano a difendere le terre da loro abitate. C'era chi, tra gli ebrei, voleva 'restare diaspora' (cittadini del mondo) e non era affascinato né dalla 'istituzione Stato', né dal mito biblico che rievocava un'appartenenza ai luoghi di duemila anni prima. Anche perché a molti era chiaro fin da subito (e peraltro non ci voleva molta intelligenza politica per avere questa chiarezza: bastavano logica e visione) che la nascita dello Stato di Israele avrebbe coinciso con l'affermazione di una invasione in terre arabe che mai avrebbero accettato i nuovi occupanti, a maggior ragione se gli occupanti si fossero insediati con l'hybris di chi pretendeva di avere diritto all'occupazione. Andrebbe ricordato in proposito che anche un leader politico ebreo come Shimon Peres, orgogliosamente convinto di essere ebreo e di rappresentare lo Stato di Israele, ebbe a dire nel 2008, in un discorso agli studenti all'università di Haifa, che lo Stato di Israele si fondava su un 'peccato originale': e la consapevolezza di questo 'peccato originale' avrebbe dovuto portare gli ebrei di Israele a 'fare ammenda'. Ecco un passo del discorso di Shimon Peres: "La creazione dello Stato di Israele è stata un atto di autodeterminazione legittimo, ma è stata anche un atto di violenza che ha causato sofferenza al popolo palestinese. Israele deve fare ammenda per i suoi peccati e cercare la pace con i palestinesi. Israele deve riconoscere che la sua esistenza è stata possibile grazie alla sofferenza di altri. Dobbiamo chiedere perdono al popolo palestinese per la sofferenza che abbiamo causato. Dobbiamo cercare la pace con loro, perché la pace è l'unica via per garantire la nostra sicurezza e il nostro futuro." (°)

(2) Esiste poi un secondo anti-israelismo, che si rifà all'anti-sionismo di chi si considera parte di questa ispirazione politica resa attualizzata: e tra questi non manca una minoranza intensa di ebrei, sicuramente presenti fuori dallo Stato di Israele e forse anche cittadini israeliani. E questo anti-sionismo oggi, nella maggioranza di chi si qualifica anti-sionista, non nega l'esistenza di Israele come Stato (inimmaginabile ormai una sua scomparsa a 70 anni dalla sua nascita formale), ma rigetta la politica complessiva dei vari governi che si sono avvicendati in Israele e, in maniera dichiarata o nascosta, hanno fatto di tutto per evitare non solo la nascita di 'due stati due popoli', vagheggiando la Grande Israele, ma hanno operato con ostinazione per ridurre al minimo il numero della popolazione palestinese fino a rendere impossibile la sua permanenza nelle sue terre. 

Anti-semitismo - Altra cosa è l'anti-semitismo. Un fenomeno storico che ha originato, nel suo inimmaginabile picco di intensità, l'orrore della Shoà dell'altro secolo e che continua, non solo sotto-traccia, a intossicare il mondo. Quello arabo, certo. Ma anche quello di quell'Europa che ha partorito il nazifascismo, responsabile dello sterminio di 6 milioni di ebrei. Anti-semitismo qui significa attacco all'ebreo in quanto ebreo: geneticamente diverso e da considerare 'il' male della società. Hitler è morto, ma le pulsioni naziste percorrono tuttora il pianeta e le onde nere, se non vengono controllate e contenute, rischiano in ogni momento di ri-diventare cavalloni che producono nuovi tsunami.

Lo slittamento - Fatta chiarezza, almeno secondo il mio punto di vista, sulla distinzione tra i due fenomeni sopra ricordati, va ammesso che lo slittamento da anti-israelismo ad anti-semitismo è facile e sempre dietro l’angolo, benché non di per sé automatico. Potremmo dire che la relazione tra i due fenomeni si esprime in questo modo: non tutti gli anti-sionisti sono anti-semiti, ma tutti gli anti-semiti sono anti-sionisti. Negli anni dalla nascita di Israele come Stato, il terreno di cultura che ha prodotto questo slittamento ha dato i suoi frutti perversi. Non sarò certo io a negare e giustificare gli orrori (e gli errori) di chi ha combattuto Israele, ma l'oggettiva asimmetria in campo tra la potenza (pure nucleare) di Israele e l'impotenza strutturale dei palestinesi privi di uno Stato non poteva che assimilare i due contendenti, man mano che il primo si dotava di uno degli eserciti più potenti del mondo e colonizzava e il secondo difendeva, anche con il terrorismo, l'occupazione dei suoi territori, alla lotta della coppia Davide-Golia, promuovendo, anche in giro per il mondo, una crescente simpatia per il primo. Peraltro, negli ultimi anni di politica di Netanyahu, da tempo alleato della destra più estrema anche sul piano del fondamentalismo religioso, la scelta colonizzatrice israeliana si è accentuata, fino ad arrivare oggi alla risposta alla strage di 1.200 israeliani del 7 ottobre da parte di Hamas: è difficile non chiamare crimini di guerra, o atti di terrorismo, l'uccisione israeliana, cui stiamo assistendo, di oltre 16mila civili a Gaza, di cui almeno la metà bambini. E' questo che, con un salto ingiustificato quanto si vuole, ma spiegabile dal punto di vista umano, specie per chi sta subendo questa carneficina sui propri corpi e sui corpi dei propri piccoli, e si vede abbandonato dal mondo occidentale, che tutt'al più alza il sopracciglio contro Netanyahu senza muovere un dito, produce anti-semitismo: in quantità esponenziale nel mondo arabo (se anche Hamas sarà sconfitto ne sorgeranno altri 10 nel prossimo futuro e l'odio sarà assicurato per generazioni di figli e nipoti), ma pure in ogni angolo del pianeta. 

In conclusione - Dunque potremmo concludere che, se c'è una speranza di riuscire a contenere l'osceno anti-semitismo che il mondo da sempre produce, e che oggi rischia un revival, questa speranza sta nello spingere Israele e noi occidentali che con Israele condividiamo l'ossessione dell'accoppiata automatica 'anti-israelismo-anti-semitismo' a spezzare l'equazione Israele-Bene e Palestinesi-Male. Non c'è nessuna Civiltà Buona che combatte contro la Barbarie Cattiva. La precondizione per avviare un percorso di pace (sempre che la pace non sia solo una parola vuota ripetuta per poter meglio proseguire lo sterminio) è riconoscere gli orrori criminali fin qui perpetrati: da entrambe le parti. Ogni contendente ha i suoi: nessuno è innocente e non serve pesare le quantità di atrocità degli uni e degli altri. Se manca questa ammissione, nessuno uscirà dall'abisso. E, naturalmente, il problema non è soltanto 'loro', che stanno ‘là in Medioriente’, ma pure nostro. Perché, come si vede anche dalla guerra Russia-Ucraina, le interdipendenze del pianeta ormai impediscono a chiunque di ritenersi fuori e di pensarsi lontano. Senza contare che gli effetti delle nostre azioni (anche complici, o di semplice osservazione esterna), impattano sul presente, ma, soprattutto, sul futuro che sarà: e che riguarderà i nostri figli e nipoti.
Non so se ci salverà la bellezza, come ha scritto qualcuno. Certamente non ci salverà la disonestà intellettuale. Per uscire dal precipizio in cui siamo finiti, anche qui un po' di etica - un vocabolario che non inganni e il tentativo almeno di essere ‘corretti’ e 'coerenti' nel 'pensare-dire-agire' - è la precondizione per far nascere la consapevolezza necessaria per avviare un nuovo percorso: che già da ora, subito, cominci a seminare un pizzico di possibile convivenza sopra le macerie della 'macelleria umana' fin qui vergognosamente perseguìta. 

(*)  Shimon Peres, No Room for Small Dreams: Courage, Imagination, and the Making of Modern Israel, 2011. Il libro, presente anche all'università di Haifa, in ebraico e in inglese, contiene discorsi di Shimon Peres, tra cui quello sopra riportato in estratto (fonte segnalata da Bard-Google, 23 novembre 2023).

*** Massimo Ferrario, L’Anti-semitismo e l’etica delle parole, per Mixtura


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domenica 29 ottobre 2023

#SPILLI / Guerre, film e fotogrammi, grandangoli e zoom (Massimo Ferrario)

Storia, responsabilità, conseguenze. Perché, come mai, cause, dinamiche ieri/oggi.
Sono categorie e domande indispensabili per inquadrare i fotogrammi dentro un film. Domande che in genere mi faccio quando accadono dei fatti. Per capire, spiegare. E questo non significa giustificare. Vuol dire solo analizzare, problematizzare, andare dietro e oltre l’apparenza. Nessun mito della verità. Semplicemente ricerca di una possibile verità. Con la ‘v’ minuscola: unica V credibile, perseguibile, a misura di uomo. Ma fondamentale per capire errori, effetti, interdipendenze. E orientare, per quanto possibile, i comportamenti al meglio.

Gli esseri umani sono soliti (dovrebbero essere soliti) chiedersi la ragione di quanto accade. Sono gli unici animali che possono farlo. Perché hanno pensiero. E se lo fanno, questo si chiama, per sottolineare l'essenza del pensiero (ma dovrebbe essere pleonatisco), 'pensiero critico'.

Semplice? Difficilissimo. Anche perché il rischio è di finire ai margini. Scomodi. Soli. Però il guadagno incomparabile è la conoscenza per quanto più possibile genuina di come sono andate, o vanno, le cose. E magari conquistarsi una possibilità in più di cambiarle. O di influenzare altri perché si mettano nell'ottica di cambiarle. Con un pizzico in più di giustizia. Perché il mondo è complesso e lo zoom non ti fa vedere la complessità. Serve il grandangolo: allargare la visuale, guardare in grande, elevare lo sguardo. Provarci almeno.

Nei film dell'odio - le guerre, ad esempio - dovremmo imporci di non fare il tifo per una o l'altra delle parti in causa. Se non siamo noi una delle parti in gioco, dovremmo essere favoriti dallo stato di terzietà di cui strutturalmente godiamo. Abbiamo il privilegio della maggiore freddezza. Possiamo evitare di scegliere il fotogramma dell'orrore che più ci fa comodo e su questo fissarci per inchiodare l'altro alle sue colpe, dimenticando le colpe di chi più appare (ci vene fatto apparire) vittima. Perché quel fotogramma è preceduto da altri fotogrammi. Sempre dell'orrore. Ma il cui il gioco carnefice-vittima si capovolge. E così avviene in tanti altri fotogrammi. Quelli che fanno un film. L'unico evento (dinamico, storico, inter-relazionale) che conta se vogliamo cercare di capire per poi interrompere (spingere a interrompere) la pellicola dei massacri. Perché in questi casi non c'è in ballo un pallone che deve fare goal, ma la vita di persone. Migliaia. Centinaia di migliaia. Milioni, nel caso estremo di un conflitto che diventa mondiale. Sono civili, soprattutto. E loro non c'entrano nulla con chi decide sulle loro teste, di fatto decapitandole. Criminali nel nome del Bene, naturalmente. Perché i Mostri sono sempre gli altri. Loro Perfetti, gli altri Perversi.

*** Massimo FERRARIO, Guerre, film e fotogrammi, grandangoli e zoom, per 'Mixtura'


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lunedì 16 ottobre 2023

#FAVOLE & RACCONTI / La prova dell'Ascolto (Massimo Ferrario)

C'è un test dell'ascolto che non sbaglia mai ed è alla portata di chiunque: non c’è bisogno di essere psicologi iscritti all’albo.

State parlando con un conoscente, o un amico. Magari lui vi sta pure guardando in faccia (gli occhi sono un linguaggio spesso trascurato) e vi manifesta in qualche modo disponibilità e interesse.
Voi avete iniziato da poco a raccontare qualcosa.
Poi, ad un certo punto, venite interrotti. E dovete subire un'interferenza.

Capita.

Ad esempio al ristorante. Il cameriere sta per avvicinarsi al tavolo. Poi si accorge che siete affaccendati in una conversazione e si ritira, attendendo con discrezione, in disparte, per non disturbarvi. Voi vi accorgete della sua presenza e gli fate cenno che siete pronti per le ordinazioni. Il cameriere, con cortesia e professionalità, fa capire che non c’è fretta: ritorna. Ma voi e il vostro commensale gli dite che avete già sfogliato il menu e avete deciso. Primo, secondo, acqua. Invece per vino o birra vi fate esporre l'offerta da lui: che vi consigli, soprattutto per il vino. Quindi scegliete.

Il tutto è durato pochissimi minuti. Il cameriere ringrazia, fa un cenno di inchino (non è un giapponese: è solo, come già detto, un professionista che conosce il mestiere), sorride e se ne va.

A questo punto voi ripensate al racconto e a quello che ancora avreste da dire per completarlo. Ma restate in silenzio. Arrivate pure a guardare in faccia il vostro interlocutore. Il quale è più zitto di voi. E’ distratto. Pensa ai fatti suoi. Oppure, butta lì un suo inizio di discorso che non c’entra nulla con il vostro che avete dovuto interrompere. E il vostro racconto rimasto in sospeso? Nulla. Evaporato.

Ecco fatto. Avete il test perfetto: quello che dicevate evidentemente non interessava. La disponibilità manifestata, con con tanto di occhioni e sorrisi accoglienti (immaginiamo la situazione migliore: perché c'è pure chi fa capire da subito che la sua attenzione all’ascolto è del tutto formale, posticcia, acquisita solo durante l’ennesimo corso di formazione), era finta, distratta, artificiosa. Al vostro conoscente, o amico, di quello che stavate dicendo, non gliene poteva interessare di meno. Altrimenti, è ovvio, non solo per educazione, vi avrebbe chiesto: “Scusa, dicevi?”. Per ricordarvi o stimolarvi a riprendere.

Naturalmente, visto che stiamo immaginando un caso reale, aggiungiamoci un dettaglio, spesso presente e grosso come un macigno. Il conoscente, o amico, è uno dei principali assertori/propugnatori della teoria dell’ascolto. Magari è un laudatore dei costumi antichi, quando “sì che c’erano tempo e disponibilità ad ascoltare”. “Sì, perché, caro dottore: oggi ognuno per sé e un Io solo per tutti. Troppa fretta, troppa indifferenza, tanti contatti e pochi rapporti. Caro mio, viviamo tempi brutti: altro che ascoltarci. Degli altri, in fondo, chissenefrega?”

Oppure no: lui li odia i tempi antichi ed è convinto che solo oggi si fanno le ottime cose che ieri non si facevano. O non si facevano a sufficienza. Come ascoltare, per esempio.

*** Massimo Ferrario, La prova dell'ascolto, per ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 16 ottobre 2023

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mercoledì 4 ottobre 2023

#MOSQUITO / Il suicidio, gli scacchi, il silenzio (Massimo Ferrario)

Scrive Viktor Frankl, 1905-1997, psichiatra austriaco, fondatore della 'logoterapia', internato ad Auschwitz, Dachau e altri campi di sterminio e sopravvissuto anche grazie alla forza espressa dalla sua visione ottimistica sulla vita, autore di numerosi saggi, tra cui il famoso L'uomo in cerca di senso: uno psicologo nei lager, 1967-2017: 

«Proviamo a immaginare un giocatore che, posto di fronte a un problema scacchistico, non trovi la soluzione. Cosa fa a quel punto? Rovescia i pezzi della scacchiera. È una soluzione al suo problema? Certamente no. Ma è proprio così che agisce il suicida: getta via la sua vita pensando di aver condotto a soluzione un problema che gli appariva insolubile. Non sa che in tal modo non rispetta le regole del gioco della vita, proprio come lo scacchista del nostro paragone non si attiene alle regole del suo gioco, all'interno delle quali un problema si risolve con un salto del cavallo, un arrocco o in qualche altro modo, ma comunque con una mossa, non certo con il comportamento descritto. Ora, anche il suicida viola le regole del gioco della vita; queste regole non ci richiedono di vincere a tutti i costi, ma ci richiedono di non abbandonare la partita.» (Viktor FranklSul senso della vita, Conferenza 1^, Significato e valore della vita, 1946, [2019], Mondadori, 2020, pp. 38, traduzione di Elena Sciarra). 

Massimo rispetto per la competenza, l'autorevolezza e la terribile esperienza di vita di Viktor Frankl. 
Ma altrettanto rispetto, io credo, è dovuto a chi si trova nel drammatico stato di chi medita il suicidio per un insopportabile dolore esistenziale e decide alla fine di passare all'atto perché ritiene di non avere altra scelta.

"Regole della vita", dice Frankl. Ma quali regole? E chi le stabilisce? 

Se è Dio che le ha fissate, questo non riguarda chi è ateo. Ma non riguarda neppure chi è credente e non ce la fa più a vivere, perché se sta rifiutando la vita nessuna regola di vita lo può interessare. E comunque, se esistono 'regole della vita' (con l'iniziale minuscola, per evitare confusioni con il trascendente che vale solo per chi accetta il trascendente), nessuno ha stabilito, regole o non regole, che sia obbligatorio giocare il gioco della vita. 

L'esempio degli scacchi è del tutto fuori centro: il suicida non rovescia i pezzi della scacchiera. Semplicemente non ha (più) nessun interesse a giocare, non vuole ottenere nulla, si limita ad andarsene. E così come nessuno può imporre a nessuno di giocare a scacchi, nessuno può imporre a nessuno il gioco della vita. 
Peraltro, non  è certo il messaggio doveristico, di per sé intrinsecamente minaccioso e persecutorio, per cui ci sono regole che impediscono l'abbandono di partita, che può convincere chi vuole smettere e lasciare la partita a continuare a stare al banco e giocare. 

Ho sempre pensato che una delle poche cose nella vita che richiedono silenzio assoluto, quando si verificano, per la inspiegabilità profonda e misteriosa che circonda il singolo e specifico atto di chi ne è soggetto più o meno consapevole, sia il suicidio. 

Mi piacerebbe che tutti, anche i più illustri 'esperti' di umanità, quando toccano certi temi stessero in posizione rispettosamente 'china': rigorosamente attenti a non proferire parola. E meno che meno sentenze. 
Perché, in questo caso, ogni parola è violenza.

*** Massimo Ferrario, Il suicidio, gli scacchi, il silenzio, per 'Mixtura', 


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lunedì 18 settembre 2023

#FAVOLE & RACCONTI / Wu Zhi e la fine del mondo (Massimo Ferrario)

Li Min titubava, ma i compagni lo sollecitavano, in quanto allievo più anziano, a porre il tema al Maestro Wu Zhi. 
- Maestro, abbiamo due problemi. Uno è enorme e ci crea un’angoscia indicibile; l'altro è più piccolo, ma rischia di intaccare la qualità delle nostre relazioni. 

Il Maestro aveva disteso il viso, come a voler significare massima attenzione e disponibilità.
- Da giorni, tra noi allievi, stiamo discutendo senza trovare un consenso: ognuno la pensa diversamente e nessuno riesce a convincere l'altro. Prima di dirti ciò che ci crea tormento, ti chiediamo: è giusto non riuscire a condividere una soluzione?
- Conoscere la natura del vostro problema non è indifferente per la risposta. In generale, vi dirò che non so se è 'giusto' non avere una soluzione condivisa. Ma penso sia semplicemente 'sano'. Siamo diversi: voi, io, tutti. Per fortuna. E guai a imporci un unico pensiero. Però ora dimmi, caro Li Min: cosa vi divide? 
- Abbiamo immaginato di sapere con certezza che domani all'alba si compirà la fine del mondo. 

Wu Zhi era rimasto imperturbabile. 
- Be’, è un'ipotesi oggettivamente drammatica: capisco la vostra inquietudine. Una simile notizia, se fosse provata come certa, spiazzerebbe e manderebbe in confusione qualunque essere umano. 
- Secondo te, Maestro, qual è il comportamento che dovremmo tenere in una simile situazione? Tu hai la saggezza che ti consente di saperlo.
- Caro Li Min, se davvero questo vi aspettate da me, significa che almeno finora non sono riuscito a farvi intendere cos'è saggezza. Saggezza non è una cosa che si ha: è un'ispirazione, un orizzonte, una direzione, che ti spinge a maturare pensieri e azioni. E’ una meta, irraggiungibile, che attiva un processo continuo di riflessione. Non si diventa saggi: si è in cammino. E quel che si trova, se questo vale qualcosa, vale soprattutto per sé. Mai oserei prescrivere il mio comportamento ad altri. Tutt'al più, se qualcuno esplicitamente me lo chiedesse, gli direi qual è il risultato della mia meditazione: non oserei niente di più. Peraltro, mai come in questo caso, capisco perché la condivisione sia impossibile. 
- Infatti, Maestro: ognuno è fermo sulle sue opinioni. C'è chi dice che si ritirerebbe in isolamento a meditare fino al momento fatale. Chi vorrebbe che la comunità intera si raccogliesse in preghiera e nessuno si isolasse. Chi vorrebbe che ci si limitasse ad accogliere il destino senza assolutamente fare nulla. E poi c'è perfino chi pensa al suicidio, individuale o collettivo, come risposta attiva. Tu hai appena detto che non puoi prescriverci il comportamento corretto: puoi almeno dirci come tu ti comporteresti?
- Non avrei dubbi. Poco prima dell’alba, raggiungerei il giardino del monastero qui fuori…
- Per guardare per l'ultima volta il sorgere del sole, in attesa della fine del mondo?
- No, Li Min, nessun desiderio di contemplazione. Solo la voglia di ‘agire’.
- Agire? 
- Sì, agire. Pianterei un albero da frutta.
- Non capisco, Maestro. 
- Pianterei un melo, magari.
- Ma a che servirebbe, Maestro? L'alba comunque porterebbe con sé la fine del mondo. Non servirebbe a nulla piantare un albero. 
- E invece chi propone di meditare, in solitudine o in comune? O chi immagina un suicidio, individuale o collettivo? Se assumo come vera la notizia che avete immaginato, ogni scelta, tra quelle citate e le mille altre possibili, è lecita: perché niente e nessuno può modificare quel che è scritto nel cielo. Né io ho l’onnipotenza e la tracotanza (hybris la chiamavano gli antichi greci) che domina l'uomo quando si pensa dio. Ma so anche, appunto, di essere un uomo, e tale, fino all'ultimo mio respiro, vorrei restare. Pienamente. Come uomo, nella umiltà richiamata proprio dalla consapevolezza di essere sì terra (ce lo ricorda l'etimologia latina di homo), ma fornita di quel soffio che anima il mio vivere, ho il potere di ‘agire’, e non smettere di agire, fino a che ho forza o possibilità di agire. E’ un agire che io sempre sento come compito e dovere insieme: due termini per me indisgiungibili. Sì, pianterei un albero di mele. E magari, se mi fosse dato tempo, dieci o cento o mille alberi, di mele o di altra frutta. Perché mai rinuncerei alla possibilità di affermare, anche simbolicamente, la potenza della speranza pure quando non c'è più speranza di sperare. Nessuna pretesa di influenzare il cielo: lui faccia la sua parte, io faccio la mia. 

*** MASSIMO FERRARIO, Wu Zhi e la fine del mondo, per 'Mixtura'. Racconto liberamente ispirato ad una frase attribuita a Martin Lutero ("Anche se sapessi che domani il mondo finisse, pianterei lo stesso nel mio giardino un albero di mele"). 


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giovedì 14 settembre 2023

#SGUARDI POIETICI / Quando l'acqua è sporca (Massimo Ferrario)

Non basta andare 
controcorrente:
se l'acqua è sporca
resti sporco
come chi va 
con la corrente.

Hai due soluzioni.

La prima - impegnativa - è uscire 
dall'acqua e dalla corrente
e cominciare a spurgare
la fogna in cui siamo: 
ma prima devi riconoscerne 
il puzzo 
e smettere di ripetere 
- per creduto realismo -
che in fondo questo puzzo 
è solo un odore e non è poi tanto male. 

La seconda soluzione - comoda 
perché consonante col contesto - 
è ricavarti un angolino caldo nell'acqua di fogna:
ti lasci cullare dal liquame 
fino a confonderti con il suo dolce tepore
e accetti di essere, senza più problemi,
merda nella merda.
Per questa scelta dicono che 
la mindfulness aiuti:
rasserena.
E non solo: 
se impari a ben meditare,
avrai la fortuna che il cielo ti sorriderà,
e potrai anche arrivare a sentire 
- nella melma che continuerà ad avvolgerti -
l'ammaliante profumo dei fiori di loto.

*** Massimo Ferrario, Quando l'acqua è sporca, per 'Mixtura'



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lunedì 4 settembre 2023

#MOSQUITO / 'Sentire' l'etica, il test infallibile (Massimo Ferrario)

Sono stimolato da due recenti letture occasionali: una riflessione di Nando Dalla Chiesa, sociologo che da una vita studia criminalità organizzata e insegna legalità, e un estratto del celebre Discorso agli Ateniesi di Pericle trascritto da Tucidide nel 451 a. C. 

Sono ambedue pezzi brevi e li trascrivo.
Aggiungo in chiusura  una mia reazione sullo 'spirito del tempo' in cui siamo da tempo.

1 - Nando Dalla Chiesa
«Andare a cena con un boss mafioso perché "non posso fare le analisi del sangue a ogni mio elettore", difendere il diritto al posto di lavoro di chi se ne è servito per rubare, arruolare fedelissimi incompetenti in ruoli istituzionali che richiedono competenze, praticare pubblicamente prostitute, paragonare i magistrati ai terroristi, umiliare persone innocenti, sono tutti comportamenti che, anche quando formalmente legali, sfregiano lo spirito di legalità fino a stremarlo, rendendolo a lungo andare insostenibile per una democrazia. 
È d'altronde a causa di questi striscianti processi di ri-classificazione valoriale che nella società italiana si è assottigliata più che in altre società europee - nessuna delle quali, sia chiaro, esente da scandali - la sfera della morale. E al contrario si è espanso oltre ogni ragionevole misura lo spazio del diritto penale nella regolazione dei costumi e dei giudizi, trasformando di fatto i tribunali nell'unica sede riconosciuta di produzione della morale pubblica.» (Nando Dalla Chiesa, La legalità è un sentimento. Manuale controcorrente di educazione civica, Bompiani, 2023, pp. 192-193)

2 - Pericle
«Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. 
Qui ad Atene noi facciamo così. 
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. 
Qui ad Atene noi facciamo così. 
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. 
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. 
Qui ad Atene noi facciamo così. 
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. 
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. 
Qui ad Atene noi facciamo così.» (Pericle, Discorso agli ateniesi, 431 a.C., così come riportato in Tucidide, Storie, II, 34-36)

3 - Spirito del tempo
Provare disgusto, intenso e profondo, per un personaggio politico come Silvio Berlusconi e per i troppi che gli somigliano e non smettono di santificarlo anche da morto, è un test semplice per verificare non certo se siamo onesti e legalitari (nessuno è innocente), ma se almeno abbiamo acquisito l’etica, nei suoi fondamentali, come ‘sentimento’ da avvertire acuto e imprescindibile dentro di noi: compagno di vita necessario per abitare in società con l’onore e la dignità che la Costituzione richiama. 

Questo, ovviamente, non basta per essere etici. E meno che meno per credere di esserlo. Ma ne è la precondizione. 

Senza la realizzazione di questa precondizione, infatti, continueremo a produrre quella melma (di principi, valori, ideali: cultura insomma) che è alimento perfetto per una società corrotta, indifferente al bene comune e tutta rinserrata nel proprio affarismo, particolare e familista (‘idiota’, direbbero etimologicamente gli antichi greci, a indicare il trionfo del 'privato'): la stiamo producendo, questa insopportabile melma, almeno dagli anni 80 (Craxi docet) e ora vi stiamo definitivamente sprofondando. 

Sì, senza la realizzazione di questa precondizione, nessuna democrazia potrà essere rigenerata. E noi, per quanto ci riguarda, abbiamo esaurito anche il ‘post’ della ‘postdemocrazia’: la formula in fondo rassicurante, nella sua voluta imprecisione, per allontanare lo sfascio incombente, già ben visibile all'orizzonte al tempo del suo conio. 

Vale per l’Italia. Ma se ci guardiamo un giro, vale anche per molti paesi con cui abbiamo in comune valori che ogni giorno, anche sul piano etico, si pervertono in disvalori che gridano indignazione. Grazie ai tanti ‘berluscloni’ che proliferano, dentro e fuori i confini patri. 

Perché se Berlusconi, qui da noi, ha fatto ciò che ha fatto ed è diventato un simbolo, per la maggioranza positivo, del fare politica (ma anche imprenditoria), questo ha potuto avvenire non tanto grazie a lui, che altrove o in altri tempi sarebbe stato subito sanzionato socialmente e ‘bandito’ con ignominia dal contesto, ma grazie alla società: la quale, quando non l’ha applaudito, comunque non l’ha fermato. E la società, benché spesso faccia comodo dimenticarlo, siamo noi cittadini: come singoli e come collettività. 
Noi che dimentichiamo che nessuno da solo riesce a imporsi se chi non vuole e disprezza decide di non accettare l'imposizione. 

*** Massimo Ferrario, 'Sentire' l'etica, il test infallibile, per 'Mixtura', 


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domenica 20 agosto 2023

#MOSQUITO / Gli idioti, ieri e oggi (Massimo Ferrario)

Scrive Fernando Savater, filosofo e saggista spagnolo (°): 

«Gli ateniesi ebbero la felice intuizione di obbligare tutti i cittadini a partecipare alla vita pubblica. E se qualcuno si chiamava fuori, lo bollavano con una parola che, sia pure con diverso significato, usiamo ancora oggi: idiota. L'idiota era l'egoista, colui che si crede autosufficiente, che non pensa ad altri che a sé stesso, che si disinteressa della contesa politica.» 

Mi permetto di aggiungere. 

Oggi, in Italia e non solo, l’idiota può anche interessarsi della contesa politica. E persino andare a votare. Ad esempio, in Italia gli idioti possono votare per quelli che difendono gli idioti. 
E nonostante paroloni come patria e nazione, vuote come l’aria fritta che smuovono, hanno l’impudenza di chiamare le tasse ‘pizzo di stato’. 

Sono i nuovi 'patrioti'. Al sacro servizio della 'nazione'.

*** Massimo FERRARIO, Gli idioti, ieri e oggi per Mixtura, 20 agosto 2023 - (°) Fernando Savater, 1947, filosofo e saggista spagnolo, Piccola bussola etica per il mondo che viene, Laterza, 2013, traduzione di Andrea Benedetti, estratto, versione digitale posizione 1.053 e segg. 


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sabato 19 agosto 2023

#FAVOLE & RACCONTI / L'ispezione del colonnello (Massimo Ferrario)

Reparto schierato sull’attenti. 
Il colonnello procede a ispezionare la truppa procedendo a passi lenti, mentre fissa gli occhi indagatori sulle divise delle prime file. 

Silenzio, curiosità, timore. 

Ad un tratto il colonnello si blocca. 
Scruta un soldato da capo a piedi, più volte, in maniera esibita. 
Poi gli urla di presentarsi. 
Il soldato, più impettito che mai, grida nome e compagnia. 

Il colonnello bercia un comando. 
“La tasca, soldato, la tasca. Abbottona subito la tasca.”

Il soldato è confuso. Trascorrono secondi che sembrano ore.
“Cosa aspetti, soldato? Ho detto di abbottonare subito la tasca. In che lingua devo dirtelo? Sei sordo?”

Il soldato si fa coraggio. Avrà capito bene?
“Devo abbottonare subito la tasca, signor colonnello?”
“Immediatamente. Hai già perso troppo tempo, soldato. E soprattutto hai fatto perdere tempo al tuo colonnello”.

Il soldato fa un piccolo passo verso il colonnello. 
Gli si avvicina cautamente. 
E gli abbottona il risvolto del taschino della camicia.

*** Massimo FERRARIO, L’ispezione del Colonnello, per ‘Mixtura’ – Libera riscrittura di un breve testo di autore anonimo.


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venerdì 18 agosto 2023

#FAVOLE & RACCONTI / Lo scrigno segreto (Massimo Ferrario)

Zappava la terra nel podere del padrone come ogni giorno. 

Ma quella mattina aveva deciso di rendere arabile anche un pezzo di terreno arido, mai coltivato. 
Fu lì che fece la scoperta, e c’era da non crederci: la zappa aveva urtato qualcosa che non sembrava un sasso e lui allora aveva insistito e insistito, anche usando le mani, per cercare in profondità. 

Sì, era un piccolo scrigno. Con dentro monete d’oro in quantità.  
Si era guardato in giro: nessuno. 
Allora aveva deciso di coprire tutto, livellando la terra come non fosse mai stata toccata. 

Di quel ritrovamento non fece parola, men che meno con il padrone. Al quale invece chiese subito in vendita il campo.
Non fu facile: il padrone non aveva intenzione di liberarsi del terreno, ma il contadino insistette tanto, alla fine anche accettando un prezzo altissimo, che il padrone cedette. 

Per raccogliere i soldi necessari a ripagare il debito che aveva dovuto contrarre, il contadino non si risparmiò: trovò un secondo e poi un terzo lavoro e cominciò a guadagnare tanto che gli avanzarono soldi da investire in attività commerciali. 

In breve tempo, gli affari prosperarono. L’uomo divenne ricco: trafficava, viaggiava, comprava, vendeva, fondava un’impresa dopo l’altra, frequentava la ‘buona società’, ormai non lavorava più per vivere, ma viveva per lavorare.

Il tesoro era sempre là, sotto terra: in quel podere in cui aveva fatto il contadino. Era nascosto a tutti. 
Anche a lui: che se n’era totalmente dimenticato. 

E nessuno seppe mai che fu proprio quello scrigno di monete d’oro la causa originaria dell’infarto arrivato a quarant’anni, durante l’ennesima trattativa per acquistare un terreno sconfinato dall’altra parte del mondo. 

*** Massimo FERRARIO, Lo scrigno segreto, per ‘Mixtura’ – Libera riscrittura di un breve testo di autore anonimo.


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giovedì 17 agosto 2023

#FAVOLE & RACCONTI / Capire prima di aiutare (Massimo Ferrario)

Il maestro, durante l’intervallo di mensa, vede che due bambini litigano per impossessarsi dell’unica arancia disponibile rimasta sul tavolo. 
- Non c’è da litigare, dice. - Basta imparare a condividere. 

Il maestro afferra l’arancia e la taglia a metà. 
- Ecco due parti uguali: una per uno.
 
I bambini si mostrano perplessi. 

- Be’, non mi ringraziate?, chiede il maestro. - Vi ho fatto vedere come si risolve una lite. 
I bambini rispondono con un grazie poco convinto. 

Il maestro non capisce.
- Non volevate tutti e due l’arancia?
- Sì. 
- E allora? Adesso avete mezza arancia per uno. Certo non è l’arancia intera che volevate, ma così tutti e due avete avuto un pezzo di arancia. Si chiama condivisione. 

I bambini scuotono il capo. 
- Io volevo l’interno dell’arancia: per farci una spremuta. 
- Io volevo la buccia: da portare alla mamma, che ci fa la marmellata. 

Il maestro si dà un vistoso colpo in fronte: ammette.
- Avete ragione. Sono stato frettoloso e mi sono lasciato condizionare da un unico punto di vista: il mio. Voi invece mi avete ricordato che, se si vuole aiutare, non si agisce prima di aver capito qual è il bisogno dell’altro. Perché non sempre tutti abbiamo lo stesso bisogno e, nel vostro caso, il vostro bisogno individuale era diverso, ma non in contrasto. 

I bambini sorridono: al loro insegnante riconoscono autorevolezza proprio perché sa riconoscere quando ha torto. 

Ora il maestro guarda le due metà dell’arancia. 
Attende. 
Finché entrambi i bambini si illuminano. 

- Siamo ancora in tempo a recuperare -, dice un bambino. 
- Infatti -, aggiunge l’altro. - Basta che ora sbucciamo le due metà: uno di noi si prende l’interno delle due metà e l’altro si prende l’esterno. 

Il maestro si complimenta con i bambini. 
- Soluzione perfetta! Questa è la condivisione che va bene per voi: non avete neppure dovuto accontentarvi, avete ottenuto esattamente quello che volevate. E grazie ancora per avermi fatto riflettere sul mio errore. 

*** Massimo FERRARIO, Capire prima di aiutare, 'Mixtura’ (masferrario.blogspot.com)., 17 agosto 2023. Elaborazione creativa a partire da uno spunto contenuto in Roger Fisher e William Ury, L’arte del negoziato, Corbaccio, 2008


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lunedì 14 agosto 2023

#FAVOLE & RACCONTI / La vera forza (Massimo Ferrario)

 - Ora sei un guerriero. Hai imparato a maneggiare la spada. Io ti ho insegnato ogni segreto. Ma ricorda di continuare a imparare. Incontrerai altri maestri, ti sveleranno altri segreti. Non si è mai campioni: anche se è giusto aspirare a diventarlo.
- Dici che non finirò mai di trovare chi può battermi? 
- Certamente. E quand’anche riuscissi a battere il migliore dei migliori, ci sarà sempre chi ti batterà. 
- Addirittura. Tu, maestro, sai il suo nome? 
- Lo possono sapere tutti: pure tu, se usi occhi per vedere e cervello per riflettere.
- Ha battuto anche te? 
- Ti ho detto: è imbattibile. Mai ho pensato di accettare la sfida. 
- Ma se io invece volessi misurarmi con questo essere misterioso, come devo fare: dove lo trovo?
- Non è un essere misterioso. Lo puoi trovare ovunque. Per esempio, ti si svelerà se andrai al Piccolo Lago delle Ninfee. Entra nel lago fino ai polpacci, con la spada già sguainata e pronta a colpire. Mentre brandisci la spada, insulta il lago minacciando di colpirlo.

Il giovane trasecola.
- Maestro, non capisco: insultare il lago? Il lago non parla: non mi risponderà.
- Infatti. Allora tu abbassa la spada e mena dei grandi fendenti alla superficie: colpisci il lago con la tua lama, una volta, due volte, dieci volte.
- Maestro, scusami, continuo a non capire: non ho mai visto un lago combattere con un un guerriero a colpi di spada. Tu mi hai detto che esiste chi mi può battere: ti sto chiedendo di indicarmi chi lo può fare.
- E io te lo sto dicendo, ragazzo. Ti ho indicato il lago qui vicino, ma se fai qualche miglia e percorri la Valle dei Grandi Alberi arrivi al Grande Mare. Ecco: lago o mare, non cambia. Quel che conta è che tu, se vorrai ottenere la Vittoria Vera, quella Maiuscola, e non la vittoria minuscola che puoi conquistare sul miglior guerriero al momento esistente, dovrai assomigliare all’acqua. Di un lago, di un mare, di un fiume. E’ l’acqua che è imbattibile. Nessuno la sfida a duello: nessuna lama le infligge la minima ferita. Perché, se pure qualche pazzo lo facesse, lei si aprirebbe, accoglierebbe la spada e si richiuderebbe subito senza subire danno alcuno. Impassibile: tornando calma come prima. Avrei potuto indicarti la roccia del Grande Monte qui accanto. La roccia è il mito dell’uomo forte-e-duro, tutto d’un pezzo, mi-spezzo-e-non-mi-piego. In effetti, in questo caso, la tua spada, se prendesse a stoccate la roccia, si spezzerebbe al primo colpo e la roccia vincerebbe. Ma la roccia, a rifletterci bene, è un mito di cartapesta: titilla la pancia, ma non sollecita il cervello. Rassicura solo chi si lascia sedurre dalla prima impressione. Se cerchiamo la forza vera, l’acqua è campionessa assoluta. Vince su tutto: per la sua fluidità, incontenibile, e la sua variabilità, sorprendente. L’acqua si adatta, si trasforma. Ghiacciando, evaporando. Facendosi pioggia, nebbia, grandine, neve, ghiaccio. Essendo torrente, cascata, fiume, lago, stagno, mare, oceano. Ed è l’acqua che è capace di sbriciolare qualunque roccia. A ondate o goccia a goccia. Con la violenza o con la carezza. Con l’impeto o con la perseveranza. Sì, con l’acqua non serve la spada. Certo, non siamo e non possiamo diventare acqua. Ma se facciamo in modo da assomigliarle il più possibile, se a lei facciamo lo sforzo continuo di ispirarci, non avremo mai bisogno di usare la spada. Perché tutti capiranno, vedendoci simili all’acqua, che la nostra vera forza non è nella spada. E’ oltre. 

Il giovane è colpito: come se gli fosse stata inferta l’ultima e definitiva stoccata. 

Il maestro sorride, benevolente. E si lascia andare a uno dei suoi abituali commenti ironici.
- Semplicissimo, no? Dunque, lo so, difficilissimo.

*** Massimo FERRARIO, La vera forza, ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com’), sezione ‘Favole&Racconti’, 14 agosto 2023 – Libera rielaborazione creativa di un testo di Paulo Coehlo, che però individua la roccia, al posto dell’acqua, come invincibile (Maktub-Destino, 1994, La Nave di Teseo, 2023, traduzione di Rita Desti, estratto, p. 118)


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sabato 12 agosto 2023

#FAVOLE & RACCONTI / Fiori e riso al cimitero (Massimo Ferrario)

Autunno. Nebbiolina. Pioggerellina invisibile. Umidume che entra nelle ossa.
Cimitero alla periferia della città.
Mezzogiorno.

Un uomo, incappottato, sta sistemando un mazzo di fiori freschi su una tomba.
Lo fa con amorevole lentezza: accarezza i fiori, li dispone nel vaso e avvicina il vaso alla fotografia di una donna. La moglie, giovanissima, è morta da oltre tre anni. 
Come ogni giorno, l’uomo è al suo posto a compiere il rito.
Ha parlottato, tra sé e sé: ma rivolgendosi alla foto.
Ha terminato e sta per avviarsi. Dà un’ultima occhiata ai fiori e alla immagine della moglie. Si dà una spazzolata al cappotto, prima di allacciarselo e rimettersi in cammino.
Alza lo sguardo. 

Tre tombe più in là, un cinese sta scartocciando un contenitore di riso. 
Anche lui procede con molta calma, riponendo la scodella di riso fumante accanto alla foto di una donna.

L’uomo dei fiori accenna col capo un saluto.
Sussurra, comprensivo:
- Anche lei è vedovo?
L’uomo del riso, finendo di sistemare le bacchette nella scodella, annuisce.
- Da un mese.

L’uomo dei fiori fissa la scodella con il riso: vorrebbe trattenersi, ma non ci riesce:
- Scusi, se glielo dico. Ma, con il massimo rispetto, lei davvero crede che sua moglie potrà gustare il riso che lei le sta preparando con tanto amore?

L’uomo del riso resta impassibile.
- E lei, signore? Crede davvero che sua moglie sentirà il profumo dei fiori freschi che ogni giorno le sistema sulla sua tomba?

*** Massimo FERRARIO, Fiori e riso al cimitero, per ‘Mixtura’. Libera riscrittura di un testo di spirito orientale di autore anonimo.


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venerdì 11 agosto 2023

#FAVOLE & RACCONTI / Il marketing del giovane medico (Massimo Ferrario)

Il giovane medico si è appena laureato.
Ha sempre creduto nel marketing, soprattutto quello aggressivo e un po’ fuori dagli schemi, e quindi pensa di applicarlo subito.

Apre il nuovo studio: deve farsi una clientela e non è facile, specie di questi tempi. 
Decide perciò di avviare una pagina sui social principali e vi inserisce un annuncio. “Terapie brevi ed efficaci. Prima visita e prima prescrizione di farmaco: 100 euro. Se la cura non dovesse produrre effetti, vi restituiamo, raddoppiata, la cifra pagata: 200 euro”.

Uno studente fuori corso, ancora sfaccendato e abituato a vivere di espedienti, legge ed è incuriosito: pensa a come ricavarci qualche soldo senza fatica. 
Si presenta allo studio. 
“Dottore, ho perso il senso del gusto…”.
Il medico si alza: cerca nello scaffale. A voce alta dice: scatola 12, in alto a sinistra.
Estrae la bottiglietta. Ne spruzza qualche goccia sulla lingua del paziente.
“Ma cosa fa, dottore?” grida il giovane, facendo un salto indietro. “Questa è benzina: lei è matto?” e sputacchia tutto attorno quello che gli è andato sulla lingua.
Il medico sorride: “Ha ragione. E’ benzina. Abbiamo verificato che il senso del gusto o non l’ha mai perso o è tornato. Se vuole lasciare 100 euro, la ringrazio”.

Il giovane paga, irritatissimo: medita una vendetta.
La settimana seguente, nuova visita.
“Dottore, temo di aver perso la memoria…”.
Il medico si alza: cerca nello scaffale. Si dirige alla scatola 12, in alto a sinistra. La apre e impugna la boccettina.
Il giovane sbotta: “Dottore, mi sta prendendo in giro? E’ la medicina dell’altro giorno: benzina pura”.
Il medico annuisce. “Ha ragione. Abbiamo verificato che la memoria o non l’ha mai persa o è tornata. Se vuole lasciare 100 euro, la ringrazio”.

Il finto paziente è imbufalito, ma non desiste. La settimana seguente riprova.
 “Dottore, la mia vista si è indebolita: vedo fosco, annebbiato, non riesco a distinguere le cose…”.
Il medico mostra dispiacere. 
“Debbo confessarle che mi coglie impreparato. Non ho ancora individuato il farmaco appropriato per questi casi. Se vuole tornare tra un mese: ci sto lavorando e magari qualche rimedio lo trovo. Intanto, come da impegno, ecco i 200 euro che le devo”.
Il giovane ha gli occhi che gli brillano. Stavolta ce l’ha fatta: ha incastrato il medico. Avvicina la mano e guarda la banconota che il medico gli ha passato.
“Ma lei mi sta truffando, dottore! Questa è una banconota da 50 euro, lei mi deve due banconote da 100”.
“Ha ragione. Abbiamo verificato che la vista o non l’ha mai persa o è tornata. Se vuole lasciare 100 euro, la ringrazio”.

*** Massimo FERRARIO, Il marketing del giovane medico, per ‘Mixtura’ – Libera riscrittura di un breve racconto di autore ignoto.


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giovedì 10 agosto 2023

#FAVOLE & RACCONTI / La volpe e la capretta (Massimo Ferrario)

Un incendio aveva inghiottito la foresta e tutte le pozze d’acqua si erano prosciugate. Gli animali, sfuggiti al fuoco, non avevano avuto altra scelta che entrare con cautela nei paesi lì attorno, in cerca di cibo e acqua.

Così stava facendo una volpe. Sempre più assetata e disperata, si aggirava per le stradine tra le poche casupole di fango di un piccolo villaggio, quando si imbatté in una grande vasca d’acqua che i contadini, specie in quei giorni, conservavano come un tesoro prezioso. 

Era al settimo cielo: non credeva alla sua fortuna. Mentre perlustrava i bordi della vasca, cercando di capire come avrebbe potuto farsi finalmente una grande bevuta, le scivolò una zampa e cadde dentro la vasca, sollevando uno schizzo gigantesco. 
Bevve e poi bevve e poi bevve. 
Ma poi, quando tentò di uscire, provò e riprovò, ma senza successo: le zampe scivolavano lungo le pareti bagnate e lei rifiniva dentro ogni volta. 
Si arrese: trovò la posizione giusta per restare a galla senza spendere energie inutili e attese. Qualcosa sarebbe successo. 

La mattina, all’alba, si sentì chiamare. 
“Che fai lì, bella volpe, ti fai cullare dall’acqua?”. 

Era una capretta che guardava, incuriosita. 
La volpe fu pronta a rispondere. 
“Ho bevuto. E adesso sto facendo il bagno. Non so se sei del villaggio e conosci questa vasca, ma l’acqua è buonissima e bellissima. Con l’incendio che ha distrutto la foresta è una vera fortuna aver trovato questo posto. Avrai sete anche tu. E forse avrai bisogno di una buona rinfrescata. Buttati, ti aspetto.” 

La capra non se lo fece ripetere. Saltò e, con uno spruzzo che inondò il muso della volpe, fu dentro in un attimo. Bevve e nuotò. Nuotò e bevve. Era davvero una delizia, quella vasca. Veniva voglia di non uscire più. 

Poi, però, venne il momento di risalire. E la volpe questo attendeva, paziente. 

La capretta cercò di  spingere le zampe su per la parete. Ma scivolava ogni volta in acqua come era accaduto alla volpe. Cominciò a preoccuparsi. 
“E adesso, amica volpe, che facciamo?” 

La volpe mostrava assoluta serenità. Sorrideva. 
“Nessun problema, cara capretta. Tutto previsto”. 
“Cioè?” chiese la capretta, per nulla tranquillizzata. 
“Semplice: io salgo sulle tue corna. Poi, da lì, sono vicina al bordo della vasca. Con uno sforzo, mi do un colpo e salto fuori. Quando sono fuori ti allungo una zampa e ti aiuto a uscire.” 

Alla capretta si illuminò il musetto: tutti sapevano della furbizia della volpe e anche stavolta era stata dimostrata. Grazie a lei, se ne sarebbe uscita in un attimo. 
La capretta agevolò la volpe nel salire sulla sue corna e la volpe in un attimo fu fuori. 
Non si voltò neppure a salutare. È ancora là che corre. 

*** Massimo FERRARIO, La volpe e la capretta nella vasca, per ‘Mixtura’. Libera riscrittura di un racconto tratto da Harshita Makvana, La volpe e la capra, ‘momjunction.com’, 5 settembre 2022.


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