Ascoltava le persone.
I loro problemi. Le loro nevrosi. Il loro dolore.
La pagavano per sentirsi meglio.
E lei svolgeva il mestiere
con competenza e attenzione.
Dicevano che sapeva aiutare.
Che poi uno capiva.
Magari non guariva,
ma reggeva meglio la vita.
Cercò la notizia.
Era sul giornale.
Poche righe, cronaca locale.
La lesse mentre era in studio
e aspettava il nuovo paziente.
Un vecchio. Dall’ultimo piano. L’altro ieri.
Uno dei soliti suicidi.
Di chi non trova nessuno
cui svelare la propria anima.
Aveva lasciato un bigliettino,
quasi a scusarsi, ma senza commiserarsi:
«Non ce l’ho col mondo,
solo non lo reggo più, questo mondo.»
Il campanello annunciò il paziente.
Lei si sforzò di cancellare le lacrime
asciugandosi il volto.
Si rassettò. Si sistemò velocemente il trucco.
E si alzò per andare ad aprire.
Altri cinquanta minuti.
Impeccabilmente professionale.
Come sempre.
Ascoltava le persone.
E pure stavolta
avrebbe dimenticato.
Suo padre.
*** Massimo Ferrario, Ascoltava le persone, 'losguardopoIetico', n. 100, 15 giugno 2013
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