Credo sia necessaria una nuova visione della Terra generata dalla consapevolezza che il nostro pianeta, ben lungi dall’essere riducibile a materia inerte aggregata da una serie di circostanze casuali, è un immenso e sofisticato ecosistema che deve la sua origine e la sua esistenza alla logica dell’armonia relazionale. Anzi, occorre procedere oltre e approdare alla convinzione, formulata qualche decennio fa dal chimico britannico James Lovelock, che la Terra sia un unico organismo vivente, da Lovelock chiamato Gaia.
Qualcuno vedrà in questa affermazione un pericoloso e ingenuo regresso verso l’animismo dei primitivi, ma chi può dire, quando è in gioco la vita, se i primitivi in realtà non siano molto più avanti di noi che siamo abili calcolatori ma sempre più privi di intuizione, di capacità di visione, di poeticità?
Il nostro pianeta non è riducibile a materia inerte. Nulla in natura è riducibile a materia inerte perché la natura è sempre al lavoro, è sempre nascitura, come dice il participio futuro latino del verbo nasci, “nascere”, da cui il termine deriva. E siccome il lavoro richiede non solo energia ma anche informazione, e siccome l’informazione è elaborazione dell’intelligenza che vince l’entropia, occorre concludere che la natura è dotata di intelligenza. Così sentono tutti coloro che l’amano veramente, come Tolstoj, Lovelock e molti altri. Oggi la scienza e la tecnica, ormai così strettamente associate da condurre molti a parlare di tecnoscienza, hanno urgente bisogno di venire integrate dalla sapienza umanistica e dalla spiritualità, ed è a mio avviso questa visione spirituale della natura, unita alla visione naturale dello spirito, l’unica via in grado di operare tale necessaria integrazione. Occorre una nuova visione della natura che veda l’evoluzione non solo come il risultato di mutazioni casuali e di selezione naturale (che pure ci sono e ci saranno sempre) ma prima ancora come risultanza della logica di aggregazione sistemica e della cooperazione che ne scaturisce. Non si tratta di una semplice disputa accademica. È in gioco più in profondità il nuovo stile di vita necessario al nostro tempo per fronteggiare la sfida ecologica: una sfida che non supereremo fino a quando non verrà risanata alla radice l’ideologia che l’ha prodotta, cioè l’estraneità tra materia e spirito, natura e cultura, mondo e mente, una frattura che ci ha condotto a considerare il mondo come mero ambiente esteriore e non come parte essenziale della nostra vita, e la nostra vita come mero caso all’interno di un mondo senza senso.
Occorre una purificazione del nostro modo di pensare, una “ecologia della mente” che faccia finalmente comprendere che l’uomo con la sua spiritualità va compreso come un essere materiale, e il mondo nella sua materialità va compreso come un essere spirituale, all’insegna di un’inscindibile complementarietà tra materia e spirito. Occorre una filosofia in grado di ridare importanza alla dimensione umanistica della vita, perché nel nostro mondo aumentano quotidianamente le conoscenze scientifiche mentre la saggezza e la sapienza rimangono ferme, il che si traduce in aumento del potere tecnologico e in aumento della produzione (il famoso Pil) senza che vi sia un’idea che orienti tutto ciò, a parte, ovviamente, la fame di profitto. Dalla scienza e dalla tecnologia prive di orientamenti etici può sorgere una trappola pericolosissima, anzi questa trappola è già sorta e noi ci siamo finiti dentro. Per uscirne occorre una svolta concettuale: da una visione che individua la logica che presiede all’evoluzione della vita nella cieca casualità e nella competizione per la sopravvivenza, a una visione che l’individua nell’aggregazione sistemica. È in base a questa logica che si potranno elevare a modelli di vita coloro che hanno sempre operato a favore della pace, figure come l’indù Gandhi, il panteista Albert Einstein, l’ateo Bertrand Russell, il protestante Nelson Mandela, il cattolico Oscar Romero, il musulmano Muhammad Yunus, la buddista Aung San Suu Kyi.
Una delle più celebri terzine di Dante ci invita ancora oggi a riflettere sulla nostra identità e sul compito che ne discende: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza». Naturalmente i due valori non sono affatto alternativi perché nella conoscenza c’è virtù e nella virtù c’è conoscenza, tuttavia essi non vanno sempre insieme perché vi sono persone virtuose ma ignoranti e persone colte ma disoneste, e nel nostro tempo assistiamo a un progressivo aumento della conoscenza e a una stasi, se non a una diminuzione soprattutto nell’ambito dell’etica pubblica, della virtù. Penso quindi sia urgente chiedersi che cosa nella vita debba avere il primato, se la conoscenza o la virtù. Einstein la pensava così: «Il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dell’io». È la medesima prospettiva che si ritrova nelle grandi dottrine spirituali, per esempio il buddismo definisce il non-sé «sigillo del Dharma» e Gesù invita chi vuole seguirlo a «rinnegare se stesso» (Marco 8,34). Questa liberazione dall’io non significa non curare la propria interiorità e non amare se stessi; significa piuttosto che il valore di un essere umano non dipende da ciò che ha, non dipende da ciò che sa, non dipende neppure da ciò che è, ma dipende dalla misura in cui è giunto a trascendere il suo ego perché l’ha posto al servizio di qualcosa di più grande e di più importante.
Il valore di un essere umano dipende dalla sua capacità di creare relazione, di dedicarsi, di uscire da sé, di aprirsi, di abbracciare, di amare. Il Processo cosmico ci immette in questa stupefacente avventura: noi siamo un pezzo di materia capace di creare relazione, di dedicarsi, di uscire da sé, di aprirsi, di abbracciare, di amare. Seguendo tale logica si attua la liberazione dall’ego, la meta di ogni autentica esperienza spirituale, la prima e più necessaria ecologia. Da essa può rinascere la visione del mondo e della natura di cui questa vita ha bisogno per tornare a fiorire.
*** Vito MANCUSO, 1962, teologo, saggista, Questa vita, Garzanti, 2015 (estratto riprodotto anche in 'la Repubblica', 23 aprile 2015, con il titolo Per un'ecologia dell'Io che lega Buddha a Tolstoj).
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In questo blog, di Vito Mancuso:
#VIDEO #SOCIETA' / Vito Mancuso, Sull'amore, 19 febbraio 2015
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