Ci sono almeno due espressioni che 'assicurano', a un consulente che le sappia usare bene, lunga vita al mestiere.
Una è quella che il manager rinfaccia al consulente nel finale del dialogo qui sotto: leggete e scoprirete.
L'altra è una domanda, posta all'interlocutore nel modo più serio e 'auto-riflessivo' possibile: «Sì, ma in che senso, scusi?».
Quanto più questa domanda è a valle di un'affermazione ovvia, chiara e indiscutibile dell'interlocutore, tanto più 'funziona'. Perché l'interlocutore, invitato a trovare un senso in ciò che non può avere un altro senso rispetto a quello che lui ha immaginato dicendo ciò che ha detto, può avere un piccolo sbandamento psicologico: chiedendosi quali altri maledetti sensi ci possono essere in ciò che di così banalmente lapalissiano ha appena finito di dire, e giustamente non trovandoli, si sente un po' in colpa, credendosi in difetto di 'intelligenza'. E va in dipendenza dal consulente.
Naturalmente il risultato non è garantito: dipende anche dal tipo di interlocutore; e poi, come sempre,ogni regola ha le sue eccezioni.
E naturalmente c'è dell'ironia in quello che sto dicendo.
Ma l'ironia, come sappiamo, non inventa la realtà: suggerendo un sorriso, la sottolinea.
Il dialogo che qui trascrivo sta in un articolo semiserio del 1993. Nel quale, come mi capita da una vita, mi divertivo a pungere con lo spillo l'ambiente in cui da sempre ho lavorato: quello della consulenza e della formazione.
Ogni riferimento anche all'oggi non è puramente casuale. (mf)
Una è quella che il manager rinfaccia al consulente nel finale del dialogo qui sotto: leggete e scoprirete.
L'altra è una domanda, posta all'interlocutore nel modo più serio e 'auto-riflessivo' possibile: «Sì, ma in che senso, scusi?».
Quanto più questa domanda è a valle di un'affermazione ovvia, chiara e indiscutibile dell'interlocutore, tanto più 'funziona'. Perché l'interlocutore, invitato a trovare un senso in ciò che non può avere un altro senso rispetto a quello che lui ha immaginato dicendo ciò che ha detto, può avere un piccolo sbandamento psicologico: chiedendosi quali altri maledetti sensi ci possono essere in ciò che di così banalmente lapalissiano ha appena finito di dire, e giustamente non trovandoli, si sente un po' in colpa, credendosi in difetto di 'intelligenza'. E va in dipendenza dal consulente.
Naturalmente il risultato non è garantito: dipende anche dal tipo di interlocutore; e poi, come sempre,ogni regola ha le sue eccezioni.
E naturalmente c'è dell'ironia in quello che sto dicendo.
Ma l'ironia, come sappiamo, non inventa la realtà: suggerendo un sorriso, la sottolinea.
Il dialogo che qui trascrivo sta in un articolo semiserio del 1993. Nel quale, come mi capita da una vita, mi divertivo a pungere con lo spillo l'ambiente in cui da sempre ho lavorato: quello della consulenza e della formazione.
Ogni riferimento anche all'oggi non è puramente casuale. (mf)
° ° °
Dialogo tra un Manager (M) e un Consulente (C).
M: «Va bene: e adesso, cosa faccio?».
C: «Non lo chieda a me».
M: «Bell'aiuto mi dà...».
C: «Il manager è lei. Io faccio il consulente: le ho dato gli strumenti, le ho insegnato il processo decisionale. Ora spetta a lei. Decida».
M: «Già. Ma...».
C: «... ma?».
M: «Non so, sono confuso...».
C: «Provi a ripensare alle cose che ci siamo detti. Oppure devo concludere che non sono riuscito ad insegnarle nulla?».
M: «Al contrario».
C: «E allora?».
M: «Temo proprio di aver imparato troppo».
C: «Non capisco».
M: «Vuole una prova?
C: «Provi a darmela...»
M: «Se lei fosse al mio posto...».
C: «Spiacente, dottore, ma non ci posso essere. Le ripeto, il manager è lei».
M: «Certo certo, lei fa il consulente. Ma facciamo finta, per un attimo, che sia lei il manager e sia lei a dover decidere».
C: «Una pura finzione...».
M: «Naturalmente. Ma soltanto per confermarle che non ho perso una parola del suo insegnamento. Allora: cosa farebbe?».
C: «Dipende».
M: «Appunto. Vede che ho imparato...? Lei non dice altro. Ed è quello che mi sto ripetendo da mezz'ora».
*** Massimo Ferrario, Dialogo tra un manager e un consulente, M. Ferrario, da Punture di spillo di un formatore, in 'SL', Rivista AISL, Associazione italiana studio del lavoro, n. 1, marzo 1993
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