Stefano FELTRI, "La politica non serve a niente.
Perché non sarà il Palazzo a salvarci", Rizzoli, 2015
pagine 201, € 17,00 - ebook, 9,99
Può essere utile riportare subito l'assunto del libro, ben sintetizzato da Stefano Feltri in queste righe:
«(...) la politica si sta rivelando inutile perché non riesce più a rispondere ai bisogni fondamentali delle persone che, in estrema sintesi, possiamo riassumere nell’avere un lavoro e uno stile di vita dignitoso. (...) questa politica non riesce più a incidere, a far ripartire la crescita economica e a mettere in condizione i cittadini di affrontare i cambiamenti profondi portati dalla tecnologia senza esserne travolti. Dobbiamo quindi rassegnarci ad andare incontro al nostro destino?»
Ciò che ruota dentro e attorno alla tesi sopra riportata, in circa duecento pagine del libro, è un'analisi precisa, documentata, piacevole anche per lo stile scorrevole con cui è condotta: che calamita l'attenzione come si stesse leggendo un 'thriller', per la quantità di informazioni, registrate con puntualità e occhio accattivante, su dove sta andando il mondo, e per la riflessione ampia e su più fronti, che cerca di essere equilibrata e 'oggettiva', sui problemi che il nuovo secolo ci ha buttato addosso.
L'esame, proprio perché onesto, non nasconde il messaggio dell'autore che in alcuni punti sembra trasparire in filigrana, ma in altri emerge con nettezza e drasticità: un messaggio che 'punge', ed è forse anche notevolmente 'disturbante', per chi ha ancora testa e pancia nel Novecento e fatica a riorientarsi nella baraonda della nuova epoca.
L'invito, in forma qui da me condensata, appare drastico: se la politica è morta, ognuno si impegni per conto suo, responsabilizzandosi per la vita che vuole vivere; la tecnologia, già oggi e ancor più domani, è l'unico strumento chiave con cui ognuno può ottenere ciò che dalla politica, ormai impotente e incapace di fare scelte vere e di grande respiro per il bene di tutti, non può più attendersi.
In sostanza, è la vittoria della responsabilizzazione dell'individuo in quanto tale ed è la fine dello sforzo, individuale ma solidale, di provare a tracciare e realizzare dei destini collettivi.
Una posizione non nuova, quella del richiamo 'al fai-da-te', individualistico e frammentato. Ma qui la proposta, anche se avanzata con convinzione, non mi pare 'venduta' come sicura panacea, né mi pare veicolata in versione beotamente ottimistica: manca l'inno a quell'orgoglio neoliberista che molti continuano a credere possa salvare il mondo. E del resto mancano i tamburi che esaltino questa visione anche perché la conclusione cui l'autore giunge vuole essere la logica conseguenza di una raccolta di dati e fatti, valutati come inesorabili e commentati con (tentata) freddezza e (riuscita) problematicità. Sono i numerosi esempi concreti presi dal mercato, o i pensieri citati di molti studiosi interessati a capire la complessità e i trend del presente (economisti, politologi, sociologi), che pongono la questione e supportano l'ipotesi di questa soluzione.
Naturalmente, chi come me ha qualche 'nostalgia', non solo dovuta all'età, per una visione, pur riveduta e aggiornata ma comunque sempre 'politica' del mondo e della società, oltre a provare nella lettura qualche irritazione, qua e là, per qualche eccesso di sicurezza, mantiene in campo dubbi e perplessità. Del resto, se siamo 'ancora' in un 'thriller' in divenire, il finale ovviamente non possiamo conoscerlo: anche perché dipenderà molto da come noi attori ci muoveremo.
Comunque l'utilità di questo saggio 'intelligente' di Feltri mi sembra evidente: costringe anche chi non è nuovo alla (auto)interrogazione su questi temi, a 'ri-pensarli' una volta di più, confrontandosi con un punto di vista che non si può facilmente gettar via con una scrollata di spalle: perché, nonostante una soggettività ineliminabile (la realtà, anche quando si fotografa, si interpreta), 'dentro' questa soggettività ci senti, specie nell'analisi, un nocciolo di verità ineliminabile.
Una verità con la minuscola, com'è ovvio: ma una verità.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Conteranno sempre di più soltanto le competenze. Poi spetta a ciascuno di noi scegliere se costruire le proprie contando soltanto sulla capacità di visione della politica, di qualche ministro che immagina riforme lente e marginali, che poi si scontreranno con le resistenze dei sindacati, con quelle dei professori che non vogliono essere valutati e degli studenti che tendono a essere più conservatori dei docenti. Oppure provare a diventare competitivo adattando in tempo reale le proprie conoscenze e competenze, creandosi un network internazionale che magari è soltanto virtuale (e cosa non lo è oggi?) interagendo con i migliori professori del mondo, in inglese o magari in cinese. In alternativa può laurearsi in scienze della comunicazione in un’università di provincia e sperare che la vita gli permetta di sviluppare fuori da un percorso accademico privo di sbocchi le caratteristiche che gli servono per trovare lavoro.
Quello che conta è che ora si può scegliere, che i percorsi individuali non dipendono più soltanto da scelte collettive. Che possiamo costruire quel «capitale umano» da soli senza aspettare i tempi di una politica che continua a ritenere adeguato offrire la stessa istruzione superiore del dopoguerra. La responsabilità dei nostri destini, adesso, è in capo a noi. Non a loro. (Stefano Feltri, La politica non serve a niente. Perché non sarà il Palazzo a salvarci, Rizzoli, 2015).
I motori della crescita straordinaria del Novecento sono finiti, l’integrazione dei commerci c’è stata, il muro di Berlino è caduto, le classi medie si sono comprate la lavatrice e milioni di persone che aspirano a diventare a loro volta classe media – in Cina e India – stanno iniziando a mangiare carne. Come si può immaginare che questa crescita prosegua senza far collassare il pianeta e senza politiche pubbliche di sostegno all’economia che oggi non sembrano attuabili? Grazie alla tecnologia, rispondono altri economisti, perché siamo all’inizio di un mutamento epocale, che cambierà le nostre società quasi quanto la scoperta del fuoco, quella dell’elettricità o degli antibiotici.
In un caso come nell’altro, a prescindere da chi abbia ragione, il ruolo della politica sembra marginale. Certo, i partiti resteranno i protagonisti indiscussi dell’attività parlamentare, perché per essere eletti bisogna essere candidati da una qualche formazione che, in fin dei conti, è sempre un partito. Ma le decisioni dei parlamenti sono lente, poco efficaci, lontane e parallele rispetto alle forze che stanno definendo il mondo in cui viviamo. (Stefano Feltri, La politica non serve a niente. Perché non sarà il Palazzo a salvarci, Rizzoli, 2015).
Fino a qualche anno fa i genitori che si preoccupavano per i destini dei loro figli regalavano loro una casa, niente è meglio del mattone. Secondo alcune ricerche, una casa è un investimento che rende in media tra il 3 e il 4,2 per cento, affittandola o risparmiando i soldi di un affitto. Una laurea in una facoltà utile, tipo ingegneria, può rendere tra il 30 e il 69 per cento. Per anni le famiglie italiane hanno potuto permettersi di fare l’investimento sbagliato, quello nel mattone. Ora i genitori che regalano ai figli un appartamento invece che un’istruzione devono sapere che stanno contribuendo a rendere la loro vita difficile. (Stefano Feltri, La politica non serve a niente. Perché non sarà il Palazzo a salvarci, Rizzoli, 2015).
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