domenica 4 settembre 2022

#SENZA_TAGLI / Scene di ordinario, quotidiano razzismo (Fabio Chiusi)

Ieri, nel pieno della serenità di una domenica di fine agosto, passeggio con il cane ai margini del centro di Udine. La zona è alberata, c’è un bel vento: si sta d’incanto. Un signore di mezza età siede su una panchina, di fronte alla roggia. Sembra sereno anche lui, come tutto il resto. Quando sono a pochi metri, però, vedo le sue labbra muoversi. Tolgo allora gli auricolari, il podcast che stavo ascoltando si ferma, e sento cosa ha da dire: 

“Ma come mai tutti questi neri in giro? Ti sembra normale?”

Il mio cervello si rifiuta di computare, quindi chiedo di ripetere la domanda — e il placido sconosciuto ripete: “Guarda”, aggiunge poi con un evidente ribrezzo addosso, indicando due ragazzi di colore che camminano tranquilli all’altro lato della strada. 

Per lui, sono un problema. 

Per me, invece, il problema è lui. Gli chiedo: “Ma che cazzo di domanda è?”. Gli dico, prima che possa continuare, che se vuole un paese di soli bianchi può andarsene affanculo nella Germania nazista. 

Lo maledico ancora un po’, ad alta voce, mentre mi allontano. I due ragazzi sono passati oltre, per fortuna, non hanno sentito niente. 

Ora: sono passate 24 ore, e la cosa ancora mi infastidisce. Terribilmente. Perché no, non è un caso isolato. È invece solo l’ultimo e più eclatante episodio di quello che secondo la mia (limitata) esperienza è un continuo sottofondo, qui nel Nord-est: “Non siamo neanche più padroni a casa nostra”, fanno anziane, posate signore che pisciano il barboncino. “Hanno tutti i diritti, e noi nessuno”, aggiungono eleganti signori col giornale sotto braccio. 

Conoscenti e sconosciuti, giovani e anziani: sembrano sempre avere qualche colpa da distribuire ai “neri”, ai “pachistani”. E no, non c'è videocamera di sorveglianza o pattuglia aggiuntiva che tenga: bisogna vivere col terrore, il terrore dell'uomo nero.

Che siano sempre italianissimi giovani e meno giovani ad avermi quasi travolto il cane mentre cercavo di attraversare sulle strisce pedonali almeno una ventina di volte nell’ultimo anno non rileva. Che la merda lasciata in mezzo alla strada sia dei loro cani a sua volta non rileva. Che la mancanza di rispetto sistematica patita sul mondo del lavoro sia causata da italianissimi datori di lavoro anche, non rileva. 

Né rilevano tutti gli altri problemi della società italiana causati da italiani: il consenso, la normalità, è che almeno in prima battuta sia colpa degli “immigrati”. 

Forse ho un campione sfortunato. Forse è la mia tendenza a vedere il brutto più del bello. Forse mille altre cose. 

Ma il razzismo si percepisce a pelle. E la mia pelle, da quando sono rientrato in Italia, se lo sente addosso.

Che clima abbiamo creato, in che cazzo di paese stiamo vivendo? 

E soprattutto: in che cazzo di paese vivremo, dopo il 25 settembre?

*** Fabio CHIUSI, giornalista, saggista, poeta, Scene di ordinario, quotidiano razzismo, 'Facebook', 29 agosto 2022, qui


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