mercoledì 28 settembre 2022

#FAVOLE & RACCONTI / Cadere non è perdere (Massimo Ferrario)

Era il bullo del quartiere. Giovane, arrogante, sempre pronto a competere e a umiliare gli altri. Si vantava di essere uno che non perdeva mai. E al bar, anche in quel momento, scolando un wiskey, si gloriava dei suoi successi. Naturalmente inventati.

«E’ semplice», ripeteva con la faccia da sfrontato. «Il segreto è essere sempre in tiro. Pronti a colpire. Accettare ogni sfida. Mai abbassare la guardia. Se c’è da fare a cazzotti, sono qua.» 

Un avventore, nuovo del locale, all’altro lato del bancone, scuoteva in maniera visibile la testa.
Il giovane lo vede. Sente il bisogno di aizzarlo.
«C’è qualcosa che non ti persuade, amico? Perché se è così, ti convinco in un attimo…».
L’avventore lo guarda in un silenzio lungo e ostentato. E’ tranquillo.

Il giovane riprende.
«Tu forse ami perdere. Io no. Sono un vincente. Mi sono costruito così fin dalla nascita. Non sono mai caduto, io. Io non cado mai. Dicono che quando cadi poi ti puoi anche rialzare. E magari pure vincere. Sono sciocchezze. Messe in giro da chi è debole. Ma i deboli non fanno per me. L’unico modo per non perdere è non cadere. Sia psicologicamente che fisicamente. Se stai cadendo hai già perso. Giusto, forestiero?»

L’avventore si lascia tentare da un commento. 
«Vuoi proprio sapere come la penso, amico? Puoi cadere. Capita. A tutti. Ma se cadi, non hai ancora perso.»
«Ma cosa stai dicendo?»
«C’è un errore nel tuo ragionamento.»
«Un errore? E quando mai? La gente in genere sta zitta e mi ascolta. E ha solo da imparare da me. Mi pare che invece tu te la tiri un po’ troppo. Che ne sai di quello che dici?»
«Sei stato tu a chiedere e ti stavo rispondendo. Pensavo di essere cortese. Ma se vuoi, non c’è problema: me ne stavo già andando…»

Il giovane, con la mano, lo invita sbrigativamente a proseguire. 
Il forestiero riprende. 
«In un combattimento a due, ad esempio, mentre stai cadendo, se sei abile e riesci a non cedere alla spinta contraria dell’altro, controbilanciandola con la tua, puoi ancora mettere in atto una mossa ben diretta che destabilizzi l’altro e magari con questa puoi addirittura conquistare la vittoria. Dipende. Dalla forza che in quel momento sei capace di esprimere; ma soprattutto dalla intelligenza. E dal livello di bravura, frutto di addestramento e di esperienza. In quel caso proprio la possibile incipiente caduta diventa un momento cruciale che si trasforma in opportunità. Certo, non sono cose facili e non sempre ti riescono: c’entra anche la buona sorte».

«Chiacchiere, forestiero. Tutta teoria. Che mestiere fai nella vita?»

Il forestiero paga la consumazione e si avvia alla porta. Prima di uscire, fa un cenno di saluto al giovane.
«Sono cintura rossa di karate, amico. Alleno campioni. Non bulli». 

*** Massimo Ferrario, Cadere non è perdere, rielaborazione in forma di breve racconto di uno spunto contenuto in Alejandro Jodorowsky, Cabaret mistico, 2006, Feltrinelli, 2008


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martedì 27 settembre 2022

#PIN / Il 'nuovo' vocabolario (MasFerrario)


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#FAVOLE & RACCONTI / La rosa e il rospo (Massimo Ferrario)

Era l’attrazione del giardino: una rosa rossa come quella non si era mia vista. Di una bellezza strepitosa. E tutti, passandovi accanto, non potevano che fermarsi ad ammirarla. 

Lei, ad ogni complimento, gioiva e sembrava diventare ancora più bella. 

Ma c’era una cosa che non capiva. Le persone la osservavano sempre da lontano: pareva ci fosse qualcosa che impediva loro di avvicinarsi. E lei, la rosa, di questo soffriva: certo, se l’avessero toccata, i suoi petali sarebbero presto sfioriti e per questo era bene che gli ammiratori si limitassero a guardare. Ma, insomma, avrebbe voluto che i loro sguardi fossero meno distanti, anche per consentire a lei di ascoltare meglio i loro commenti di meraviglia che la inorgoglivano.

La ragione fu scoperta quando un bambino che stava per avvicinarsi troppo venne fermato dalla mamma. “Attento, Leo: c’è un rospo nel roseto. Stai lontano”.

La rosa chinò il capo e vide l’animale. Si infuriò: 

- Sei disgustoso, brutto rospo. Come ti permetti di deturpare l’immagine della mia bellezza standomi così vicino? Vattene subito: impedisci alla gente di apprezzare la mia superba fioritura e di aspirare il mio profumo unico al mondo.

Il rospo era buono e pacifico: non aveva nessuna intenzione di creare disturbo alla rosa e quatto quatto se ne andò presso un gruppo di piante a qualche metro di distanza.

Il giorno seguente la rosa cominciò a sfiorire. La gente passava e non si fermava: neppure la vedeva. 

Una lucertola che ogni tanto perlustrava il roseto in cerca di cibo vide che la rosa era tutta ripiegata su stessa: alcuni petali erano caduti a terra e gli altri non erano più rossi e lucenti come prima. Si guardò in giro e notò che l’amico rospo, che incontrava sempre, se n’era andato. Chiese cosa fosse accaduto.

- Le formiche, cara lucertola. Mi stanno mangiando le formiche.

La lucertola capì. 

- Vedo che non c’è più il rospo.  

E aggiunse quello che anche la rosa avrebbe dovuto sapere. 

- Era lui che mangiava le formiche e proteggeva la tua bellezza. 

*** Massimo Ferrario, La rosa e il rospo, per 'Mixtura', libera riscrittura di un testo di autore anonimo, diffuso in rete e presente in vari siti. 


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domenica 25 settembre 2022

#FAVOLE & RACCONTI / Il setaccio e la lettura (Massimo Ferrario)

Erano in giardino: una dolce giornata autunnale. Il nonno leggeva, il nipote lo guardava con ammirazione. 

- Ti invidio, nonno. 
- Mi invidi? E perché? 
- Perché, con tutti i libri che hai letto, continui ancora a leggere. 
- E perché non dovrei farlo? 
- Perché io, che di libri ne ho letti infinitamente meno di te, li ho dimenticati tutti. Almeno per me è impossibile ricordarne il contenuto. Tu come fai?

Il nonno si guardò in giro. Vide un setaccio, sporco e arrugginito, abbandonato sotto un albero. Lo indicò al nipote.
- Mi prendi un po' d'acqua alla pompa? 
- Con quel setaccio, nonno?  Vado a prenderti un bicchiere.
- No, figliolo, se mi vuoi fare un piacere, usa quel setaccio. Vai alla pompa, lo riempi d'acqua e poi torni da me. 
- Nonno, ma hai visto lo stato di quel setaccio? E' ancora più bucato di quando era nuovo: non è in grado di trattenere neppure una goccia d'acqua.
- E allora, lascia stare. Ne farò a meno.

Il giovane era sbalordito: era la prima volta che il nonno sembrava non ragionare. Eppure, per l'affetto forte e sincero che provava per lui, si alzò, prese il setaccio e andò alla pompa. Lavò e rilavò il setaccio, che divenne pulito come da anni non era mai stato. Poi, quando tentò di riempirlo d'acqua, ovviamente ebbe la conferma che l'acqua se ne andava: magari non subito, perché il setaccio aveva buchi molto piccoli, ma appena lui provava a muovere qualche passo per portare dal nonno quel po' d'acqua che era riuscito a fargli restare dentro, ecco che il setaccio si svuotava completamente. 
Il giovane tornò dal nonno, che aveva ripreso a leggere.
- Ecco il setaccio, nonno. Ho fatto quello che mi hai chiesto. Ma di acqua, come vedi, non ce n'è: il setaccio è asciutto.

Il nonno alzò gli occhi dal libro.
- Già: il setaccio ha trattenuto solo qualche goccia d'acqua. Ma manca poco che brilli tutto: evidentemente l'hai passato e ripassato ben bene sotto la pompa. L'acqua lo ha lavato: certo, la ruggine è rimasta, ma tutto lo sporco dovuto alle incrostazioni di anni se n'è andato.
- Ma tu volevi bere, nonno.
- No, per la verità volevo solo rispondere alla tua obiezione, implicita nella domanda che mi hai rivolto, sull'utilità del leggere. Tu come fai, mi hai chiesto, a ricordare tutto? Ovviamente, nessuno ricorda tutto. Magari io sono un po' più allenato: a furia di leggere, anche la memoria si rinforza. Ma nella sostanza in me avviene quello che avviene in tutti. Quando leggiamo un libro è come se fossimo questo setaccio e i libri sono come l'acqua. Mentre li leggiamo, loro scorrono in noi e ci 'puliscono': alimentano e rinfrescano la nostra anima. La rendono lucente. E anche più salda e più forte. Non importa se del loro contenuto alla fine resta solo qualche piccola cosa: come le goccioline rimaste attaccate al setaccio. Ciò che conta è il processo che l'acqua ha favorito: mentre ci regalava idee, storie, conoscenze, emozioni, sentimenti. Naturalmente non c'è solo la lettura che ci dona tutto questo. Ma la lettura è un fattore fondamentale: oltre a donarci un godimento immediato, ci lascia più lindi 'dentro'. E poi tieni conto che quel setaccio è arrugginito perché non usato da anni e quindi l'acqua non elimina la ruggine. Ma se usiamo il setaccio con assiduità, evitiamo pure la ruggine.

*** Massimo Ferrario, Il setaccio e la lettura, per 'Mixtura', libera riscrittura di un noto racconto di ispirazione zen, di autore anonimo e diffuso in diversi siti internet.


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martedì 20 settembre 2022

#SPILLI / Estinzione (Massimo Ferrario)

Ieri, finalmente, è stato il decimo giorno. E da oggi, finalmente, basta. 
Ma uno Stato che per dieci giorni, ossessivamente, ha celebrato, con sfarzo incomparabile, il funerale di una regina (di qualunque regina: per non parlare di “questa” regina, che ha attraversato, con imperturbabile autocontrollo maiestatico, il colonialismo e l’arroganza volgare di un impero razzista) e un popolo che a milioni ha fatto code di 30 ore per inchinarsi davanti alla sua salma, dimenticando tutti i problemi che attanagliano la sopravvivenza del mondo e le morti quotidiane per guerra e per fame di adulti e bambini anonimi cui non viene solitamente dedicata l’attenzione di un secondo, meritano l’estinzione. 

Ieri, finalmente, è stato il decimo giorno. E da oggi, finalmente, basta. 
Ma un sistema mediatico italiano,  e occidentale, che per dieci giorni, ossessivamente, ha riempito tv e stampa di servizi infiniti e futili, privi di un minimo di pensiero storico critico, sulla morte di una regina  (di qualunque regina: per non parlare di “questa” regina, che ha attraversato, con imperturbabile autocontrollo maiestatico, il colonialismo e l’arroganza volgare di un impero razzista a buon diritto anche appartenente al nostro comune passato di occidentali), dimenticando tutti i problemi che attanagliano la sopravvivenza del mondo e le morti quotidiane per guerra e per fame di adulti e bambini anonimi cui non viene solitamente dedicata l’attenzione di un secondo, merita l’estinzione. 

Merita peraltro l’estinzione, almeno metaforica, anche chi, lette le righe di cui sopra, parlasse di demagogia. O, peggio, di assenza di compassione per un essere umano di fronte alla morte. E questo perché, anche nell’incapacità di capire, c’è un limite.  

Comparare infatti gli avvenimenti del mondo nel loro peso infinitamente differente non ha nulla a che vedere con il rispetto dovuto a chi muore. 
Ma è rispetto anche, almeno nei confronti dei miliardi dei senza-potere che abitano il pianeta, valutare la vita di chi amministra potere, per giunta per meriti di sangue. 
È banale ricordare che la morte, di per sé, non rende nessuno, o nessuna, né santo né eroe e che, spesso, santi e eroi, questi sì veri, sono disseminati, in misura che non immaginiamo o dimentichiamo, tra i vivi sconosciuti che, mediaticamente, non contano nulla e pure fanno andare avanti il mondo in silenzio, con infinito sforzo e senza un grammo di sfarzo.

*** Massimo Ferrario, Estinzione, per Mixtura


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lunedì 19 settembre 2022

#SGUARDI POIETICI / Niente che sia amore ti chiede di privarti di te (Manuela Toto)

Niente che sia amore ti chiede di privarti di te,
del tuo sorriso,
del tuo tempo,
della tua dignità,
delle tue passioni.
L’amore non ha la forma della rinuncia.
Non ha la forma della scarsità né della privazione.

Se perdi te
perdi tutto.

*** Manuela TOTO, consulente famigliare, psicoterapeuta, scrittrice, 'La formica matura', youcanprint, 2022


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sabato 17 settembre 2022

#SGUARDI POIETICI / Mi basta un poco di dolcezza (Franco Arminio)

Ma basta un poco di dolcezza
e a noi viene futuro,
la voce si fa calda e serena,
si sente il bene delle cose, 
il filo che tutte le mantiene.
Amici di letizia
un giorno qui nel mondo forse spariranno i versi e i canti, 
saremo ancora più feroci
e più distanti.
Vi prego, è ora di pregare
per la durata degli abbracci, 
perché la luce non vada via
dagli occhi.
Dobbiamo avere 
le premure delle prime giornate
degli amanti,
il cuore silenzioso
che portiamo ai funerali.
E infine leggere ogni giorno
almeno una poesia,
in fretta andare via dal fumo
dell'economia.

*** Franco ARMINIO, 1960, poeta, saggista, facebook, 16 settembre 2022, qui


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giovedì 15 settembre 2022

#MOSQUITO / Esercitare potere (George Orwell)

«Winston, come fa un uomo a esercitare il potere su un altro uomo?»

Winston rifletté. «Facendolo soffrire» rispose.

«Bravo, facendolo soffrire. Non è sufficiente che ci obbedisca. Se non soffre, come facciamo a essere certi che non obbedisca alla nostra volontà ma alla sua? Potere vuol dire infliggere dolore e umiliazione. Potere vuol dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme nella forma che più ci parrà opportuna. Progresso, nel nostro mondo, significherà progredire verso una forma di sofferenza più grande. Non ci sarà forma alcuna di amore, ad eccezione dell'amore per il Grande Fratello. Non ci sarà forma alcuna di riso, ad eccezione della risata di trionfo sul nemico sconfitto. Non ci sarà forma alcuna di arte, di letteratura e di scienza. Se vuoi un'immagine del futuro, pensa a uno stivale che calpesti un volto umano in eterno»

*** George ORWELL, 1903-1950, giornalista, saggista, scrittore e attivista britannico, da 1984, romanzo, 1948


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mercoledì 14 settembre 2022

#SPILLI / Pensieri sul voto prima del voto (Massimo Ferrario)

Immagino che interessi poco e comunque pochi: se non  quei quattro lettori che mi sono più affezionati. Chiedendo quindi scusa a tutti gli altri, mi rivolgo ai ‘4-amici-4‘ che mi seguono. 

Qualcuno mi ha posto la domanda, esplicita, su 'se' e 'chi/cosa' voterò il 25 settembre. 
Ecco la mia risposta: non brevissima, perché credo necessiti di un'articolazione che la spieghi e la faccia essere, specie in chi un po' mi conosce, meno 'sorprendente' di quanto potrebbe apparire.

Intanto. 

Ci sono due cose di cui sono sempre più convinto. La prima è che a furia di scegliere il meno peggio si produce il peggio. I fatti, se li vogliamo vedere almeno a partire da una certa ottica (la mia e quella di chi politicamente mi 'assomiglia'), dimostrano, per me in modo lampante, questa asserzione. Siamo al peggio: un peggio di cui dovremmo ritenerci responsabili/colpevoli tutti noi. Perché io persevero, forse anche qui fuori mood come mi capita su quasi tutto, nel pensare che ogni Paese, nonostante che fattori plurimi e condizioni varie e di vario peso sempre concorrano a produrre i risultati che si producono, ha la politica (e i politici) che si merita. 

Certo, i compromessi sono cosa 'buona e giusta'. E necessaria: vivere è fare compromessi. In ogni campo. Anche in cabina elettorale. Perché l'ideale, per definizione, non c'è: esiste la realtà, cui in qualche modo bisogna adattarsi. Ma è altrettanto vero che c'è compromesso e compromesso e quando i compromessi sono sempre al ribasso (sempre 'più' al ribasso), si finisce ‘in basso’ al punto tale che ci si avvicina al fondo. A me pare che il presente lo insegni. Se l'ideale è oggettivamente e tecnicamente impossibile da raggiungere, perché esiste solo nel mondo astratto, lo si può però (lo si dovrebbe) 'approssimare': ma se lo si perde, per giunta senza neppure più sapere cos'è un ideale, si trasforma la realtà nell'obiettivo da perseguire, senza neppure accorgersi quando la realtà puzza e si renderebbe indispensabile tentare almeno di costruirne un'altra.

Però. 
E veniamo alla seconda convinzione. 

La frase che ho sopra richiamato ('a furia del meno peggio, si arriva al peggio') è semplicistica. Perché non tutti i peggio sono uguali: c'è meno peggio e meno peggio. E non votare, al di là del fatto che per me, a 76 anni in arrivo a giorni, romperebbe una 'coazione a ripetere' introiettata a 18 anni e finora mai trasgredita, è ancora peggio che votare violentando la mano perché metta comunque una croce. E' infatti anche grazie all'astensionismo (sottolineo: non 'solo', ma 'anche'), per quanto comprensibile e addirittura giustificabile in questi ultimi anni siano il ritiro e il rifiuto degli elettori, che nel peggio del peggio siamo ormai dentro fino al collo: in attesa di un peggio, domani, ancora peggiore. Un fenomeno, questo del non-voto, che grida tutta la patologia di un sistema che continuiamo a chiamare democratico anche se il 'demos', ogni anno che passa, 'se ne va via' in quantità maggiore: disgustato o, ancor peggio, indifferente. Gli dedichiamo due colonne in cronaca ad ogni elezione, rammaricandoci del fenomeno (in passato, qualche 'opinionista' malato di amerikanismo si era addirittura rallegrato: sarebbe un indice di civiltà democratica, a guardare gli Usa. E infatti...) e poi tutto dimenticato: concentriamo l'analisi, e i litigi, di vittorie e sconfitte sulle percentuali dei soli votanti. Fino a che arriveremo a discutere di chi vince e chi perde con percentuali di votanti che saranno meno della metà degli aventi diritto. Una fine terrificante per una democrazia. Ma ci siamo vicini.

Dunque. 

Sì, voterò. Nonostante tutto. Con uno sforzo mai così faticoso e dopo un sospiro che dice tutto lo sconforto di cui sono pieni i polmoni (per non parlare di altri organi del corpo, simbolo di incazzatura). Sono convinto che non votare 'significa' (indicativo presente, nessun dubbio da congiuntivo) credere di poter godere di una non-complicità che non può esistere: perché, volenti o nolenti, votanti o non votanti, siamo comunque responsabili di quanto avviene. Rimanere a casa ci illude: ci fa credere di 'stare fuori'. Ma si è dentro anche tirandosi fuori. E nessuna innocenza è possibile.

Fatto il primo passo, arriva il secondo: ancora più difficile. 
Votare, ok: ma per chi e cosa?

Naturalmente le considerazioni che seguono valgono per me e per tutti quelli (e non sono pochi come sembra) che più o meno la pensano come me. Cioè per chi ancora, testardamente, insiste nel definirsi di sinistra, in un tempo in cui la sinistra  - organizzata, politicamente impegnata, con obiettivi chiari e condivisi su temi sociali ed economici e non solo focalizzati sui diritti civili - non c'è più. Quello che si agita a sinistra e vuole darsi una configurazione politica, dichiarandosi di sinistra, è litigiosamente e perennemente frammentato: ad ogni elezione si presenta con l'ultima sigla, in concorrenza con altre 'sigline' e 'siglette', in genere frutto dell'ultima personalizzazione dell'ultimo personaggino che dice di voler cambiare il mondo ed è convinto di essere il più puro dei puri della sinistra più pura, e poi dura lo spazio dell'elezione. Già il giorno dopo, tutto riscompare. Non solo 'non si cambia il mondo', ma neppure si arriva a fare la cosa preziosa (sempre più preziosa) che consiste in una seria, convinta, concreta 'testimonianza attiva.' Facendo opposizione. E magari sviluppando in parallelo, sul piano teorico (la teoria è il migliore strumento per la pratica), idee adatte al nuovo secolo, che tuttavia non tradiscano l'ispirazione di fondo che rende sinistra la sinistra. Costruendo così per il domani e non pensando solo all'oggi. Senza farsi prendere dal demone del 'governismo', che magari, in nome di uno strumentale e vantaggioso senso di 'responsabilità', ti porta al governo anche quando hai perso. E' così che è stata uccisa qualunque speranza di alternativa, anche minima, al presente, offrendo solo potere in forma di poltrone e affari: la politichetta più sconcia al posto di qualunque anche lontana parvenza di Politica.

E allora? 
La mia scelta, già abbozzata un mese fa, subito dopo la (per me troppo tardiva) presentazione a Draghi della lettera in 9 punti di Conte (sprezzantemente rimandata al mittente dal Migliore dei Migliori) vuole essere una firma su quella 'lettera-agenda sociale' che Conte appunto si è intestato. 
Voterò quindi lui, Conte. Più che i 5Stelle. 
I 5 Stelle li ho sempre anche violentemente criticati. Per impostazione generale (‘né di destra né di sinistra’). Per superficialità e pressapochismo nella linea anti-sistema. Per i contenuti ‘opportunistici’, ‘casuali’ e, al di delle ‘5 stelle’ dichiarate come campo di riferimento strategico (peraltro modificate nel tempo, ma inizialmente: acqua pubblica, ambiente, mobilità sostenibile, sviluppo e connettività), poco raccordati da una visione logica complessiva di futuro (la teorizzazione di un ‘contratto’ da proporre al miglior offerente, non importa se di destra o di sinistra  al posto di un ‘programma’ autonomo la cui realizzazione non può che esigere attori specifici, ispirati da una visione comune). Per gli stili di comportamento populistico-demagogici (‘uno vale uno’, le riunioni in ‘streaming’, i ‘portavoce’, la ‘democrazia diretta’, il ‘vincolo di mandato’). Non ho mai 'digerito' neppure il tanto decantato comico-fondatore. Mi convinceva poco già nel suo ruolo di teatrante, quando mi capitava di assistere ai suoi spettacoli in cui esibiva i suoi ossessivi attacchi 'nel mucchio' al mondo intero, capaci di titillare la rabbia facile e di lasciare sulle bocche un sorriso amaro e impotente: una sorta di qualunquismo distillato con la grande abilità tecnica di un guitto, ma, almeno a palati come il mio, stucchevole e fastidioso.
Non sarò l'unico che da sinistra, non avendo mai votato 5 Stelle ed essendo stato anzi duramente critico con loro, questa volta mette una croce su questo ‘partito’: i 5 Stelle di allora non ci sono più. Chiusa la fase grillina (anche se Grillo, come proprietario del simbolo e garante formale della linea politica, resta una ‘presenza assente’ inquietante), oggi una nuova guida, con un nuovo statuto, dichiara nuovi obiettivi e un nuovo approccio: meno ‘movimentista’, più organizzato, meglio finalizzato, forse anche finalmente più radicato sul territorio. Altri elettori di sinistra stanno facendo il mio stesso ragionamento e si accingono a compiere la mia stessa scelta. E questa è la ragione per cui la crescita nei sondaggi del nuovo partito di Conte, trascinata dall'uscita dal governo e dalla 'virata' sul sociale, in solitaria rispetto a tutti gli altri partiti che si ammucchiano al  centro, poteva non venire prevista solo dalla malafede dei media unificati, felici di confondere, interessatamente, la realtà con il loro 'wishful thinking' anti-5stelle. 

Intendiamoci: ciò non significa che io creda che Conte (verso il quale mi è capitato di esprimere già in altre occasioni ogni mia perplessità per i suoi comportamenti passati, trasformistici e opportunistici, che lo hanno fatto trasmigrare in una notte dal Conte1 al Conte2) sia diventato di sinistra. Penso solo che, dopo una storia di Grillo, dei 5 Stelle e di Conte stesso assai discutibile e per molti aspetti censurabile (molte ombre, ma anche alcune luci che hanno spinto il sistema a cambiare: e anche per questo oggi spira il vento impetuoso e incontrastabile della Grande Restaurazione Reazionaria), forse si stanno creando le premesse per un ri-posizionamento in qualche modo 'progressista'. 
Certo, a mio avviso, questa è una possibilità non scontata e tutta da verificare. Ma è un potenziale attribuibile, oggi, ai 5Stelle guidati da Conte più di quanto non sia per talune 'foglie di fico' (Fratoianni, Civati e altri) che hanno deciso di allearsi/integrarsi con e dentro quell’ex-centrosinistra ormai diventato Pd, convintamente e fermamente stabilitosi al centro, o per micro-cespugli di volonterosi alla De Magistris e compagni, che, in aureo isolamento, neppure raggiungeranno, more solito, il quorum per entrare in parlamento.

Questa mia valutazione di voto è più che opinabile, ovviamente. 
Del resto, non solo in Italia, è sempre più difficile analizzare, capire, orientarsi, scegliere: il trasformismo, unito alla volatilità di pensieri, proposte, decisioni, piani/programmi, obiettivi e perfino principi e valori, è la cifra che caratterizza da anni i nostri anni. Ed è questo che fa capire solo 'dopo' gli errori commessi. 
Ciò che ancora si può fare, almeno per chi ha vissuto 'stagioni politicamente appassionate', nel caso di una elezione tanto critica e difficile come quella che ci attende, è tentare di 'contenere' il sentimento, acuto e bruciante, della disillusione, spesso mescolato con quello della rabbia o della resa: risvegliare quel minimo di voglia di impegno, frutto di un'educazione introiettata negli anni, che ha caratterizzato tempi migliori e decidere di andare al seggio con una scelta 'pensata': realistica, ma non interamente disancorata (direi 'svaccata') rispetto agli ideali, testardi, ai quali non si vuole rinunciare.

Mettere una croce in cabina elettorale è il minimo della partecipazione: se manca questa, è finita davvero. 

*** Massimo Ferrario, Pensieri sul voto prima del voto, per 'Mixtura'


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venerdì 9 settembre 2022

#FAVOLE & RACCONTI / Mario il Barbiere e la settimana speciale per i clienti (Massimo Ferrario)

Martedì mattina, ore 9.00. 
Inizia la ‘settimana speciale’ che Mario il Barbiere dedica ogni anno alla clientela. E lui ha appena aperto il locale. 
Entra il primo cliente: "Barba e capelli, per favore".
Mario lo fa accomodare e si mette subito al lavoro. Come consuetudine, scambia qualche chiacchiera. Scopre così che il cliente è un fioraio, che ha il negozio nel quartiere accanto: il suo parrucchiere tradizionale ha chiuso e lui è alla ricerca di chi lo possa sostituire.
Quando ripone forbici e rasoio, il cliente, guardandosi soddisfatto allo specchio, mette mano al portafoglio: "Quant'è?". 
Mario sorride: "Oggi è gratis: è un servizio che offro per questa settimana, una volta all’anno, ai primi clienti della giornata".
Il fioraio si stupisce, apprezza l'iniziativa, ringrazia e se ne va. 

Mercoledì mattina, ore 9.00. 
Mario il Barbiere sta sollevando la serranda del negozio e vede per terra un mazzo di rose: insieme un semplice biglietto con un grazie scritto a tutte maiuscole e la firma del fioraio.
Proprio mentre sta sistemando i fiori in un vaso in bella vista, entra il primo cliente. Ha appena terminato la notte nel panificio che si è stabilito da un mese nella piazza accanto. Anche lui chiede barba e capelli. E anche lui, quando tenta di pagare dopo essersi guardato allo specchio e aver chinato il capo soddisfatto, si sente dire: "Oggi è gratis: è un servizio che offro per questa settimana, una volta all’anno, ai primi clienti della giornata".
Il fornaio si stupisce, apprezza l'iniziativa, ringrazia e se ne va.

Giovedì mattina, ore 9.00. 
Mario il Barbiere, nell'aprire il negozio, nota per terra un pacco: è pieno di ciambelle. Accanto c'è un semplice biglietto con un grazie scritto a tutte maiuscole e la firma del fornaio.
Sta assaggiando una delle gustosissime ciambelle, quando si affaccia il primo cliente della giornata: è un famoso parlamentare, spesso in televisione. Anche lui desidera barba e capelli. E anche lui, quando si guarda allo specchio al termine del servizio e  domanda quanto deve, riceve la solita risposta "Oggi è gratis: è un servizio che offro per questa settimana, una volta all’anno, ai primi clienti della giornata".
Il parlamentare prende atto e se ne va.

Venerdì mattina, ore 9.05. 
E' una delle pochissime volte in cui Mario il Barbiere è in ritardo di qualche minuto sull'orario di apertura e corre tutto trafelato verso il negozio. C'è un gruppetto di persone davanti all’entrata. Si affretta ad alzare la serranda, mentre chiede cosa sta accadendo. Gli rispondono che sono senatori e deputati. Litigano, disputandosi i primi posti: sembra che tutti siano arrivati prima degli altri. E alzano la voce con Mario il Barbiere. Perché, dicono, non è professionale non rispettare l'orario e, in questo caso, fare perdere minuti preziosi a chi passa giorno e notte a lavorare per il bene del Paese. 

*** Massimo Ferrario, Mario il Barbiere e la settimana speciale per i clienti, libera riscrittura di un testo di autore anonimo, che circola in rete.


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giovedì 8 settembre 2022

domenica 4 settembre 2022

#SENZA_TAGLI / Scene di ordinario, quotidiano razzismo (Fabio Chiusi)

Ieri, nel pieno della serenità di una domenica di fine agosto, passeggio con il cane ai margini del centro di Udine. La zona è alberata, c’è un bel vento: si sta d’incanto. Un signore di mezza età siede su una panchina, di fronte alla roggia. Sembra sereno anche lui, come tutto il resto. Quando sono a pochi metri, però, vedo le sue labbra muoversi. Tolgo allora gli auricolari, il podcast che stavo ascoltando si ferma, e sento cosa ha da dire: 

“Ma come mai tutti questi neri in giro? Ti sembra normale?”

Il mio cervello si rifiuta di computare, quindi chiedo di ripetere la domanda — e il placido sconosciuto ripete: “Guarda”, aggiunge poi con un evidente ribrezzo addosso, indicando due ragazzi di colore che camminano tranquilli all’altro lato della strada. 

Per lui, sono un problema. 

Per me, invece, il problema è lui. Gli chiedo: “Ma che cazzo di domanda è?”. Gli dico, prima che possa continuare, che se vuole un paese di soli bianchi può andarsene affanculo nella Germania nazista. 

Lo maledico ancora un po’, ad alta voce, mentre mi allontano. I due ragazzi sono passati oltre, per fortuna, non hanno sentito niente. 

Ora: sono passate 24 ore, e la cosa ancora mi infastidisce. Terribilmente. Perché no, non è un caso isolato. È invece solo l’ultimo e più eclatante episodio di quello che secondo la mia (limitata) esperienza è un continuo sottofondo, qui nel Nord-est: “Non siamo neanche più padroni a casa nostra”, fanno anziane, posate signore che pisciano il barboncino. “Hanno tutti i diritti, e noi nessuno”, aggiungono eleganti signori col giornale sotto braccio. 

Conoscenti e sconosciuti, giovani e anziani: sembrano sempre avere qualche colpa da distribuire ai “neri”, ai “pachistani”. E no, non c'è videocamera di sorveglianza o pattuglia aggiuntiva che tenga: bisogna vivere col terrore, il terrore dell'uomo nero.

Che siano sempre italianissimi giovani e meno giovani ad avermi quasi travolto il cane mentre cercavo di attraversare sulle strisce pedonali almeno una ventina di volte nell’ultimo anno non rileva. Che la merda lasciata in mezzo alla strada sia dei loro cani a sua volta non rileva. Che la mancanza di rispetto sistematica patita sul mondo del lavoro sia causata da italianissimi datori di lavoro anche, non rileva. 

Né rilevano tutti gli altri problemi della società italiana causati da italiani: il consenso, la normalità, è che almeno in prima battuta sia colpa degli “immigrati”. 

Forse ho un campione sfortunato. Forse è la mia tendenza a vedere il brutto più del bello. Forse mille altre cose. 

Ma il razzismo si percepisce a pelle. E la mia pelle, da quando sono rientrato in Italia, se lo sente addosso.

Che clima abbiamo creato, in che cazzo di paese stiamo vivendo? 

E soprattutto: in che cazzo di paese vivremo, dopo il 25 settembre?

*** Fabio CHIUSI, giornalista, saggista, poeta, Scene di ordinario, quotidiano razzismo, 'Facebook', 29 agosto 2022, qui


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venerdì 2 settembre 2022

#SGUARDI POIETICI / Agnostica (Sara Ferraglia)

Non so chi abbia voluto tutto questo
Non so nemmeno se ci sia un senso, 
un inizio e una fine, un lato e un verso
Mi perdo come tanti 
se penso all'universo 
Non posso entrare in chiesa per pregare
Non cerco nella fede pace e appoggio 
che mi aiuti nei giorni a districare
il groviglio di segni e di grafie
che nella mente hanno trovato alloggio
Sospendo il mio giudizio sul divino, 
non mi perdo a cercarne la traccia 
Amo, come posso, chi mi è vicino
e me lo stringo forte fra le braccia 
Difficile è l'amore universale
Non lo conosco ma si può imparare

*** Sara FERRAGLIA, facebook, 29 agosto 2022, qui



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