martedì 28 luglio 2020

#SENZA_TAGLI / Sempre sulla felicità (Simone Perotti)

Io combatto una mia piccola personale battaglia contro la felicità. Sentir parlare di "felicità" mi fa sempre tornare alla mente una velina, una soubrettina bella e scema, che interpellata su quel che desidera risponde: "la pace nel mondo". Parole vuote, senza sostanza, appoggiate su un tavolo che non ha una gamba. Accanto a una pistola quasi sempre fumante.

Posizionare in una parola senza significato, per di più eventualmente utopistica, qualcosa di importante, significa imboccare una via senza destinazione. Qualunque sforzo fatto su quella strada non porterà altro che dove porterebbe se percorsa senza alcun impegno: da nessuna parte. Camminare male o di buon passo su un sentiero senza meta non fa apparire prima o dopo la meta.

Ecco un buon obiettivo: abbandonare le parole vuote. Accorgersi che l'errore è fondativo, parte dalla prima frase. Felicità non esiste, inutile cercarla. Chi la vende è un truffatore. Chi la cerca è un imbecille. Chi ne piange l'assenza è un malato. 

Come considereremmo un velocista che si allenasse per correre i 100 metri in 2 secondi? E un allenatore che promettesse questo ai suoi allievi? E chi si struggesse per non riuscirci?

Buon obiettivo: fare quei cento metri in qualche centesimo in meno del proprio record, semmai. Tradotto: cercare di non patire la causa abituale dei propri dolori; sorvolare se si è troppo coinvolti; impegnarsi se si è lassisti; guardare a se stessi con la dovuta obiettività, senza raccontarsela perché ci fa comodo; prendere ogni cosa che non va, smontarla, rimontarla facendola funzionare; svincolarsi per chi si sente schiavo, ascoltare per chi non è attento; misurare per chi fa tutto a occhio; familiarizzare con l'acqua per chi teme il mare. 

Ecco alcuni dei possibili centesimi da rosicchiare. Roba faticosa, per gente coraggiosa, che non si è seduta, che sta andando, che si sarà meritata la meta.

In poche, sane, belle e giuste parole: mettersi in progressivo equilibrio, cercare una forma di armonia col mondo. Spietatamente accettare, ad esempio, che ogni nostra lamentela è dovuta a un lavoro ancora non fatto in quella direzione. Ogni volta che "è colpa del lavoro" o "della famiglia" o "della crisi" o "del governo" o "di quello stronzo che mi ha fatto soffrire" o "di mia madre" o "della sfortuna". Trovare il coraggio e la forza di cambiare la risposta che diamo, da sempre, in automatico (eterodiretti dalla nostra natura) alla stessa domanda.

Cioè evolvere. Che infatti è: e/ex-volvĕre, voltarsi da ciò che si sta guardando, verso qualcos'altro. Guardare (se stessi e il mondo) da un altro punto di vista, vedendo nuove cose. 
Altrove.

*** Simone PEROTTI, scrittore, Sempre sulla felicità, facebook26 luglio 2020, qui


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