Carl-Johan VALLGREN, Il bambino ombra, 2013, Marsilio, 2015
pagine 336, € 18.50, ebook €9,99
Chi ama trame intricate e a incastro, dove le azioni si susseguono con ritmo incalzante e gli spiazzamenti sono continui, ha trovato il libro che fa per lui.
Sono oltre trecento pagine che procedono di corsa, scritte con una straordinaria capacità di mantenere alte tensione e 'suspense'.
Il 'puzzle' non è per principianti e qualche volta qualche tessera, se il lettore ha un attimo di distrazione, sembra sfuggire. Ma la capacità di governo dello scrittore, sia nel dipanare il filo che nel trattare in profondità e con precisione gli argomenti (ad esempio, di tecnica informatica o di cultura vudù dell'America latina), è notevole. E alla fine tutto si ricompone: e si resta ammirati per l'abilità di chi ha costruito una vicenda che sa giocare con i fatti (le sorprese e i misteri ) come il gatto col topo.
L'autore, romanziere affermato e premiato in Svezia, è al suo primo 'thriller' e tutto fa pensare che il protagonista, Danny Katz, possa diventare seriale. Si tratta di una figura complessa e problematica, con un passato in buona parte 'oscuro' e fuori dalle regole: di tossico e di piccolo delinquente di strada, oltre che di eccezionale esperto di 'software' e di computer, nonché di traduttore-interprete del ministero della Difesa.
L'avvio è innescato dalla sparizione improvvisa di un industriale, Joel Klingberg, appartenente a una ricca dinastia di imprenditori, e in passato amico di Danny Katz. La moglie si rivolge a Katz perché la aiuti a rintracciarlo o comunque scopra cosa è accaduto.
Subito entrano in gioco i vari pezzi del 'puzzle': tutti i parenti della grande famiglia dei Klingberg; i fatti 'strani' che ne segnano anche drammaticamente il passato, tra cui la scomparsa del fratello di Joel di pochi anni; un amico fraterno e una ex ragazza di Danny dei tempi della droga e dei furti; l'ex capo di Danny che ha sempre cercato di aiutarlo nei momenti difficili.
Presto si scopre che Danny Katz è al centro di un complotto: non si sa né chi né perché congiuri, ma i fatti dicono che lo si vuole morto. E il problema diventa svelare la macchinazione salvando la pelle. Magari anche dando una mano all'ex ragazza di quando entrambi 'si facevano' di droga, ora ritrovata adulta e con una bambina anch'essa inspiegabilmente coinvolta nel 'puzzle' sempre più aggrovigliato: rapita e a rischio di morte.
Insomma, gli ingredienti con cui viene cucinata la vicenda sono ad alto tasso di tensione: gli intrighi e gli enigmi si succedono, a dimostrare che nulla è come appare. Il tutto condito da qualche grano, anche abbondante, di follia, oltre che da dosi massicce di superstizione caraibica che sembra aver contaminato la nascita dei Klingberg come imprenditori nella Repubblica Dominicana, prima del loro trasferimento in Svezia.
Il finale, sorprendente ma perfettamente congruente con la massa dei fatti e dei dettagli mano a mano narrati, scioglie il clima di sospensione e di eccitazione; e il godimento che se ne ricava prepara a gustare una nuova avventura.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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«Un poliziotto ebreo doveva essere un fatto raro, quando era in servizio lei» osservò.
«Verissimo. L’antisemitismo era diffuso e sono stato costretto a subire molte frecciate. C’era chi mi chiedeva che diavolo ci facevo lì a sgobbare come commissario dell’anticrimine quando avrei potuto aprire una banca. Essere circoncisi equivaleva a essere ricchi e avari. E anche di peggio.»
Eva ripensò a Katz e a tutte le punzecchiature che aveva dovuto patire quando erano giovani. Ebreo del cazzo. Maledetto strozzino. E le freddure demenziali. Lo sai come fanno a starci sei milioni di ebrei in una Volkswagen? Due davanti, due dietro e il resto nel portacenere. Per lo più la reazione era immediata, esattamente ciò che cercavano i suoi avversari.
«Credo di essere stato l’unico poliziotto kosher della mia generazione in tutta l’area di Stoccolma» continuò Ragnar Hirsch. «E di sicuro sono l’unico sbirro in questa residenza. Fu mio padre a volere che entrassi in polizia. Lui faceva l’assicuratore, ma riteneva che fosse ora che qualcuno, in famiglia, indossasse l’uniforme.»
Venne interrotto da uno strillo proveniente da un’altra parte dell’edificio, una specie di pianto lamentoso che s’impennò per poi cessare di colpo.
«Miriam Löwenstein. Arrivò in Svezia a quindici anni a bordo di una corriera bianca dopo essere sopravvissuta, contro ogni previsione, ad Auschwitz-Birkenau e avere visto la madre e i fratelli minori entrare nella camera a gas. Contro certi ricordi non ci sono cure.»
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