lunedì 27 luglio 2020

#FAVOLE & RACCONTI / Il saggio Yoshida, l'anello d'oro e il ragazzo insicuro (Massimo Ferrario)

Aveva la fama di burbero, poco incline ad ascoltare chi gli andava a raccontare i suoi problemi: spesso sembrava infastidito, aveva comportamenti sbrigativi, non compiaceva l'interlocutore. Però molti raccontavano che se superavi questo suo approccio, talvolta a prima vista anche scostante, e ti sforzavi di seguire i suoi consigli, potevi trarne vantaggio.

Chen Go era molto titubante. Da quando gli avevano preannunciato l'arrivo al villaggio del maestro Yoshida  per la Grande Festa del Mercato che la Regione dell'Altopiano aveva deciso di organizzare come tutti gli anni, era dilaniato dal dubbio: andargli a parlare, oppure ancora una volta tenersi il suo piccolo grande problema e provare a risolverlo da solo?

Il ragazzo stava terminando l'adolescenza: sarebbe presto entrato nell'età degli adulti e allora non avrebbe più potuto stare a guardare il mondo. Doveva entrarci attivamente dentro, darsi da fare, trovarsi un mestiere, imparare a gestire i rapporti di lavoro, capire come competere al meglio con tanti altri giovani della sua età smaniosi di cominciare a testare la loro energia e le loro abilità.
Ma lui, ancora, non se la sentiva: si trovava inadatto a tutto.
Era timido, credeva poco in se stesso: subiva troppo il giudizio dei coetanei, che lo ritenevano schivo, impacciato, insicuro e spesso, proprio per questo, lo canzonavano e lo escludevano dalle loro compagnie.

Yoshida alloggiava alla Locanda del Gufo.
Non c'era stato bisogno di cartelli che ne dessero notizia, era bastato il passaparola. E chiunque fosse stato interessato a un incontro, sapeva dove trovarlo.
Per questo, tutta la settimana era stato un via vai incessante di persone che lo avevano assillato, anche con i loro problemi più astrusi.

Il maestro era esausto: si era tenuto l'ultimo giorno per riposare. 
Si era chiuso in camera e si era calato in letture di meditazione di scritti antichi: la sua attività preferita.
Aveva ordinato a Tanaka, il proprietario della locanda, di non far salire più nessuno, informando che, fino all'indomani quando sarebbe ripartito, non desiderava essere disturbato.

Ma Chen Go era riuscito a venire a capo del suo dilemma proprio l'ultimo giorno della festa: quando il maestro aveva deciso di chiudere i ricevimenti. 

Il giovane non fu visto entrare nella locanda dal proprietario, in quel momento impegnato a preparare i piatti in cucina per la prossima cena.
Salì le scale e bussò alla porta del maestro.
Dovette provare tre volte.
Poi, finalmente, sentì come un grugnito.
Aprì con circospezione e mise dentro il capo. 

Yoshida gli mostrava la schiena.
Era seduto vicino alla finestra, immerso nella lettura, facendo uso della poca luce del giorno che entrava dal vicolo stretto in cui si ammassavano le case del centro del villaggio.
Sembrava non essersi accorto della sua presenza.

Chen Go stava per desistere: aveva già dovuto superare, con uno sforzo di volontà che non credeva possibile, lo scoglio della decisione che lo aveva portato fin lì.
Forse era il caso di rinunciare.
Stava per arretrare fino alla porta e uscirsene alla chetichella, quando un secondo grugnito gli fece capire che la sua entrata era stata notata.
Yoshida si era voltato di scatto: il viso scuro, chiaramente irritato.
«Avevo detto a Tanaka che non volevo essere disturbato», gridò il maestro. «Non so chi tu sia e perché sei qui, ma non mi piace la gente che non rispetta i miei desideri e si mostra invadente. Cosa vuoi da me?».

Chen Go divenne rosso in viso: unì le mani in segno di saluto reverente e si inchinò.
«Maestro, vi chiedo scusa. Tanaka non è colpevole perché non mi ha visto entrare e io sono salito non sapendo del vostro ordine. Mi spiace di aver disturbato il vostro riposo. Me ne vado subito.»

La reazione del giovane, sinceramente contrito, colpì positivamente Yoshida, che ammorbidì la sua reazione. 
«Ragazzo, i comportamenti hanno un difetto: una volta messi in atto, non possono più tornare indietro. Quel che è fatto è fatto, diceva il mio maestro. Ormai sei qui. Tanto vale che, oltre a dirmi il tuo nome, mi dici perché».
«Mi chiamo Chen Go, maestro. Ma, per carità, me ne vado: non amo chi importuna e importunarvi è davvero l'ultima cosa che avrei voluto. Vi ripeto le mie scuse.»
Il giovane aveva la mano sulla maniglia, pronto a uscire.

Yoshida recuperò il tono brusco.
«Niente complimenti adesso: li amo ancor meno dei salamelecchi. Avanti, non farmi perdere tempo...».

Chen Go, un po' tranquillizzato, ma un po' pure preoccupato dal cambio dei modi, tornati rudi, si fece forza.
«Ecco, maestro. Mi chiedevo se uno dei vostri saggi consigli non mi avrebbe potuto aiutare a entrare meglio nell'età adulta. Sono giovane, devo senz'altro maturare. Forse anche per questo non ho una grande opinione di me stesso: mi sento sempre incerto, non so mai se faccio bene o male nel fare quello che faccio. Anche perché spesso gli altri mi fanno capire che valgo poco. Che sono poco determinato. Che non avrò un futuro di successo. Forse manco di coraggio. Ho sempre paura di sbagliare. E' grave, Yoshida?».

Il maestro trattenne un sorriso: era di benevola e affettuosa comprensione, ma non voleva che dopo l'inizio burrascoso potesse venir letto in chiave beffarda. No, non avrebbe certo voluto prendere in giro quel ragazzo, verso il quale stava cominciando a provare una sincera simpatia.

Decise di rispondergli a modo suo.
«Tutto sommato sei venuto a proposito. Mi togli un'incombenza di cui non volevo occuparmi».

Chen Go non capiva: un punto interrogativo gli si disegnò in viso.
Yoshida si tolse un anello che aveva al dito.
«Ecco. Ti risponderò dopo che avrai assolto a questo compito che ti affido. Anche come pegno per essermi entrato in camera senza preavviso, quando avevo deciso di starmene solo per tutta la giornata, ti chiedo di andare nella piazza del mercato. Mostra questo anello a chiunque incontri. Chiedi loro quanto lo valutano. Di' loro che sei disposto a venderlo per conto di un uomo ricco al quale poi riferirai. Fatti dire la cifra che sono disposti a pagare: purché sia superiore a una moneta d'oro. Poi torna da me.»

Il giovane prese l'anello: il mercato era a un miglio dalla locanda. 
Si sbrigò subito. 
Non fu un'esperienza piacevole.
Tutti lo deridevano: più di una moneta d'oro per quell'anello? Una follia.
Misero in discussione anche l'uomo che voleva vendere: un uomo ricco? Un poveretto, piuttosto.
Era già tanto se qualcuno era disposto a offrire una moneta d'argento. E un commerciante particolarmente tirchio si era addirittura spinto a proporre una moneta di bronzo.

Il giovane tornò da Yoshida e riferì: anche se non poteva avere nessuna responsabilità per le cifre modeste che gli avevano offerto, si sentiva implicato. E aveva la voce mesta e bassa. 
Il maestro non sembrò per nulla preoccupato: anzi, sembrò consolarsi con una risata sonora.

Poi rinnovò l'incarico al ragazzo.
«Ora ritorna al mercato. Percorrilo tutto e non fermarti più dai proprietari delle bancarelle. In fondo al mercato, troverai una bottega di un gioielliere. Entra, chiedi del proprietario: è vecchio come me e si occupa di gioielli da una vita. Fagli vedere l'anello. Anche a lui di' che un uomo ricco ti ha chiesto di vendere l'anello. Fatti fare l'offerta e torna a riferirmi.»

Chen Go eseguì.
Il vecchio gioielliere guardò l'anello più e più volte: inforcò anche la lente. Era estasiato dalla bellezza, al punto da dimenticare di comunicarne il valore.
Il ragazzo dovette incalzarlo.
«Allora, quanto offrite?»
«Dipende: forse anche 80 monete d'oro. Ma prima dovrei farlo vedere a potenziali acquirenti che sanno apprezzare le cose ben fatte. Avrei bisogno di tempo. Altrimenti, se chi vi manda vuole vendere subito, be', diciamo che con 72 monete d'oro l'affare è fatto».

Il ragazzo era entusiasta.
Anche stavolta il suo impegno era stato solo quello di fare da tramite, ma quell'offerta così alta era come fosse stata rivolta a lui. 

Quando Yoshida ebbe la risposta, si fece riconsegnare l'anello e se lo rimise al dito.
«Avete deciso di non venderlo più?» chiese stupito il giovane.
«Ha una storia lunga. Me l'ha consegnato il mio maestro in punto di morte, quando mi disse che era giunta l'ora: che ero pronto a prendere il suo posto. Lo stesso accadde a lui da giovane e al maestro del suo maestro. Insomma, questo anello ha un valore immenso. Che per me non si misura in monete d'oro. Ma sul mercato dei gioielli solo i gioiellieri lo possono misurare. Come ha fatto il vecchio da cui ti ho inviato: che da generazioni si intende di ciò che tratta.» 
«Quindi non volevate venderlo?»
«No di certo, caro Chen Go. Mai avuto questa intenzione.»

Il ragazzo era sorpreso: cercò di non dare a vedere l'irritazione.
Tutte quelle sue corse per il mercato...
Era anche un po' addolorato e tentò di sollecitare una spiegazione:
«Allora mi avete preso in giro per farmi pagare il disturbo che vi ho arrecato?».

Chiunque in quel momento avesse potuto assistere all'incontro, conoscendo la tradizionale freddezza del maestro, sarebbe rimasto senza parole: Yoshida pareva un altro. Scomparsa quella certa sua burbanza di carattere, appariva dolce, affabile, affettuoso.

«No assolutamente, caro Chen Go. Con questo anello ti ho voluto semplicemente offrire un esempio pratico che non dovrai mai dimenticare. Siamo tutti come questo anello. Tu, io, chiunque. Abbiamo un valore prezioso. Ovviamente, più prezioso ancora è questo nostro valore per chi ha con noi un rapporto affettivo: in questo caso, non c'è prezzo che tenga. Ma il nostro valore è prezioso anche per chi non sa chi siamo. Lo è per definizione. Perché siamo esseri umani. Perché esistiamo. Perché siamo ciò che siamo. Quindi nessuno di noi può essere valutato dal primo che passa. Se proprio dobbiamo avere come riferimento anche i giudizi degli altri per capire chi siamo (ma ricordiamoci sempre che gli altri non devono mai essere tutto per noi, specie se non sono importanti per noi), facciamoci valutare solo da chi se ne intende. Da chi sa cogliere il positivo che è in ogni essere umano. Perché anche chi sembra non avere nulla da offrire, ha qualcosa di unico. Insomma, caro Chem Go: siamo tutti oro. Brilliamo tutti. Anche chi ha ombre. Anzi, senza ombre il nostro brillio sarebbe meno lucente.»

Il giovane rifletteva.
«Però il valore dell'oro non è uguale per tutti: c'è anello e anello».
«Certo, ragazzo: c'è anello e anello. Ma se, come dicevo, siamo sempre oro, nessuno può dirci che siamo argento. O, peggio, bronzo. Chi lo dice, non ci conosce. Oppure non ci vuole conoscere. Oppure ci vuole umiliare. E l'umiliazione peggiore è farci credere che non valiamo il valore che valiamo. Chi si intende di esseri umani, come quel gioielliere si intende di gioielli, sa tutto questo e sa apprezzare la bellezza che è in ogni anello che vede. Non usa categorie, non stigmatizza, non squalifica: cerca di partire da quanto valiamo e, se mai, ci aiuta a valere di più. Tutti gli altri, quelli che parlano o sparlano di noi, non meritano la nostra attenzione: lasciamoli dire. Abbiamo altre cose più importanti da fare che ascoltarli. Tu, per esempio, hai la tua via da trovare. E poi, quando l'avrai trovata, da percorrere senza finire fuori strada. O magari, anche, nel corso della vita, da cambiare. Perché non è detto che una strada sia per sempre e la vita ci propone  incroci ad ogni angolo.  Importante ora, per te, è che ti guardi dentro. Che senti la tua anima, che scovi la tua pepita, alla tua età oggi giustamente ancora opaca: che fai venire a galla la tua passione. Capirai la direzione e ti metterai in cammino. Lo so, non è facile. Ma la consapevolezza che oggi ho cercato di accendere in te, di essere comunque oro, potrà aiutarti. Sei oro, ricorda: né argento, né bronzo.»

Yoshida si era quasi meravigliato dell'energia che aveva messo nelle parole: ma quel ragazzo, anche se era la prima volta che lo vedeva, gli sembrava meritarsela.
Chen Go aveva colto il tono affettuoso e autentico del maestro: pareva rinfrancato.
Anche se non si nascondeva quanto sarebbe stato impegnativo seguire le indicazioni del maestro: trovare la strada, percorrerla, non sbandare, magari correggerla, cambiarla...

Yoshida si segnò una data su un piccolo quaderno di appunti che aveva in borsa. 
Poi la comunicò al giovane.
«E' la data del giorno in cui tornerò al villaggio: tra sei mesi, per fine anno. Ho segnato il tuo nome: tieniti libera la giornata intera. Desidererei trascorrerla con te, passeggiando per i boschi, all'aria aperta, tra la neve di questo altopiano: altro che in questa cameretta opprimente (ma non dirlo a Tanaka, che è tanto gentile nell'offrirmela ogni volta: ed è la migliore della Locanda...). Mi racconterai della tua strada. Se l'avrai trovata, se e come la stai percorrendo, come stai facendo fruttare l'oro che sei. Intanto, non potendo fare altro, farò il tifo per te, caro Chen Go. Io non ho dubbi del tuo oro: a 24 carati. Non un carato di meno».

*** Massimo Ferrario, Il saggio Yoshida, l'anello d'oro e il ragazzo insicuro, per Mixtura - Libera riscrittura creativa di un testo che circola in rete.


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