La sindrome del dipendente accondiscendente riguarda quanti accettano tutto passivamente ed ese-guono senza criticare perché non concepiscono la critica. Sul posto di lavoro non si interrogano su cosa stanno facendo né sulla possibilità eventuale di non farlo. Sentono il bisogno di annullarsi nella speranza di ricevere così una gratificazione, un riconoscimento. In realtà è una regressione: si rinuncia ai desideri, alle idee, alla responsabilità, alle prerogative dell’età adulta per tornare a uno stato infantile. La totale dipendenza implica infatti come contraltare le gratificazioni del padrone-mamma: protezione e sicurezza. Si sa che ci verrà sempre detto cosa fare, si sa che gli altri penseranno a noi e per noi: adattandosi a questo modello si risparmiano energie. Criticare è faticoso: chi critica sta male perché rileva una differenza tra ciò che è e ciò che vorrebbe. E affrontare questo conflitto costa molto più che lasciarsi andare alla regressione.
Questo modello, per cosi dire giapponese, sembra inaccettabile, ma non è il peggiore: gli individui passivi sono in fondo buoni amministratori della loro energia psicologica! Eseguire mantenendo la lucidità critica o eseguire senza porsi domande sono due modi diversi di gestire la propria esistenza. Il primo è più maturo, adulto e creativo, ma implica costi umani alti, tra cui stress e disagi conseguenti. Il secondo regala serenità ma comporta il rischio dell’appiattimento. La scelta dipende dalla propria capacità di gestire la conflittualità: qualcuno preferisce evitarla; qualcun altro sente di esiste-re solo se l’affronta.
*** Vittorino ANDREOLI, 1940, psichiatra, saggista e scrittore, citato da Luca e Laura Varvelli, Saper negoziare, Il Sole 24 ore, Milano, 2003-2004.
Sempre nel blog Mixtura, 1 altro contributo (video) di Vittorino Andreoli qui
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