Non mi sono mai 'sentito', né 'visto' come un pacifista.
Fino a ieri, infatti, potevo anche 'capire' le guerre: erano uno strumento (dispendioso e omicida-suicida come nessun altro) per esprimere l'ideologia, oscena, dell'homo homini lupus. Non per affermare diritti, ma per riordinare poteri: con la violenza bruta e la crudele ferocia della sopraffazione del più forte.
Ma da Hiroshima e Nagasaki ho capito, usando la testa e ascoltando la pancia, che la guerra deve diventare un tabù: per inseguire il sogno, generativo, dell'homo homini homo.
Nessuna retorica buonista da anima bella.
Nessuna infatuazione adolescenziale nostalgicamente rinverdita nel periodo della senescenza, peraltro ancora lucida e pienamente consapevole: solo un impietoso ancoraggio, anche contro il pensiero mainstream, grossolano e ignorante, alla dura realtà concreta dell'anno 2025.
Oggi ogni persona dotata di cervello e di buon senso, se è realista e fa un'analisi logico-razionale dei dati di contesto e del tempo che viviamo, non può che (caparbiamente, ostinatamente) sostituire la guerra con la pazienza e la fatica della diplomazia e della negoziazione. Ispirandosi a un win-win per nulla facile e acquiescente, ma caparbio e tenace nei suoi obiettivi di massima e reciproca condivisione di un terreno possibile comune.
Siamo nel post-nucleare: chi, indossando l'elmetto con il piglio di un futurismo rinascente, ha l'orgasmo per la bruta virilità dei 'bei guerrieri' di una volta e sogna la continua erezione di missili contro un nemico (spesso esistente solo perché scientificamente costruito attraverso la propaganda di paure inventate) è un pericolo oggettivo per l'umanità: perché fornisce una formidabile occasione potenziale, ai Grandi Autocrati di dittature e (sedicenti) democrazie, per innescare un processo che ha come finale la caduta nell'Abisso.
Da sempre i pragmatici stigmatizzano come ideologici tutti quelli che non stanno alla realtà: perché temono i loro sogni di miglioramento, o anche di cambiamento, specie quando sono radicali, anche conflittuali, ma non armati.
Oggi i cosiddetti pacifisti sono gli unici pragmatici: perché cercano di isolare e neutralizzare quegli ideologhi, tronfi di sragionamenti ciechi e insensati, che promuovono incubi e preparano l'irreparabile.
Avremmo bisogno di intellettuali.
Veri. Disorganici al Potere istituzionale. Animati da un pensiero libero che sappia realmente mettere in crisi le certezze propagandate: che sveli, contro il Potere, gli inganni e le manipolazioni del Potere.
Avremmo bisogno di intellettuali, lontani dai talk show televisivi e dalle piazze strumentalizzate dai media di sistema, alieni rispetto al culturame che ripete slogan buoni per nutrire il fallicismo che piace al maschile tossico, vecchio di sempre e mai sufficientemente risolto. E che affascina e seduce, più o meno consapevolmente, anche troppe donne, più o meno di Potere e al Potere.
Abbiamo invece ‘intellettuali’ che, forse anche senza rendersene conto (ma quando così fosse, ciò segnalerebbe la morte definitiva dell’intellettuale in quanto tale per l’incapacità di ‘intelligere’ comportamenti e conseguenze), stanno agevolando la diffusione del virus del suprematismo occidentale, in una logica noi contro loro che è già guerra senza esserlo.
A questo punto, anche a un ateo, pensando a questi 'intellettuali', viene in mente un’invocazione: che sappiano o no quello che fanno, auguriamoci che un dio non li perdoni.
*** Massimo Ferrario, I Pacifisti, gli Ideologhi e gli Intellettuali, 'Mixtura', 18 marzo 2025
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