lunedì 12 ottobre 2015

#SPILLI / Scatole, ma guardarci dentro non è romperle (M. Ferrario)

Bertrand RUSSELL, 1872-1970
filosofo, logico, matematico, attivista e saggista gallese


L'ennesima esperienza personale mi dice che dissentire non sta bene.

Certo, nei convegni, negli articoli e nei libri si inneggia al valore della differenza e alla ricchezza di contributi che può portare chi non sta nel coro: si dichiara apprezzamento per i comportamenti intelligentemente disallineati e si disprezza il fantozzismo, arrivando addirittura a stigmatizzare lo 'strisciare', anche nelle sue derivate più sottili della collusione, della compiacenza e dell'adulazione, che sembrano costituire l'unico nostro Pil mai in recessione. 
E si accusa, magari (per la verità non sempre), il conformismo di essere uno dei maggiori vizi culturali: con cui in Italia come altrove, ma soprattutto in Italia e specie oggi, conviviamo, più o meno bellamente, da anni. 
Forse, quando si punta il dito contro questo (per me ineguagliabile) 'peccato capitale', se ne coglie soprattutto l'aspetto estetico-stilistico. Eppureanche ad una fugace riflessione, non può sfuggire la sostanza: una prassi, crescente e invadente, che impania lo svolgimento efficace dei processi, nelle organizzazioni e nelle relazioni di convivenza, e che produce una sclerosi organizzativo culturale tanto più grave perché, all'apparenza, tutto sembra funzionare e lo stallo, o addirittura, la regressione, vengono nascosti dalla forma.

Comunque, al di là dei distinguo, nei momenti di ritualità, occorre essere 'in'.
E quindi tutti d'accordo: viva il confronto, il dialogo, la diversità di opinioni. 
Ma, tanto per restare in tema, è conformismo: abilmente mescolato con il politicamente corretto. 
E sono le solite parole che si dicono: spostano aria e volano via.

Nei fatti, il dissenso disturba: intralcia, frena, imbarazza. 
Spegne da subito, sulle labbra, il sorriso (auto)consolatorio che ormai deve essere la nostra divisa pubblica. E che vuole propiziare, appunto, consenso a priori e clima gradevole.
Una maschera da esibire all'esterno, ma forse, ormai, da non riporre neppure nell'intimità della casa, con chi ci è più vicino.
Una divisa che piace a chi vuole piacere perché piace troppo, appunto, a chi si è abituato a vederla indossata in ogni dove: forse anche perché così ognuno di noi, chi sorride e chi vede il sorriso di chi sorride, può subito distendersi e tranquillizzarsi ed evitare di pensare alla (eventuale) fuffa che (spesso) si accompagna al sorriso.
E che appunto, grazie al sorriso, ci viene inoculata senza che noi ce ne accorgiamo.

Non è rilevante raccontare l'episodio che mi riguarda: non è l'unico e non sarà l'ultimo.
Sarebbe l'ultimo se accettassi di 'non rompere più le scatole': come usa dirsi e come mi è stato consigliato.
E anche questa espressione è rivelatrice.

'Guardare dentro le scatole' (intese come idee, affermazioni, concetti, opinioni, punti di vista) che ognuno di noi (si spera) propone agli altri nei suoi scambi relazionali, equivale, per troppi, a 'romperle'. 
Perché, per troppi, le scatole è meglio prenderle per quello che appaiono: fiocchetto e incarto luccicante compresi. 
Naturalmente viene proclamato il contrario: per carità, siamo qui per mettere in discussione, problematizzare, criticare. 
Poi, però, se uno cerca di andare oltre l'apparenza e, esplorando il contenuto, 'dice la sua' (opinabile, ovviamente, ma argomentata e non coincidente con quella altrui), diventa fastidioso, spiacevole, irritante.
E questo, naturalmente, anche se non ha brutalmente gettato via tutto ciò che è dentro la scatola e men che meno ha aggredito o denigrato il proprietario della scatola stessa, ma ha solo esercitato un banale e semplice diritto di critica. 
Già, la parolaccia: 'critica'. Oibò.
E' così che ti riveli un rompiscatole.

Ma certo: lascia correre, non esporti, stiamo zitti, facciamoci i fatti nostri, in fondo che te ne importa, non rovinarti le relazioni, vivi e lascia vivere...

Pure così si coltiva il terreno per perpetuare, anche inconsapevolmente, la cultura in cui siamo.
Certo, l'inconsapevolezza eventuale porta colpa e non dolo. E la differenza non è di poco conto. Ma il risultato è lo stesso.
E se guardiamo bene dentro questa scatola, nella quale in questo caso siamo dentro tutti, io vedo i germi di una cultura ben nota: che ha un nome sgradevole, ma che dovremmo avere il coraggio di non rimuovere.
Si chiama cultura mafiosa
Sarò un rompiscatole, ma sono convinto di avere il consenso di (quasi) tutti: almeno stavolta, la scatola andrebbe proprio rotta.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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