C’erano una volta, molti anni fa, Mamma Rinoceronte e Mamma Leone, che vivevano da buone amiche in due tane vicine in una foresta ai piedi di una collina.
Ambedue avevano due cuccioli, nati nello stesso periodo, e si erano sempre aiutate nel compito di allevarli. Così i due piccoli erano cresciuti insieme, dividendo cibo e giochi.
Gli anni passavano.
Al posto dei cuccioli di un tempo c’erano ormai due fieri animali adulti, forti e muscolosi: avrebbero potuto separarsi, ma stavano bene insieme e poi ormai erano loro che accudivano le mamme andando ogni giorno a caccia anche per loro.
Ma venne il giorno in cui Mamma Rinoceronte si sentì troppo vecchia per continuare a vivere.
Chiamò la sua grande amica, mamma Leone, e le disse: «Sento il respiro ormai stanco e so che domani non vedrò il sorgere del sole: ti prego, per l’amicizia che da sempre è tra noi e che tutti gli animali ci invidiano, fa’ in modo che tra i nostri figli non nasca mai contesa e anche loro, come è stato per noi, possano continuare a vivere per sempre in piena armonia».
Mamma Leone condivise la preoccupazione di Mamma Rinoceronte e giurò che avrebbe fatto di tutto perché il futuro dei figli fosse felice come era stato il loro rapporto.
La notte, Mamma Leone vegliò la sua amica.
E quando Mamma Rinoceronte, dopo un grande respiro, reclinò il capo, Mamma Leone si asciugò gli occhi con le zampe. Poi, all’alba, portò la notizia ai due figli.
Non trascorse molto tempo che anche Mamma Leone raggiunse Mamma Rinoceronte nel Cielo Eterno degli animali.
Prima però, aveva mantenuto la promessa: aveva chiamato i figli e aveva ordinato loro di costruire due capanne, sui declivi opposti della collina.
Aveva detto: «Presto anch’io vi abbandonerò. Ma ormai siete grandi e capaci di badare a voi stessi. Ciascuno di voi abiterà una delle due capanne, sui due lati della collina. Vi chiedo solo di continuare a vivere in armonia e in amicizia come avete fatto finora. Ognuno di voi sia di aiuto all’altro e di esempio a tutti gli animali. Io e Mamma Rinoceronte veglieremo su di voi dal Cielo Eterno degli animali».
Rinoceronte e Leone avevano annuito e avevano preso l’impegno solenne di obbedire alla volontà di Mamma Leone.
Così accadde, dopo la morte di Mamma Leone.
Un giorno, però, ambedue gli animali, che ormai vivevano separati uno dall’altro, si scoprirono curiosi di sapere come passavano reciprocamente le giornate e, in particolare, cosa facevano la mattina appena svegli.
Il pensiero venne loro nello stesso momento; e così decisero di cercarsi e di parlarsi.
Durante il primo incontro, Rinoceronte fu il primo a porre la domanda: «Leone, posso chiederti cosa fai al mattino quando ti svegli?».
Leone sorrise e prima di rispondere disse che anche lui aveva avuto la stessa curiosità. «Quando mi alzo faccio quello che faceva mio papà, e mio nonno, e il nonno di mio nonno: prima mi distendo, poi mi stiracchio, do due colpi di coda, guardo prima a ovest e poi a est, quindi mi esercito a saltare!.. E tu, Rinoceronte?».
«Anch’io, quando al mattino mi sveglio, mi comporto come mio papà, e mio nonno, e il nonno di mio nonno: affilo il mio corno su una pietra, dò due colpi di coda, stiro le gambe e poi saltello un po’».
Si salutarono e tornarono nelle loro capanne.
Ma qualcosa non funzionava più come prima: una certa insicurezza cominciava a tormentarli.
Leone infatti cominciò a chiedersi: “Ma perché Rinoceronte, la mattina appena si sveglia, fa tutto quello che mi ha raccontato? Non è che per caso avrà dei cattivi propositi nei miei confronti? Dice che ogni giorno affila il corno e salta. Perché deve affilare il corno? E perché salta? Che si stia preparando ad attaccarmi?”.
E anche Rinoceronte iniziò a farsi domande analoghe. “Leone dice che ogni mattina stira il suo corpo, dà un paio di colpi di coda e guarda a ovest e a est. Perché lo fa? Forse si prepara a combattere? Ma combattere chi? Che voglia aggredirmi?”.
All’inizio questi pensieri venivano subito scacciati, ma tornavano con sempre maggiore frequenza. Alla fine si conficcarono in testa come un chiodo: e ambedue gli animali presero l’abitudine di salire sulla collina per dare di nascosto un’occhiata al comportamento dell’altro.
Giorno dopo giorno in ciascuno dei due prese più forza il timore di essere attaccato.
“Guarda come salta! Ma sì, certo, lo fa perché si prepara ad aggredirmi!”.
“Guarda come affila il corno. Lo vuole mantenere appuntito perché ha in mente di attaccarmi”.
E più Rinoceronte vedeva Leone diventare forte e muscoloso, più a sua volta cercava di affilare il corno, e più Leone vedeva gli esercizi di Rinoceronte, più sentiva la necessità di allenarsi.
No, non c’era innocenza nel comportamento dell’altro. L’altro si stava preparando per l’attacco. L’altro era una minaccia, un pericolo. Altro che amicizia…
Leone e Rinoceronte presero a spiarsi con sempre maggiore frequenza: ormai ogni giorno salivano sulla collina e tutta la loro giornata era spesa a prepararsi a rispondere all’attacco dell’altro.
Più i due si spiavano, maggiore diveniva la rabbia reciproca: ormai ciascuno di loro era veramente convinto che l’altro si stesse preparando all’assalto.
E così non poté che giungere il giorno fatale.
Ambedue erano in cima alla collina. Si guardarono. Non c’era dubbio.
Leone fissava Rinoceronte: “Il suo sguardo è aggressivo. Vuole attaccarmi. Mi attaccherà. Glielo si legge negli occhi che ha deciso di attaccarmi. Ecco, adesso mi attacca”.
Rinoceronte fissava Leone: “Il suo sguardo è aggressivo. Vuole attaccarmi. Mi attaccherà. Glielo si legge negli occhi che ha deciso di attaccarmi. Ecco, adesso mi attacca”.
Praticamente nello stesso momento si lanciarono uno contro l’altro.
Erano due bestie possenti, allenate da mesi allo scontro.
La foresta attorno tremò.
La terra fu scossa, gli alberi ondeggiarono.
Tutti gli animali videro.
Fu una lotta lunga.
Poi Leone addentò alla gola Rinoceronte.
E Rinoceronte squarciò con il corno il ventre di Leone.
Il sangue di entrambi formò un piccolo lago.
Ora non abita più nessuno nelle due capanne ai piedi della collina.
*** Massimo Ferrario, I pensieri di Leone e Rinoceronte, 2013-2015, per Mixtura. Riscrittura di un’antica fiaba tibetana di autore ignoto, riportata in Renata Borgato, Un’arancia per due. Giochi d’aula ed esercitazioni per formare alla negoziazione, FrancoAngeli, Milano, 2005.
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