Quand’è che si è iniziato a usare il concetto di “social network” per giustificare qualsiasi comportamento?
No, davvero, perché mi sfugge.
Ne gestisco decine e, fatte le dovute eccezioni, il panorama desolante che predomina è il seguente:
“Offendo e parlo a sproposito? Beh: è un social network!”
“Ti aggancio a trenini, promozioni, foto senza il tuo permesso? Beh: è un social network!”
“Ti perseguito su ogni piattaforma commentando in modo poco pertinente e sgradevole ogni contenuto? Beh: sono social network!”
“Mi infilo in conversazioni che non mi riguardano rovinandone il clima, senza apportare alcun valore, giusto perché amo la mia “voce”? Beh: è un social network!”
“Uso ogni mezzo per smerdare tot politico, tot giornalista, tot emerito sconosciuto? Beh: è un social network”.
Non si tratta di seguire o non seguire, di bloccare o non bloccare, di accettare o meno amicizie, di prenderla con filosofia o meno, di divertircisi o meno, di sputare dove mangi o meno.
Pare che una certa netiquette non attecchisca.
Mi è chiaro che esistano numerosi sistemi, tecnici e relazionali, per arginare, gestire, scremare, eccetera.
Mi è chiaro che ovunque ci sia pubblico – online o offline – il confronto e, a volte, la frizione siano fisiologici.
Mi è chiaro che le competenze comunicative non siano sempre le più splendenti – il tutto aggravato e reso ancor più evidente dalla forma scritta.
Mi è chiaro che in giro è pieno di persone strane e una conversazione giocosa sul Natale si trasforma in un delirio socio-religioso che manco Scientology.
Mi è chiaro che esiste la soluzione finale: chiudere tutti gli account e andare al parco a nutrire i piccioni.
Ma, sfortunatamente, mi è chiaro anche che, nonostante tutta la formazione, la divulgazione, i tentativi di viralizzare il buon senso, le buone pratiche e un’educazione da minimo sindacale, non si riesce a sradicare il germe dell’utilizzo inappropriato del mezzo.
E non nel senso che esso vada uniformato – ognuno ne faccia ciò che crede – nel senso che il concetto “social network” è ancora troppo spesso usato come passaporto per la libera circolazione di atteggiamenti che, probabilmente, o almeno voglio sperare, non utilizzeremmo in nessuna altra circostanza senza essere guardati, diciamo così, con stupore.
Detto ciò, ignoratemi pure, vado a nutrire i piccioni.
*** Chiara BOTTINI, Project manager, blogger, social media specialist, formatrice, (Dis)social network, 'linkedin.com/pulse', 23 dicembre 2015, qui
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