Potrei dedicare molte righe alle repliche arrivate ai miei due post precedenti, (‘Il conto salato degli studi umanistici‘ e ‘Studiate quello che vi pare, ma poi sono fatti vostri‘) a come i paladini del principio “bisogna studiare quello che ci piace e non quello che è utile a trovare lavoro”, commettano grossolani errori nel leggere i dati, sfuggano al problema principale che ho posto (chi ci paga uno stipendio dopo che abbiamo studiato quello che ci piace?) e si rifugino in citazioni autorevoli, perché ovviamente preferiscono il principio di autorità rispetto ad argomenti sostenuti da numeri. E ritengono un grande scandalo, per misteriose ragioni, il fatto che io abbia studiato alla Bocconi.
Ma preferisco aggiungere elementi al dibattito... (...)
Mi sembra che le conclusioni siano evidenti: possiamo crogiolarci nella nostra retorica (anche renziana) di essere il Paese del Rinascimento, la culla della civiltà e di Dante. Ma nella competizione internazionale siamo messi molto male. Molto. E’ chiaro che studiamo le cose sbagliate e, per aggravare la situazione, le studiamo anche male. Prevengo l’obiezione, fondata: se anche studiassimo benissimo le cose che negli altri Paesi ritengono prioritarie, tipo scienze informatiche, probabilmente le imprese italiane non saprebbero che farsene. Vero. Ma da qualche parte bisogna pur provare a rompere il circolo vizioso. Ed è più facile che, se ci sono tanti ingegneri informatici, questi – magari da dentro le imprese – migliorino il mercato del lavoro. Ma formare migliaia e migliaia di scienziati della comunicazione di sicuro non aiuta. (...)
*** Stefano FELTRI, giornalista, Università, gli studi belli ma inutili e l’ascensore sociale bloccato, 'ilfattoquotidiano.it', 17 agosto 2015
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Sempre in Mixtura, 1 altro contributo di Stefano Feltri qui
Caro Massimo,
RispondiEliminagli articoli di Feltri sono stimolanti e provocanti, e quindi importanti. Ma mi pare che semplifichi troppo, con tutti i pericoli delle eccessive semplificazioni. Forse il mio commento è eccessivamente lungo, ma il tema mi pare richieda una risposta articolata perché “complesso” (parola a volte abusata ma in questo caso ci sta) e come sottolinea Senge che hai citato poco sopra, in un problema complesso il nocciolo è tenere insieme le cose, guardare l’insieme, cosa che Feltri perde di vista, proponendo una sterile, quanto datata, diatriba tra studi umanistici e scientifici, studi utili e inutili.
Innanzitutto mi pare fondamentale riprendere quanto scritto in un altro post qui pubblicato scritto da Fumaroli “Il latino contro il digitale” “ http://masferrario.blogspot.it/2015/04/ritagli-il-latino-contro-il-digitale.html dove emerge la necessaria complementarietà di tutti i tipi di studi e l’utilità delle cose inutili.
Già in quel testo ci sono tutte le risposte a Feltri, ma di esempi ce ne sono tanti, forse quello più estremo è il caso si Steve Jobs che nel famoso discorso a Stanford racconta che il corso più importante che ha seguito all’università è stato il corso di calligrafia: tutto quello che ha imparato in quel corso, bello e inutile, lo ha utilizzato 10 ani dopo per la grafica del primo MAC. Ma lo ha capito 10 anni dopo che era utile.
Il tema fondamentale dell’educazione dei giorni nostri è quello dell’integrazione dei saperi, non di una scelta fra quelli utili e inutili. La scienza e la tecnica hanno sempre più bisogno di punti di vista diversi e le scoperte scientifiche integrano in modo nuovo i saperi filosofici, storici, letterari.
Proprio poche settimana fa è uscita un articolo in cui il Dipartimento di Oncologia dell’Università Statale di Milano, una nuova materia di insegnamento, sottostimata per anni nelle scuole di medicina: l’umanità. Le facoltà di medicina per anni si sono occupate più delle nozioni che gli studenti non hanno che dell’uso che di queste nozioni si fanno.«Oggi è facile togliere un nodulo al seno, ma è difficile toglierlo dalla mente», ripete Veronesi. La nuova oncologia della Statale si occuperà anche di questo: http://buonenotizie.corriere.it/2015/07/06/medici-di-domani-a-scuola-dumanita/ .
In sempre più campi è necessaria una ricerca trans-displiciplinare: per esempio in medicina, i biologi hanno sempre più bisogno di lavorare a stretto contatto come i fisici, i fisici hanno bisogno dei matematici ecc. Le discipline, così come le conosciamo e le studiamo sono nate principalmente nell’800 con la suddivisione dell’università nei vari dipartimenti. Ora un economista che non conosca i fondamenti delle scienze sociali, l’antropologia, e il funzionamento dei sistemi complessi, pensando che l’uomo sia un essere razionali che massimizza il proprio benessere ci condurrebbe all’autodistruzione.
Le scienze che studiano i fenomeni complessi ci danno un grande aiuto, ma vanno ben oltre la semplificazione fatta da Feltri che oltre che sbagliata mi pare anche pericolosa. Pericolosa perché rischia di accentuare uno dei problemi maggiori dell’odierna istruzione che è l’eccessivo specialismo e la contrapposizione dei saperi. Quello che non mi convince in Feltri è che, in modo implicito, sembra abbraccia la teoria del super pollo http://masferrario.blogspot.it/2015/08/video-superpolli-in-impresa-e-fuori-no.html . Ecco cosa dice a proposito Margaret Heffernan: “La gestione competitiva dei talenti ha sistematicamente messo gli impiegati l'uno contro l’altro. È ora di sostituire la rivalità tra individui con il capitale sociale. Per decenni, abbiamo cercato di motivare le persone con il denaro nonostante gran parte delle ricerche fatte dimostrasse che il denaro mina le relazioni sociali. Ora come ora, è necessaria la motivazione reciproca degli individui”.
E cosa fa Feltri per invitare gli studenti a scegliere meglio la facoltà universitaria? Usa la leva economica. Non ci siamo!