giovedì 15 giugno 2023

#SPILLI / Fuori (Massimo Ferrario)

Dopo lo sconcio, previsto ma andato oltre le attese più pessimistiche, della santificazione generalizzata di Berlusconi, attraverso tv a canali unificati e quotidiani a testata unica, ho la conferma di far parte di quella minima minoranza di cittadini cui ormai 'fanno male' l'Italia e gli italiani.

Con questa 'nazione', con questa 'patria', non ho nulla da spartire. E nulla voglio condividere.

Questo è un paese culturalmente pervertito: incapace di opporre un'etica pubblica e individuale, che sanzioni anche socialmente la disonestà e la illegalità, allo scempio in atto almeno dagli anni 80 del craxismo. Del resto nessuno poteva fare ciò che ha fatto Berlusconi, con l'aiuto dei suoi servili eredi, se non ci fosse (stata) complicità con il dna caratteriale profondo di noi italiani.

Come il fascismo, così il berlusconismo (e quanto accaduto in questi giorni) è l'autobiografia di una nazione.
E, almeno nell'immediato, non c'è nulla da fare.
Perché il punto non è cambiare i governi: che pure è un'impresa ardua, se si vuole davvero proporre una seria alternativa e non alternare figurine sulle poltrone del potere. Il problema è intaccare l'antropologia di un Paese ridotto a come è ridotto: riorientandola di 180 gradi. E l'antropologia non si cambia se non con lunghi processi (di tutti) e una ferrea determinazione (di tutti) a essere diversi da come si è, anche dopo autoanalisi (dolorose) su chi si è diventati.

E' già stato detto: se si vuole distruggere qualunque convivenza che voglia essere comunità civile, basta trattare i disonesti come persone rispettabili, o addirittura padri ed eroi della patria, e trattare gli onesti come fessi che non sanno vivere.

E' di moda la 'parificazione'. Ma io non sono né per questa né per altre.

Mi rendo conto di essere 'fuori': e del resto dichiaro disgusto per i 'vincenti' che hanno come fine unico vincere a qualunque costo, affermando con ogni mezzo la propria insultante egolatria.
Sono orgoglioso di provare questa dolorosa, lontanissima estraneità. Dall'Italia e dagli italiani. 

*** Massimo FERRARIO, Fuori, per 'Mixtura'


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martedì 13 giugno 2023

#SPILLI / Vergogna, come sempre ma più di sempre (Massimo Ferrario)

Negli ultimi quarant'anni sono infinite le volte in cui mi sono vergognato di avere come concittadino un figuro come Berlusconi al vertice delle più alte cariche dello Stato. 
Ho provato fastidio, irritazione, incazzatura. Avrei voluto non essere italiano. E la cosa mi ha fatto male: un vero e proprio male fisico. 
So di non essere stato solo, ma non per questo il male si è mai tramutato in gaudio, neppure a metà. Anzi, si è esponenzialmente moltiplicato. 

Ora, con la morte di Berlusconi, la vergogna, con il relativo dolore, ritorna, più acuta e disgustante che mai. Ma stavolta, lui, Berlusconi, c'entra solo indirettamente. I primi responsabili sono altri. 

Non è una novità. Devo ammettere, se ben ci penso, che anche in passato questi responsabili erano presenti. Oggi però, sarà la potenza del presente che li porta in primo piano, non riesco a non vederli giganteggiare come causa prima della mia nausea. 

Sono almeno due, questi responsabili: lo Stato e il ceto mediatico di stampa e tv.

(1) - Lo Stato ha deciso che mercoledì, giorno dei funerali di Berlusconi, sia 'lutto nazionale'. 
Ora: il lutto è una cosa seria. E la nazione (espressione che peraltro non amo particolarmente) altrettanto: le sue dimensioni vanno (dovrebbero andare) oltre la stretta cerchia familiar-parentale e il condominio. 'Lutto nazionale' significa quindi certificazione di un dolore che riguarda (almeno) la maggioranza degli italiani. Dire che mi pare una decisione spropositata, soprattutto se applicata a un personaggio mai come altri così divisivo, è usare un eufemismo. 
I ‘funerali di Stato’, per chi è stato presidente del Consiglio, sono previsti dalla legge: che non ha immaginato (per l'assurdità dell'ipotesi) l'esclusione per condanne, ad esempio per frode fiscale, per chi abbia occupato cariche così alte. Ritengo che stonino, i funerali con onori pubblici in Duomo a Milano, ma sono legittimi. E' invece una scelta del tutto discrezionale dell'attuale governo decretare il ‘lutto nazionale’. 
Credo che, come me, milioni di italiani non ritengano di essere in lutto, eppure tutti facciamo parte della stessa nazione che, per mano del sottosegretario alla presidenza del consiglio e quindi di Giorgia Meloni,  ha decretato il pianto collettivo, per tre giorni, per Berlusconi. 
Non essere in lutto non significa godere per la morte di Berlusconi: tra l'altro un evento naturale avvenuto a 86 anni. Significa solo, non essendo parte della cerchia degli intimi, non provare né dolore né tristezza. 
Ogni giorno muoiono al mondo 140 mila persone (2mila in Italia), tra queste un'infinità di gente sicuramente (più) meritevole di essere pianta: e a loro non dedichiamo neppure un secondo. 
Il mio atteggiamento verso questo evento, per nulla sorprendente e improvviso, è dunque quanto mai semplice: nessun brindisi, solo una presa d'atto della naturalità della morte. E il diritto di continuare a dire, del morto, ciò che si pensava e si diceva del vivo. Nel bene e nel male. E quando il male supera il bene (o almeno così si ritenga), dire del male ancor più che del bene. Anche perché il male, in personaggi che hanno occupato ruoli di vertice come il de cuius, non resta isolato, ma si espande a raggera, pure oltre i reati oggetto di processo penale. Perché tocca tutti. Avendo pervertito, in questi quarant'anni di vita pubblica, in chiave profondamente antropologico-culturale, l'intera struttura psico-sociale che fonda una ‘comunità’: i suoi principi i suoi valori, la sua visione del mondo.

(2) - Qui entra in gioco il secondo responsabile della mia personale e insopportabile vergogna: il ceto intellettual-giornalistico, che ci impone, a reti e giornali unificati, la sua comunicazione sempre più propagandistica.
Siamo abituati alla servitù volontaria e all'oceano di bava prodotta da lingue che si affannano nell'osannare il potere e i potenti. Si dice che tutto debba avere un limite. Invece la realtà, almeno qui, smentisce: i fatti dimostrano che non c'è limite, o che il limite, ogni volta ignominiosamente superato, è sempre più basso. Ore e ore di trasmissioni tv e paginate intere di quotidiani unificati all'insegna della santificazione del defunto: un processo iniziato con le dirette quotidiane di tutti i tg, pubblici e privati, per oltre un mese durante la prima degenza al San Raffaele e che ha avuto il suo culmine alla notizia della morte. 
Non servono molte parole per stigmatizzare il fenomeno che ci perseguita da sempre: siamo quello che siamo anche perché abbiamo questo ceto mediatico, che, in Italia più che altrove, ha sempre confuso il 'cane da guardia' con il 'cane da salotto'. 
'Democrazia' significa, come precondizione, mantenere una postura da ‘schiena diritta’: vale per i cittadini, senz’altro. Ma ancor più per i giornalisti: i quali, se non dimenticassero che è il ‘pensiero critico’ il fondamento del loro mestiere, aiuterebbero i 'cittadini' a contrastare la deriva, comoda ma liberticida, che ogni giorno che passa degrada noi a 'sudditi' e svuota le 'democrazie' trasformate in 'democrature' senza che neppure ce ne accorgiamo.

*** Massimo Ferrario, Vergogna, come sempre ma più di sempre, per 'Mixtura'


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lunedì 12 giugno 2023

#SPILLI / La morte, saggiamente (Massimo Ferrario)

La morte non santifica. 
Se un delinquente muore, muore un delinquente. 
Il rispetto non viene dalla morte, ma dalla vita. 

E' in vita che ognuno può distinguersi: per esempio scegliendo di essere onesto o disonesto. 

La morte rende tutti uguali: onesti e disonesti. E non c'è nessun merito a morire: non si guadagnano punti. Ciò che siamo stati, restiamo. 

I politicanti, morendo, non diventano politici e men che meno statisti. Gli affaristi e i delinquenti, vanno onorati se in vita decidono di smettere di fare ciò che  fanno. Se è la morte che li costringe a smettere, non meritano nessun onore. 

Il merito, se mai, va tutto alla natura: che, saggiamente, non ci ha fatti immortali. 

*** Massimo Ferrario, La morte, saggiamente, per 'Mixtura'


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