Intanto.
Ci sono due cose di cui sono sempre più convinto. La prima è che a furia di scegliere il meno peggio si produce il peggio. I fatti, se li vogliamo vedere almeno a partire da una certa ottica (la mia e quella di chi politicamente mi 'assomiglia'), dimostrano, per me in modo lampante, questa asserzione. Siamo al peggio: un peggio di cui dovremmo ritenerci responsabili/colpevoli tutti noi. Perché io persevero, forse anche qui fuori mood come mi capita su quasi tutto, nel pensare che ogni Paese, nonostante che fattori plurimi e condizioni varie e di vario peso sempre concorrano a produrre i risultati che si producono, ha la politica (e i politici) che si merita.
Certo, i compromessi sono cosa 'buona e giusta'. E necessaria: vivere è fare compromessi. In ogni campo. Anche in cabina elettorale. Perché l'ideale, per definizione, non c'è: esiste la realtà, cui in qualche modo bisogna adattarsi. Ma è altrettanto vero che c'è compromesso e compromesso e quando i compromessi sono sempre al ribasso (sempre 'più' al ribasso), si finisce ‘in basso’ al punto tale che ci si avvicina al fondo. A me pare che il presente lo insegni. Se l'ideale è oggettivamente e tecnicamente impossibile da raggiungere, perché esiste solo nel mondo astratto, lo si può però (lo si dovrebbe) 'approssimare': ma se lo si perde, per giunta senza neppure più sapere cos'è un ideale, si trasforma la realtà nell'obiettivo da perseguire, senza neppure accorgersi quando la realtà puzza e si renderebbe indispensabile tentare almeno di costruirne un'altra.
La frase che ho sopra richiamato ('a furia del meno peggio, si arriva al peggio') è semplicistica. Perché non tutti i peggio sono uguali: c'è meno peggio e meno peggio. E non votare, al di là del fatto che per me, a 76 anni in arrivo a giorni, romperebbe una 'coazione a ripetere' introiettata a 18 anni e finora mai trasgredita, è ancora peggio che votare violentando la mano perché metta comunque una croce. E' infatti anche grazie all'astensionismo (sottolineo: non 'solo', ma 'anche'), per quanto comprensibile e addirittura giustificabile in questi ultimi anni siano il ritiro e il rifiuto degli elettori, che nel peggio del peggio siamo ormai dentro fino al collo: in attesa di un peggio, domani, ancora peggiore. Un fenomeno, questo del non-voto, che grida tutta la patologia di un sistema che continuiamo a chiamare democratico anche se il 'demos', ogni anno che passa, 'se ne va via' in quantità maggiore: disgustato o, ancor peggio, indifferente. Gli dedichiamo due colonne in cronaca ad ogni elezione, rammaricandoci del fenomeno (in passato, qualche 'opinionista' malato di amerikanismo si era addirittura rallegrato: sarebbe un indice di civiltà democratica, a guardare gli Usa. E infatti...) e poi tutto dimenticato: concentriamo l'analisi, e i litigi, di vittorie e sconfitte sulle percentuali dei soli votanti. Fino a che arriveremo a discutere di chi vince e chi perde con percentuali di votanti che saranno meno della metà degli aventi diritto. Una fine terrificante per una democrazia. Ma ci siamo vicini.
Dunque.
Sì, voterò. Nonostante tutto. Con uno sforzo mai così faticoso e dopo un sospiro che dice tutto lo sconforto di cui sono pieni i polmoni (per non parlare di altri organi del corpo, simbolo di incazzatura). Sono convinto che non votare 'significa' (indicativo presente, nessun dubbio da congiuntivo) credere di poter godere di una non-complicità che non può esistere: perché, volenti o nolenti, votanti o non votanti, siamo comunque responsabili di quanto avviene. Rimanere a casa ci illude: ci fa credere di 'stare fuori'. Ma si è dentro anche tirandosi fuori. E nessuna innocenza è possibile.
Votare, ok: ma per chi e cosa?
Naturalmente le considerazioni che seguono valgono per me e per tutti quelli (e non sono pochi come sembra) che più o meno la pensano come me. Cioè per chi ancora, testardamente, insiste nel definirsi di sinistra, in un tempo in cui la sinistra - organizzata, politicamente impegnata, con obiettivi chiari e condivisi su temi sociali ed economici e non solo focalizzati sui diritti civili - non c'è più. Quello che si agita a sinistra e vuole darsi una configurazione politica, dichiarandosi di sinistra, è litigiosamente e perennemente frammentato: ad ogni elezione si presenta con l'ultima sigla, in concorrenza con altre 'sigline' e 'siglette', in genere frutto dell'ultima personalizzazione dell'ultimo personaggino che dice di voler cambiare il mondo ed è convinto di essere il più puro dei puri della sinistra più pura, e poi dura lo spazio dell'elezione. Già il giorno dopo, tutto riscompare. Non solo 'non si cambia il mondo', ma neppure si arriva a fare la cosa preziosa (sempre più preziosa) che consiste in una seria, convinta, concreta 'testimonianza attiva.' Facendo opposizione. E magari sviluppando in parallelo, sul piano teorico (la teoria è il migliore strumento per la pratica), idee adatte al nuovo secolo, che tuttavia non tradiscano l'ispirazione di fondo che rende sinistra la sinistra. Costruendo così per il domani e non pensando solo all'oggi. Senza farsi prendere dal demone del 'governismo', che magari, in nome di uno strumentale e vantaggioso senso di 'responsabilità', ti porta al governo anche quando hai perso. E' così che è stata uccisa qualunque speranza di alternativa, anche minima, al presente, offrendo solo potere in forma di poltrone e affari: la politichetta più sconcia al posto di qualunque anche lontana parvenza di Politica.
La mia scelta, già abbozzata un mese fa, subito dopo la (per me troppo tardiva) presentazione a Draghi della lettera in 9 punti di Conte (sprezzantemente rimandata al mittente dal Migliore dei Migliori) vuole essere una firma su quella 'lettera-agenda sociale' che Conte appunto si è intestato.
Voterò quindi lui, Conte. Più che i 5Stelle.
Certo, a mio avviso, questa è una possibilità non scontata e tutta da verificare. Ma è un potenziale attribuibile, oggi, ai 5Stelle guidati da Conte più di quanto non sia per talune 'foglie di fico' (Fratoianni, Civati e altri) che hanno deciso di allearsi/integrarsi con e dentro quell’ex-centrosinistra ormai diventato Pd, convintamente e fermamente stabilitosi al centro, o per micro-cespugli di volonterosi alla De Magistris e compagni, che, in aureo isolamento, neppure raggiungeranno, more solito, il quorum per entrare in parlamento.
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