Fred VARGAS, Tempi glaciali, 2015, Einaudi, 2015
pagine 442, € 20,00, ebook € 9,99
traduzione di Margherita Botto
Ancora un romanzo che spiazza: anche il lettore abituato alla incredibile abilità di Fred Vargas nel costruire trame affascinanti e intricate non può che restare avvinto e sorpreso.
La vicenda è complessa e anche complicata: si snoda per oltre quattrocento pagine, fra Parigi, l'Islanda e una strana Associazione di adepti della Rivoluzione Francese, più o meno innamorati di Robespierre. Il tutto percorso (tenuto insieme?) da sei omicidi che paiono inspiegabili fino alla fine.
Ma al di là della trama, che sa alimentare un tensione sempre all'apice e che si sviluppa in modo apparentemente divagante e disordinato finché ogni tassello, anche il minimo e più trascurabile, finisce nell'incastro giusto, ciò che contribuisce a far gustare il racconto è la descrizione dello strambo gruppo dell'Anticrimine pilotato dal commissario Adamsberg: un'accolita di personaggi meno 'sgangherati' di quanto a prima vista sembrino, ma certo ognuno sorprendente e in qualche modo fuori norma rispetto a quanto tradizionalmente ci si attende da pubblici funzionari dell'ordine.
Ancora più simpaticamente disallineato e quanto mai intrigante, come sempre nella serie di racconti in cui è protagonista, si conferma Adamsberg: anche stavolta il suo 'spalare le nuvole' (è l'approccio investigativo, tra il sognatore e l'intuitivo, che gli attribuiscono i collaboratori, con ammirazione, ma talvolta anche con qualche sentimento di irritazione) e il suo lasciarsi andare alle sensazioni del momento che fanno fermentare gli abbozzi di pensieri ('come fossero girini') che poi definiscono i pensieri compiuti sui fatti osservati (con la capacità incredibile di vedere ciò che nessun altro sa vedere e di collegare dati che sembrano dispersi e frammentati), costituiscono il metodo di lavoro che porta alla soluzione del caso.
Ma al di là della trama, che sa alimentare un tensione sempre all'apice e che si sviluppa in modo apparentemente divagante e disordinato finché ogni tassello, anche il minimo e più trascurabile, finisce nell'incastro giusto, ciò che contribuisce a far gustare il racconto è la descrizione dello strambo gruppo dell'Anticrimine pilotato dal commissario Adamsberg: un'accolita di personaggi meno 'sgangherati' di quanto a prima vista sembrino, ma certo ognuno sorprendente e in qualche modo fuori norma rispetto a quanto tradizionalmente ci si attende da pubblici funzionari dell'ordine.
Ancora più simpaticamente disallineato e quanto mai intrigante, come sempre nella serie di racconti in cui è protagonista, si conferma Adamsberg: anche stavolta il suo 'spalare le nuvole' (è l'approccio investigativo, tra il sognatore e l'intuitivo, che gli attribuiscono i collaboratori, con ammirazione, ma talvolta anche con qualche sentimento di irritazione) e il suo lasciarsi andare alle sensazioni del momento che fanno fermentare gli abbozzi di pensieri ('come fossero girini') che poi definiscono i pensieri compiuti sui fatti osservati (con la capacità incredibile di vedere ciò che nessun altro sa vedere e di collegare dati che sembrano dispersi e frammentati), costituiscono il metodo di lavoro che porta alla soluzione del caso.
E il lettore, per tutto il tempo, non fatica a credersi 'lì' con questo commissario 'casuale' ma mai distratto, come fosse un partecipante, in questo caso invisibile, paziente e silenzioso, della sua squadra: segue con trepidazione quei fermenti di riflessioni 'in fieri' con cui Adamsberg cerca di ordinare gli avvenimenti, trovando loro un senso, mentre la vicenda cresce in diretta, in ogni sua piega, e la storia-fiume va per rivoli che solo dopo si scoprono non secondari.
Sono pagine che sanno unire un'affabulazione eccezionale (la varietà degli eventi, mai lineari e spesso inaspettati, incolla alla sedia) con un linguaggio curato, sempre fluido, abile nel giocare con un'ironia leggera e intelligente.
Insomma, se si ama l'enigma fatto di azione, ingegnosamente costruita e brillantemente raccontata, piacere e tensione sono assicurati.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Conosceva Adamsberg da abbastanza tempo per sapere che, nel suo caso, la parola «riflettere» non aveva alcun significato. Adamsberg non rifletteva, non si sedeva da solo a un tavolo, impugnando una matita, non si concentrava davanti a una finestra, non ricapitolava i fatti su un tabellone, con frecce e cifre, non appoggiava il mento su una mano. Vagolava, camminava senza far rumore, ciondolava da un ufficio all’altro, commentava, andava avanti e indietro a passi lenti, ma nessuno l’aveva mai visto riflettere. Sembrava un pesce alla deriva. No, un pesce non va alla deriva, un pesce persegue il proprio obiettivo. Adamsberg faceva pensare piuttosto a una spugna, sballottata dalle correnti. Ma quali correnti? Del resto, alcuni dicevano che quando il suo vago sguardo bruno diventava ancora piú sfocato era come se avesse gli occhi pieni di alghe. Apparteneva piú al mare che alla terra. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Allora ci ho pensato su molto, sette volte e non una di piú. – Sette volte, – ripeté Adamsberg. Come si poteva contare il numero dei propri pensieri? – E non cinque e non venti. Mio padre diceva che bisogna pensarci su sette volte prima di agire, non di meno, altrimenti fai qualche stupidaggine, ma soprattutto non di piú, altrimenti cominci a girare in tondo. E a furia di girare in tondo affondi nella terra come una vite. E dopo non c’è più verso di muoverti. Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Adamsberg posò piano piano la forchetta, come faceva sempre quando un’idea che non era ancora tale, un embrione di idea, un girino, affiorava languidamente alla coscienza. In quei momenti, lo sapeva, non bisognava fare nessun rumore perché il girino era pronto a rituffarsi e scomparire per sempre. Ma un girino si affacciava con la sua testa informe alla superficie delle acque mica per niente. E se intendeva solo divertirsi, be’, lo avrebbe ributtato dentro. Intanto, e senza abbozzare un gesto, Adamsberg aspettava che il girino si avvicinasse un po’ di più e cominciasse a trasformarsi in ranocchio. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
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Conosceva Adamsberg da abbastanza tempo per sapere che, nel suo caso, la parola «riflettere» non aveva alcun significato. Adamsberg non rifletteva, non si sedeva da solo a un tavolo, impugnando una matita, non si concentrava davanti a una finestra, non ricapitolava i fatti su un tabellone, con frecce e cifre, non appoggiava il mento su una mano. Vagolava, camminava senza far rumore, ciondolava da un ufficio all’altro, commentava, andava avanti e indietro a passi lenti, ma nessuno l’aveva mai visto riflettere. Sembrava un pesce alla deriva. No, un pesce non va alla deriva, un pesce persegue il proprio obiettivo. Adamsberg faceva pensare piuttosto a una spugna, sballottata dalle correnti. Ma quali correnti? Del resto, alcuni dicevano che quando il suo vago sguardo bruno diventava ancora piú sfocato era come se avesse gli occhi pieni di alghe. Apparteneva piú al mare che alla terra. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Allora ci ho pensato su molto, sette volte e non una di piú. – Sette volte, – ripeté Adamsberg. Come si poteva contare il numero dei propri pensieri? – E non cinque e non venti. Mio padre diceva che bisogna pensarci su sette volte prima di agire, non di meno, altrimenti fai qualche stupidaggine, ma soprattutto non di piú, altrimenti cominci a girare in tondo. E a furia di girare in tondo affondi nella terra come una vite. E dopo non c’è più verso di muoverti. Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Adamsberg posò piano piano la forchetta, come faceva sempre quando un’idea che non era ancora tale, un embrione di idea, un girino, affiorava languidamente alla coscienza. In quei momenti, lo sapeva, non bisognava fare nessun rumore perché il girino era pronto a rituffarsi e scomparire per sempre. Ma un girino si affacciava con la sua testa informe alla superficie delle acque mica per niente. E se intendeva solo divertirsi, be’, lo avrebbe ributtato dentro. Intanto, e senza abbozzare un gesto, Adamsberg aspettava che il girino si avvicinasse un po’ di più e cominciasse a trasformarsi in ranocchio. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
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