C’è un report dell’aprile 2019 dell’Ocse, con un paio di dati rilevanti per l’Italia. Si scopre che non siamo particolarmente esposti al rischio di robotizzazione del lavoro: soltanto il 15,2 per cento dei posti di lavoro è a rischio a causa dei robot, contro una media Ocse del 14. A essere spazzate via saranno soprattutto le mansioni routinarie, quelle che richiedono poca creatività o poca interazione umana: addio operai non specializzati in fabbrica, cassieri al supermercato, bancari. Il paese meno esposto al pericolo robot è la Norvegia (5,7 per cento dei posti a rischio), quello più preoccupato nella classifica dell’Ocse dovrebbe essere la Slovacchia (33,6 per cento dei posti a rischio).
Saranno però moltissimi i lavori che nei prossimi anni cambieranno, stravolti dalla tecnologia: in Italia ben il 35,5 per cento. Ognuno di noi ha già osservato questa evoluzione nella sua esperienza personale. Nel mio settore, il giornalismo, quasi nessuno di quelli che lavorano da più di quindici anni troverebbe oggi un posto di lavoro stabile e ben remunerato se non ha investito per adeguare le sue competenze alle esigenze del mercato e sa soltanto scrivere, o girare un servizio, o impaginare un testo. Oggi bisogna saper fare tutto questo insieme, possibilmente dallo smartphone, meglio ancora se anche in inglese, senza neppure aver bisogno di mettere piede in ufficio.
Vista la portata della transizione, bisogna farsi trovare pronti, sia sviluppando competenze, sia garantendo tutele a chi finisce vittima del cambiamento, o perché perde il lavoro o perché vede ridursi le ore lavorate e dunque il salario (come è appunto successo in Italia con l’esplosione dei part time involontari tra 2008 e 2018). Nei paesi Ocse soltanto il 40 per cento dei lavoratori adulti partecipa a programmi di formazione continua e di solito sono quelli più qualificati. In Italia quel dato, già basso, si dimezza: soltanto il 20 per cento degli adulti si sta formando. Colpa anche della dimensione delle imprese. Quelle italiane sono quasi sempre troppo piccole per investire su un percorso di evoluzione interna dei propri lavoratori: tra quelle che hanno più di dieci dipendenti, soltanto il 60 per cento riesce a offrire formazione continua, contro il 75 per cento della media europea dei paesi Ocse.
***Stefano FELTRI, 1984, giornalista e saggista, giornalista, saggista, Sette scomode verità sull'economia italiana, Utet, 2019
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