Per far partire la produzione, ho portato da Verona una squadra di 20 persone, tra operai volontari e dirigenti. L’avvio è stato più complicato del previsto: ma loro hanno voluto fare, con me, turni di 20 ore di fila... Dall’altra parte, però, ho scoperto che gli italiani fanno fatica ad allargare la prospettiva. L’avventura negli States significa una città come Chicago, con il telefono pagato, la palestra - a cui ho iscritto tutti subito -, stipendio da trasferta. E l’emozione di una cosa nuova. Beh, su 1.200 dipendenti, non ho avuto la fila ma ho quasi dovuto spingere per trovarne 20... Certo, non posso dire che tutti gli italiani siano così, ci sono persone arrampicate sulle torri che dicono: vogliamo lavorare. Ma mi sarei aspettato un’esplosione di richieste.
[D: Come se lo spiega?]
Con un episodio avvenuto qualche giorno fa al mio direttore di stabilimento. «Mi ha chiamato una signora», mi ha raccontato. «Sono la mamma di Tizio: volevo dirle che non potete continuare a far lavorare mio figlio il venerdì sera. Questi ragazzi hanno la compagnia, devono socializzare... È stato giovane anche lei».
Ho avuto anche un dirigente, assunto per fare l’esperienza Usa. Dopo aver fatto per un po’ il pendolare Verona-Bartlett, mi ha detto: non ce la faccio a star lontano da casa, cambio lavoro.
C’è chi potrebbe dire: senti questo veronese strafottente, figlio di papà! Tutto vero, ma ricordo che in India ci sono milioni di persone che hanno fame, studiano come pazzi per diventare ingegneri, parlano un inglese perfetto, e arriveranno in Italia. Fra 20 anni faremo i conti. E non ce la caveremo perché siamo più ‘furbi’.
*** Gian Luca RANA, imprenditore, ad del gruppo Rana, colloquio con Edoardo Vigna, Un tortellino veronese alla conquista del West, ‘Sette’, 19 ottobre 2012.
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