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lunedì 20 marzo 2017

#SENZA_TAGLI / Lodi, apologia di reato e libertà di parola (Sarantis Thanopulos)

Un ristoratore a Lodi ha reagito a un tentativo di furto nel suo locale, sparando ai  ladri e uccidendone uno, colpito alle spalle. Dopo una colluttazione, i ladri stavano abbandonando la loro impresa criminale. L’avvocato dell’uccisore, indagato per omicidio volontario, gli ha consigliato, con prudenza che sa di giurisprudenza, di dichiararsi costernato per l’accaduto. Atto propedeutico a definire non intenzionale l’atto omicida, a riferirlo alla particolarità del suo stato emotivo: lo shock per l’aggressione ai suoi beni avrebbe interferito con la sua valutazione della situazione offuscandola.

Il legale ha cercato di circoscrivere la difesa del suo cliente nell’ambito delle possibilità consentite dalla legge: l’omicidio preterintenzionale e l’eccesso di legittima difesa. Ai giudici la responsabilità di stabilire la definizione del reato e la pena giusta. Matteo Salvini, che della legge se ne sbatte allegramente - visto che gli è, altrettanto allegramente, concesso - è di un altro avviso. Per lui la giustizia si amministra in piazza nei suoi comizi. Uccidere un ladro disarmato, che non costituisce un pericolo per la nostra vita, è, secondo il codice penale leghista,  “legittima difesa”. Un’impresa encomiabile, non un atto legalmente punibile.

Le affermazioni di Salvini (che si è fatto fotografare trionfante con il ristoratore dopo l’omicidio) non sono un’interpretazione palesemente fallace della legge: si costituiscono come apologia di reato, rappresentano un’istigazione all’omicidio indiscriminato, a una pena di morte amministrata personalmente nei confronti di chi minaccia la nostra proprietà privata. Solo se si tratta di un immigrato, questo va da sé.

Se l’Italia fosse ancora un paese di “diritto”, nel senso nobile del termine, come ci compiacciamo pensare, uno come il capo della Lega non dovrebbe essere a piede libero. Invece, va indisturbato in giro a lanciare provocazioni sempre più gravi, in virtù della “libertà di parola”, che applicata al suo caso diventa un guscio vuoto. Le parole in libertà mirate a creare un stato emotivo di massa che agisce come forza prevaricatrice, creando sopraffazione, nulla hanno in comune con la libertà d’espressione. Sono strumenti di manipolazione che minano l’ordinamento democratico e dovrebbero essere sanzionati con tutto il rigore necessario.

Di tutte le cose che giacciono sotto il cielo, la cosa più pericolosa è la stupidità umana. È di natura emotiva, non si misura con il Q.I. Insegue l’ottundimento del sentimento d’incertezza e abolisce le variazioni dell’esperienza. Il suo obiettivo è la stabilità psichica in se stessa, la semplificazione assoluta del vivere. Il realismo ne è la vittima più illustre. Rivendicare il diritto di difesa personale con le armi, serve solo a affermare il potere del più spregiudicato, che capita essere il più pazzo. Pensare di poter fermare il processo di globalizzazione alle soglie delle proprie case, invece di cercare di governarlo, serve solo a farsi travolgere.

La coltivazione di stupidità non rientra nella libertà d’espressione perché sfocia inevitabilmente nell’attacco ai diritti umani fondamentali (la differenza, la parità e la fraternità). Fa parte della stupidità umana pensare che le consultazioni elettorali e persino i sondaggi d’opinione possano contraddire i diritti fondamentali, come se il traffico su un ponte potesse fare a meno dei pilastri che lo sorreggono. È viltà verso la stupidità umana rifugiarsi nello spirito di tolleranza: un modo sicuro per esserne sommersi. Combatterla – prima che diventi tsunami - è previdenza (meglio della divina provvidenza).

*** Sarantis THANOPULOS, psicoanalista, I fatti di Lodi: apologia di reato e libertà di parola, 'Pol.it - Psychiatry online Italia', 19 marzo 2017, qui


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mercoledì 10 febbraio 2016

#SENZA_TAGLI / Occidente, la sua arroganza incompiuta (Sarantis Thanopulos)

La decisione del governo di Danimarca, condivisa dalla maggioranza dei danesi, di confiscare ai rifugiati i loro beni superiori al valore di circa 1350 euro, come contributo alle spese del loro mantenimento, qualche senso di colpa l’avrà provocato anche tra i suoi sostenitori.
Tuttavia, i sensi di colpa si inchinano sempre alla “forza maggiore” (le reazioni impulsive alle difficoltà) e sono assai utili nell’arredo dell’auto-assoluzione: se si diventa inumani per “necessità”, si torna umani con un po’ di dolore. Se le ferite che infliggiamo ai più deboli, sfociassero dentro di noi in un senso di vergogna, invece che di colpa, le cose nel mondo andrebbero meglio.
La vergogna è la trasformazione della ferita dell’altro in ferita del nostro amor proprio: ci umilia la sua umiliazione.

L’incapacità di vergognarsi, di cui diamo prova ampia, è coperta con un principio considerato di buon senso: si deve rispettare la casa di cui si è ospiti perché l’ospitalità possa essere offerta. Questo non è chiaro come possa valere quando le relazioni di scambio e di buon vicinato sono sconvolte e mentre la casa gli uni la mantengono, gli altri l’hanno perduta. Le regole della buona educazione e del rispetto reciproco non valgono, quando le loro premesse  sono sconvolte.

Gran parte dell’Occidente è tentata a far sentire la voce del padrone con i suoi ospiti: “A casa mia comando io”.
Sennonché, le regole di gestione della propria casa non sono più valide, se cambia rapidamente la composizione di chi la abita e diventa anche confusa la distinzione tra interno e esterno. In queste condizioni, l’unica alternativa al caos e all’arbitrio è il principio della fraternità universale: tutte le persone sono pari sul piano del desiderio, indipendentemente dalla loro differenza sul piano dei bisogni, delle capacità fisiche e mentali, del sesso, delle scelte sessuali, della cultura, della religione e della concezione del mondo.

Ogni conflitto, derivante dalla differenza, può essere realmente risolto solo all’interno di questa prospettiva, che vede la differenza come condizione della persistenza e dell’appagamento del desiderio.
La differenza ci fa confliggere ma ci fa anche sentire desideranti e vivi.
A due condizioni:
a) che la differenza non sia confusa con l’estraneità, quando il più forte annienta il più debole che gli attraversa la strada;
b) che la differenza identitaria dell’uno non domini quella dell’altro, trasformando la loro coesistenza in annessione e  sfruttamento. In entrambi i casi, la differenza di fatto svanisce: essa non ama la supremazia dell’uno sull’altro; cresce nell’eguaglianza.

L’occidente è convinto della supremazia dei suoi valori. La sua autoreferenzialità è contraddetta dal fatto che i valori fondamentali, dai quali emanano tutti gli altri (se non sono funzioni normative, strumentali), sono espressione della materia viva dell’umanità, non sono fabbricati da una cultura che li possiede.

Coloro a cui condizioni storico-culturali hanno consentito un miglior riconoscimento e inquadramento di questi valori, dovrebbero spogliarsi di ogni senso di superiorità e diffonderli con umiltà, rispettandoli nelle loro relazioni con gli altri.
La supremazia occidentale poggia su un potere economico, politico e militare che dei valori etici fa tranquillamente a meno.

È la grande contraddizione storica della democrazia: con l’esercizio del potere nelle sue relazioni esterne viola palesemente i principi della sua costituzione.
Manifestazione di un’ambiguità del suo funzionamento interno, incompiutezza che l’Atene di Pericle ha compensato con l’arroganza. Non è andata bene.

*** Sarantis THANOPULOS, psicoanalista, L'arroganza incompiuta dell'Occidente, 'pol.it psychiatry on line', 8 febbraio 2016, qui


In Mixtura 1 altro contributo di Sarantis Thanopulos qui

sabato 1 agosto 2015

#RITAGLI / Anoressia, ma il bersaglio vero non è il cibo (Sarantis Thanopulos)

L’anoressia è un disagio psichico così rappresentativo della società che si affaccia al nuovo millennio, da poter essere usata come metafora del suo modo di funzionamento più profondo. Rappresenta la regressione dell'isteria patologica verso un crinale melanconico e porta il narcisismo, che ha dominato la scena sociale nella seconda metà del novecento, ai suoi aspetti più mortiferi, devitalizzanti.
È una perversione della soggettività che fa della negazione del desiderio la ragione prima dell'esistenza. Censura severamente la relazione erotica con la vita, nel punto in cui essa è ferita profondamente. Sancisce un disconoscimento radicale dell'oggetto desiderato e si difende dal conseguente effetto depressivo, promuovendo una trasformazione fallica estrema della struttura psicocorporea, che va ben al di là dell'androginia per raggiungere la sua più profonda essenza.   
Per quanto si manifesti come rifiuto del cibo, il bersaglio vero dell'anoressia sono l'intensità,  la profondità  e l'espressività erotica della struttura psicocorporea, che è prosciugata e contratta nella sua componente femminile. Il dimagrimento estremo tende verso la configurazione di un’esistenza spogliata della sua materia viva e funzionante come  principio spirituale, energia pura. La psiche tende a dissociarsi dal corpo ed è sedotta dal l'ideale di un'esistenza autocratica che può sfidare la morte.
L'anoressia è affrontata come patologia dell'alimentazione perché si perde di vista che ciò che è represso, in realtà, è  il desiderio sessuale alle sue radici. (...)

La cura dell'anoressia secondo parametri puramente cognitivi che puntano sull'interesse materiale (ai valori nutritivi e di salute) e ignorano la ferita della soggettività desiderante, è fallimentare (senza nulla togliere all'impegno necessario dei medici a garantire la sopravvivenza del  malato). Crea un compromesso minimo che da una parte garantisce un'attività limitata di vita e dall'altra salvaguarda le ragioni dell'anoressia: la prevalenza dello scheletro sulla carne viva.
La cultura dominante nella terapia dell'anoressia, che tratta i soggetti che ne soffrono come una madre che cura i figli privilegiando i fattori quantitativi, riflette l’ossessione della dieta corretta, l’ “ortoressia” del vivere che della società attuale è una struttura portante. La coltivazione di un corpo sempre più  disincarnato nella sua deriva salutistica, che non riesce a vedere nell'anoressia il suo perturbante riflesso.

*** Sarantis THANOPULOS, psicoanalista, Ortoressia del vivere, 'pol.it - psychiatry on line Italia', 26 luglio 2015

LINK, articolo integrale qui