E giunse il tempo in cui il Maestro fece quello che doveva fare. Chiamò i discepoli e disse: «Lascio».
I discepoli non capirono. Un mormorio si diffuse per la grande sala del monastero. Il Maestro attese qualche minuto: in silenzio, immobile, con il viso sereno e accogliente. Finché il discepolo meno timido, inchinandosi e tenendo le mani giunte, osò fare la domanda: «Maestro, cosa intendi quando dici ‘lascio’?».
Il maestro sorrise. Si limitò a ripetere. «Lascio.» Poi aggiunse: «E' giunta l'ora».
Allora i discepoli non ebbero più dubbi. Sempre il meno timido, rincuorato dal fatto che il maestro aveva accettato la sua domanda precedente, riprese la parola: «Maestro, possiamo rispettosamente chiederti se una malattia è la causa del tuo abbandono? Perché, se così fosse, noi ti possiamo assicurare il nostro coinvolgimento assoluto e continuo per alleviarti l'impegno del tuo insegnamento e rispondere a ogni tuo grande e piccolo bisogno di adesso e di domani. Fino a che il cielo lo vorrà».
Il Maestro, non nascondendo un filo di commozione, si inchinò tre volte di fronte agli allievi. Spiegò ciò che stava per accadere. «Mi siete tutti molto cari. E vi ringrazio dal profondo del cuore della sollecitudine che mostrate. Ma la vecchiaia, almeno per ora, non mi fa intravvedere nessuna fine imminente, almeno su questa terra. E' solo la mia età con cui io e voi abbiamo a che fare. Ed è la mia preoccupazione per il vostro futuro. Per questo lascio. E' tempo che uno di voi mi succeda. Un avvicendamento fisiologico: lo stabilisce la natura. Dipende se noi la ascoltiamo, oppure pretendiamo di essere eterni: preda della nostra disumana autocentratura e dell'hybris che troppo spesso ci rinserra nell'io, facendoci credere Dio. Ora il mio compito è lasciare e scegliere chi potrà essere il mio successore. Vi conosco e so che ognuno di voi può giustamente ambire alla posizione. Ma la posizione è unica e uno solo la potrà occupare. Ora vi propongo soltanto un piccolo esercizio per facilitarmi la scelta».
I discepoli si fecero muti e attenti. Il Maestro prese una brocca e la pose sul pavimento davanti a tutti. «Vi chiedo di descrivere questa brocca. Chiunque vorrà intervenire potrà farlo. Io ascolterò ognuno con la massima attenzione, ringraziandovi fin d'ora perché accettate di sottoporvi a questa prova».
In un ordine perfetto, e con la massima armonia, tutti i discepoli si alternarono davanti al Maestro proponendo la loro definizione della brocca. Ci fu chi la descrisse limitandosi all'essenziale: un vaso di forma rotondeggiante, fornito di un manico e di un becco. Chi la definì pensando alla sua funzione: un recipiente che serve a contenere acqua o altri tipi di liquido. Chi disse che una brocca è una brocca e non è nient'altro che una brocca. Chi spese parole per commentare i colori e le sfumature, le dimensioni, lo stile di fattura, la forma armoniosa. Tutti dissero la loro, tranne il discepolo più timido: quello che pure aveva osato porre la domanda inziale, preoccupato della salute del Maestro. Non era più in piedi nelle prime file, ma si era ritirato in un angolo in fondo alla sala.
Il Maestro lo individuò.
«Mi pare che qualcuno non abbia ancora detto la sua. Non è obbligato: anche il silenzio, in questo caso, è una scelta da accogliere. Ma se chi sa a chi mi sto rivolgendo decide di sottrarsi all'intervento, sappia che qualunque sia la sua decisione, lo ringrazio con molto affetto».
Il discepolo percorse la sala dal fondo, avvicinandosi al Maestro. Giuntogli davanti, dopo il rituale inchino di saluto, si chinò a terra: raccolse la brocca dal pavimento e la innalzò, più alta che poté, perché tutti la vedessero e la ammirassero.
Niente meglio del gesto poteva definire cos'era la brocca di cui il Maestro aveva chiesto la definizione.
Il Maestro allargò il viso. Era felice. Accennò, per tre volte, a un leggerissimo e sobrio battito di mani, fissando negli occhi, compiaciuto e benevolo, il discepolo.
Aveva individuato il successore. Lo presentò alla sala. E stavolta l'applauso fu generale. Di tutti i di-scepoli.
*** Massimo FERRARIO, La successione al monastero, per 'Mixtura'. Il racconto è una libera riscrittura di un testo zen di autore anonimo diffuso in internet.
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