C'è un disallineamento tra quanto la scienza sa e ciò che le imprese praticano. Ci sono tante scoperte delle scienze sociali - psicologia, neuroscienze, antropologia, filosofia, scienze della complessità ecc - che dimostrano tante cose su come siamo fatti e su come ci comportiamo, come apprendiamo, come motiviamo le persone, a quali condizioni possiamo creare qualcosa di nuovo e innovare.
Ebbene, spesso facciamo l’opposto. Non perché siamo stupidi o cattivi. A volte è proprio il buon senso o l’intuito che ci frega. Il buon senso era anche quello che ci faceva credere che la terra fosse piatta oppure che fosse il sole a girare intorno alla terra. Non sembra forse così? E il linguaggio conferma questo nostro modo di pensare: non diciamo forse che il sole sorge alle ore x e tramonta alle ore y, come se fosse il sole a muoversi?
Veniamo ora a noi. Come si governa una organizzazione, come si governano i comportamenti delle persone? Come motivarle? Come i temi della comunicazione e del marketing sono connessi a questi discorsi apparentemente solo teorici? La formazione serve proprio a questo: a mettere in discussione ciò che diamo per scontato, a farci nuove domande, ad aprire nuovi spazi e nuove possibilità, con immediati riflessi "pratici" sia nell'ambito del marketing che nei processi decisionali di ogni realtà organizzativa.
Consideriamo il caso della comunicazione: non è più un aspetto che riguarda solo gli specialisti del settore, ma è connessa alla strategia d’impresa. Cosa faccio, come lo faccio e come lo comunico sono la stessa cosa.
Una bottiglia di vino, per esempio, può costare € 2 , € 5, € 10, € 20, € 40, € 50, € 100 o anche di più. Cosa stiamo vendendo? Una bevanda, il frutto di anni di lavoro, una ricerca continua, un legame ritrovato con la terra, una esperienza unica, un sogno…? C’è un valore simbolico che va molto oltre al semplice succo d’uva spremuto: raccontare qualcosa del proprio prodotto e della propria fatica è strettamente connesso al proprio lavoro; non sono solo parole, ma è qualcosa di tremendamente concreto.
Solo apparentemente stiamo vendendo la stessa cosa (una bottiglia di vino) ed è fondamentale aiutare il cliente a riconoscere il valore di quello che facciamo, senza dare per scontato che lo capisca da solo.
Riflettere sulla comunicazione e sulla vendita, quindi, significa riflettere sul senso del proprio lavoro.
Comunicare non è solo trasmettere informazioni: le parole creano mondi e trasformano la realtà. Non si tratta di diventare dei “persuasori occulti” che manipolano i messaggi e fanno credere alle persone quello che vogliono. Se questo fosse vero, allora non conterebbe lavorare sul prodotto, sulla qualità, sull’identità. Ma è anche vero che se lavoro sulla qualità, questa non passa in modo “automatico”, dobbiamo aiutare le persone a comprenderne il valore. Ci sono alcune “trappole cognitive” e miti che ancora resistono ed è bene sfatare. Quante cose facciamo solo perché diamo per scontate, senza metterle in discussione o perché non pensiamo si possa fare in modo diverso? Contrariamente a quanto siamo abituati a credere le imprese (dalle piccole alle grandi, comprese le multinazionali) continuano a basare le loro decisioni, e la loro comunicazione su assunti obsoleti, non provati, e fondati più sulla tradizione popolare che sulla scienza.
In sintesi:
* Noi siamo le nostre risorse cognitive.
* Non possiamo utilizzare le vecchie conoscenze della passata civiltà industriale per affrontare la complessità contemporanea
* Abbiamo nuovi problemi e abbiamo bisogno di nuove conoscenze per affrontarli
* Se cambiamo modo di pensare, cambieremo anche i nostri comportamenti e le cose che facciamo
*** Stefano POLLINI, consulente, formatore, Sbottonare la competitività: le nuove scoperte delle scienze sociali per la comunicazione e la gestione strategica d’impresa, 'linkedin.com/pulse', 22 febbraio 2016, qui
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