giovedì 30 novembre 2023

#LIBRI PIACIUTI / “I rapaci”, di Paolo Mottana

Paolo MOTTANA
I rapaci
Edizioni Ensemble, 2023
pagine 246, € 16,00

Un titolo perfetto

‘I rapaci’ è un titolo perfetto. A stigmatizzare con un solo termine, concretissimo ma anche immaginifico, un mondo di artisti e artistoidi che intrallazzano per mettersi in mostra e avere successo: si usano, si vendono, fingono, inseguendo prevalentemente moda e denaro. 

Il protagonista, Mauro, è un pittore introverso e fuori dal giro, non più giovane ma con un talento ancora non compiutamente espresso. La sua arte è riconosciuta da pochi intenditori, che non fanno mercato, perché il mercato è lasciato in mano ad affaristi che lo orientano e lo spingono là dove portano i soldi. 

La personalità di Mauro, complessa e complicata fino a sfiorare il patologico, cerca ancora di percorrere, in campo artistico, la vecchia via, faticosa e mai garantita, dell’ispirazione. Nel frattempo è travolto da un amore con una ragazza assai più giovane, Sonia, bella ma per lui bellissima, che sbava per affermarsi come artista: per riuscire in questo suo intento è disposta a tutto. Lui, nonostante la consapevolezza di essere finito in un rapporto dominante e strumentale, affettivamente inconsistente e psicologicamente malato, non sa venirne fuori: più la ragazza lo insulta e maltratta, più lui si trova vittima di un desiderio senza limiti e perciò stesso sempre più insoddisfatto. 

La trama è ricca di descrizioni acute, precise e magnetizzanti, dell’ambiente milanese di galleristi, curatori, artisti. 
Lo stile è netto, tagliente, secco: brevi capitoli che corrono e coinvolgono, intrecciando, con molti dialoghi ottimamente costruiti, le tante storie che intarsiano una trama amara, ricca di personaggi cesellati con cura e massima efficacia. 
Chi legge resta ipnotizzato dall’evolversi dei fatti e da una scrittura essenziale, senza fronzoli, curioso di arrivare all’ultima pagina. La lettura è piacevole, benché inquietante. 
Chi vuole lasciarsi andare a qualche pensiero ne avrà molti su cui interrogarsi: ancor più se è vicino al mondo, miserevole e malato, qui tanto ben descritto. 

*** Massimo Ferrario, per ‘Mixtura’


In Mixtura ark  #LibriPiaciuti di Massimo Ferrario qui:

venerdì 24 novembre 2023

#SPILLI / L’anti-semitismo e l’etica delle parole (Massimo Ferrario)

Premessa - E' stato detto: le parole sono importanti. Condivido al 1.000 per 100. Usarle male, confonderle, ingarbugliarle, può essere segno di ignoranza. O di malafede: quando, ad esempio, è impossibile che uno che ha titoli non solo formali per conoscere, come intellettuali autorevoli o politici che ambiscono ad essere riveriti addirittura come statisti, si esime dal trattare con accuratezza e precisione il vocabolario che dovrebbe padroneggiare. In ogni caso, che sia ignoranza o disonestà intellettuale, l'uso inappropriato dei termini, non ci permette di capire o di far capire. Oppure indica l'intenzione, precisa e dolosa, di far capire cose sbagliate: strumentalizzando l'interlocutore per far passare il solo punto di vista dominante, confondendo le acque e realizzando 'la notte delle vacche nere'. Specie quando il tema è delicato, complesso, storicamente profondo, intrecciato e ambivalente, urge un'igiene del lessico. Come nel caso che qui vorrei trattare.

La confusione  - Si continua a confondere anti-israelismo  con anti-semitismo.
Cerco di applicare un po' di pulizia al significato di alcuni concetti: lo faccio per chiarirmi io stesso le idee su una questione tanto complicata e, magari anche, per stimolare un pizzico di chiarezza in più rispetto a quella circolante in chi mi legge. Non sono uno storico, ma semplicemente uno che cerca di capire i fatti, mettendoli in fila, dopo averli estratti da più libri letti, e tenta di tenere sotto controllo i propri pre- e post-giudizi. Non dico di riuscirci: ma il proponimento si inserisce in un approccio etico al conoscere e al capire, di cui mai come oggi credo avremmo un assoluto bisogno. 

Anti-Israelismo - C'è un anti-israelismo che nasce all'origine dello Stato di Israele e uno che viene abbondantemente alimentato in tutta l'epoca successiva, a causa delle politiche dei governi israeliani. Entrambi non hanno nulla a che fare, almeno in modo diretto ed esplicito, con l'anti-semitismo, che è un fenomeno sempre esistito e certamente tuttora esistente. 

(1) L'anti-israelismo originario sconfina nell'anti-sionismo: che è il no alla nascita di Israele come Stato. La teoria di Theodor Herzl (Lo stato ebraico, 1896), che nell'epoca dei nazionalismi crescenti di fine 800 proponeva la nascita dello Stato di Israele come ritorno alla terra dei Padri, fu osteggiata anche da molti della diaspora ebraica e non solo dagli arabi che miravano a difendere le terre da loro abitate. C'era chi, tra gli ebrei, voleva 'restare diaspora' (cittadini del mondo) e non era affascinato né dalla 'istituzione Stato', né dal mito biblico che rievocava un'appartenenza ai luoghi di duemila anni prima. Anche perché a molti era chiaro fin da subito (e peraltro non ci voleva molta intelligenza politica per avere questa chiarezza: bastavano logica e visione) che la nascita dello Stato di Israele avrebbe coinciso con l'affermazione di una invasione in terre arabe che mai avrebbero accettato i nuovi occupanti, a maggior ragione se gli occupanti si fossero insediati con l'hybris di chi pretendeva di avere diritto all'occupazione. Andrebbe ricordato in proposito che anche un leader politico ebreo come Shimon Peres, orgogliosamente convinto di essere ebreo e di rappresentare lo Stato di Israele, ebbe a dire nel 2008, in un discorso agli studenti all'università di Haifa, che lo Stato di Israele si fondava su un 'peccato originale': e la consapevolezza di questo 'peccato originale' avrebbe dovuto portare gli ebrei di Israele a 'fare ammenda'. Ecco un passo del discorso di Shimon Peres: "La creazione dello Stato di Israele è stata un atto di autodeterminazione legittimo, ma è stata anche un atto di violenza che ha causato sofferenza al popolo palestinese. Israele deve fare ammenda per i suoi peccati e cercare la pace con i palestinesi. Israele deve riconoscere che la sua esistenza è stata possibile grazie alla sofferenza di altri. Dobbiamo chiedere perdono al popolo palestinese per la sofferenza che abbiamo causato. Dobbiamo cercare la pace con loro, perché la pace è l'unica via per garantire la nostra sicurezza e il nostro futuro." (°)

(2) Esiste poi un secondo anti-israelismo, che si rifà all'anti-sionismo di chi si considera parte di questa ispirazione politica resa attualizzata: e tra questi non manca una minoranza intensa di ebrei, sicuramente presenti fuori dallo Stato di Israele e forse anche cittadini israeliani. E questo anti-sionismo oggi, nella maggioranza di chi si qualifica anti-sionista, non nega l'esistenza di Israele come Stato (inimmaginabile ormai una sua scomparsa a 70 anni dalla sua nascita formale), ma rigetta la politica complessiva dei vari governi che si sono avvicendati in Israele e, in maniera dichiarata o nascosta, hanno fatto di tutto per evitare non solo la nascita di 'due stati due popoli', vagheggiando la Grande Israele, ma hanno operato con ostinazione per ridurre al minimo il numero della popolazione palestinese fino a rendere impossibile la sua permanenza nelle sue terre. 

Anti-semitismo - Altra cosa è l'anti-semitismo. Un fenomeno storico che ha originato, nel suo inimmaginabile picco di intensità, l'orrore della Shoà dell'altro secolo e che continua, non solo sotto-traccia, a intossicare il mondo. Quello arabo, certo. Ma anche quello di quell'Europa che ha partorito il nazifascismo, responsabile dello sterminio di 6 milioni di ebrei. Anti-semitismo qui significa attacco all'ebreo in quanto ebreo: geneticamente diverso e da considerare 'il' male della società. Hitler è morto, ma le pulsioni naziste percorrono tuttora il pianeta e le onde nere, se non vengono controllate e contenute, rischiano in ogni momento di ri-diventare cavalloni che producono nuovi tsunami.

Lo slittamento - Fatta chiarezza, almeno secondo il mio punto di vista, sulla distinzione tra i due fenomeni sopra ricordati, va ammesso che lo slittamento da anti-israelismo ad anti-semitismo è facile e sempre dietro l’angolo, benché non di per sé automatico. Potremmo dire che la relazione tra i due fenomeni si esprime in questo modo: non tutti gli anti-sionisti sono anti-semiti, ma tutti gli anti-semiti sono anti-sionisti. Negli anni dalla nascita di Israele come Stato, il terreno di cultura che ha prodotto questo slittamento ha dato i suoi frutti perversi. Non sarò certo io a negare e giustificare gli orrori (e gli errori) di chi ha combattuto Israele, ma l'oggettiva asimmetria in campo tra la potenza (pure nucleare) di Israele e l'impotenza strutturale dei palestinesi privi di uno Stato non poteva che assimilare i due contendenti, man mano che il primo si dotava di uno degli eserciti più potenti del mondo e colonizzava e il secondo difendeva, anche con il terrorismo, l'occupazione dei suoi territori, alla lotta della coppia Davide-Golia, promuovendo, anche in giro per il mondo, una crescente simpatia per il primo. Peraltro, negli ultimi anni di politica di Netanyahu, da tempo alleato della destra più estrema anche sul piano del fondamentalismo religioso, la scelta colonizzatrice israeliana si è accentuata, fino ad arrivare oggi alla risposta alla strage di 1.200 israeliani del 7 ottobre da parte di Hamas: è difficile non chiamare crimini di guerra, o atti di terrorismo, l'uccisione israeliana, cui stiamo assistendo, di oltre 16mila civili a Gaza, di cui almeno la metà bambini. E' questo che, con un salto ingiustificato quanto si vuole, ma spiegabile dal punto di vista umano, specie per chi sta subendo questa carneficina sui propri corpi e sui corpi dei propri piccoli, e si vede abbandonato dal mondo occidentale, che tutt'al più alza il sopracciglio contro Netanyahu senza muovere un dito, produce anti-semitismo: in quantità esponenziale nel mondo arabo (se anche Hamas sarà sconfitto ne sorgeranno altri 10 nel prossimo futuro e l'odio sarà assicurato per generazioni di figli e nipoti), ma pure in ogni angolo del pianeta. 

In conclusione - Dunque potremmo concludere che, se c'è una speranza di riuscire a contenere l'osceno anti-semitismo che il mondo da sempre produce, e che oggi rischia un revival, questa speranza sta nello spingere Israele e noi occidentali che con Israele condividiamo l'ossessione dell'accoppiata automatica 'anti-israelismo-anti-semitismo' a spezzare l'equazione Israele-Bene e Palestinesi-Male. Non c'è nessuna Civiltà Buona che combatte contro la Barbarie Cattiva. La precondizione per avviare un percorso di pace (sempre che la pace non sia solo una parola vuota ripetuta per poter meglio proseguire lo sterminio) è riconoscere gli orrori criminali fin qui perpetrati: da entrambe le parti. Ogni contendente ha i suoi: nessuno è innocente e non serve pesare le quantità di atrocità degli uni e degli altri. Se manca questa ammissione, nessuno uscirà dall'abisso. E, naturalmente, il problema non è soltanto 'loro', che stanno ‘là in Medioriente’, ma pure nostro. Perché, come si vede anche dalla guerra Russia-Ucraina, le interdipendenze del pianeta ormai impediscono a chiunque di ritenersi fuori e di pensarsi lontano. Senza contare che gli effetti delle nostre azioni (anche complici, o di semplice osservazione esterna), impattano sul presente, ma, soprattutto, sul futuro che sarà: e che riguarderà i nostri figli e nipoti.
Non so se ci salverà la bellezza, come ha scritto qualcuno. Certamente non ci salverà la disonestà intellettuale. Per uscire dal precipizio in cui siamo finiti, anche qui un po' di etica - un vocabolario che non inganni e il tentativo almeno di essere ‘corretti’ e 'coerenti' nel 'pensare-dire-agire' - è la precondizione per far nascere la consapevolezza necessaria per avviare un nuovo percorso: che già da ora, subito, cominci a seminare un pizzico di possibile convivenza sopra le macerie della 'macelleria umana' fin qui vergognosamente perseguìta. 

(*)  Shimon Peres, No Room for Small Dreams: Courage, Imagination, and the Making of Modern Israel, 2011. Il libro, presente anche all'università di Haifa, in ebraico e in inglese, contiene discorsi di Shimon Peres, tra cui quello sopra riportato in estratto (fonte segnalata da Bard-Google, 23 novembre 2023).

*** Massimo Ferrario, L’Anti-semitismo e l’etica delle parole, per Mixtura


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