Eleonora MAZZONI, Gli ipocriti, Chiarelettere, 2015
pagine 249, € 16,89, ebook 9,99
Decisamente un 'bel' libro: che sa prenderti e accompagnarti con piglio vigoroso per oltre duecento pagine senza mai una caduta di tono, alternando momenti di dolcezza toccante a stati intensi, anche di alta drammaticità.
Merito della trama, pur semplice e 'banale' nel suo riprodurre, specie nel mondo di oggi, una frequente quotidianità, anche nei suoi tratti più grigi o cupi, spesso riprovevoli; ma soprattutto merito della scrittura e dell'indagine psicologica sui personaggi e sull'ambiente in cui la vicenda si sviluppa.
Cattura infatti in modo particolare la capacità empatica dell'autrice, che sa regolare il linguaggio a seconda delle voci narranti: Manu, la ragazzina adolescente, o Amedeo, il padre; e, nel finale, la madre Sara, una figura laterale, solo accennata, che entra in scena con due pagine di una lettera che scuote per ciò che dice e per come lo dice.
Inoltre, e non è secondario, non lascia indifferente lo stile del linguaggio, costruito sui personaggi. Elaborato, colto, sostanzialmente sofisticato, quello di Amedeo, quando si racconta in prima persona e, prima autoindulgente (è la fase in cui 'se la racconta') e poi impietosamente autocritico, riflette sulla sua vita disordinata, moralmente disonesta, fondamentalmente (come da titolo del romanzo) 'ipocrita'.
Travolgente e prepotente, invece, il raccontarsi di Manu: che si esprime in modo ora spezzato e nervoso, ora introspettivo e ansimante, ma mai convenzionale, sempre irruento, vitale, incisivo, reso colorito da quello slang giovanile che trasmette un senso di insopprimibile spontaneità e di efficace (soltanto apparente) sciatteria.
Per lo spazio assegnatole, Manu è la protagonista della vicenda.
La sua turbolenza adolescenziale non è particolarmente originale: è accaduta, accade e accadrà a chiunque passi per quell'età. Ma il groviglio specifico delle sue contraddizioni, con le emozioni esasperate e il vissuto disorientato che chiederebbe di 'vivere' ma non sa come riuscirci, e, soprattutto, la tensione verso un assoluto che sia genuino e non sporcato dalla falsità e dalla incoerenza degli adulti, sono resi con un'efficacia straordinaria. E anche la descrizione dei rapporti con le coetanee, e del primo incontro di sesso, contribuiscono a schizzare un quadro quanto mai vivido e conturbante.
Sullo sfondo, ma centrale, il 'Movimento': una organizzazione cattolica, mai nominata ma ben riconoscibile nella realtà storica italiana, che fa da stampella psicologica anche a Manu, come ai tanti che, pur in buona fede, chiedono appartenenza e rassicurazione ai collettivi non solo (o forse neppure) per convinzione ideologica, ma soprattutto per non pensare e non decidere, facendosi coccolare dai gruppi e seguendone pedissequamente le istruzioni.
L'autrice vi dedica pennellate più che convincenti, come è di chi potrebbe parlare per esperienza diretta, tratteggiando anche figure minori (l'amica Paola, don Ettore) in modo indelebile.
Nel confronto con questi personaggi, la sorella Valeria e l'amica Linda, che conducono una vita libera e 'scomposta' (forse libera appunto perché 'scomposta') assurgono a modelli positivi: magari eccessivi, potenzialmente pericolosi quando non 'contenuti', tuttavia senz'altro (almeno) non 'ipocriti'.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
«
«Ma c’è Qualcosa di più grande da cui il mio essere ultimamente dipende. Ieri in bagno mentre mi asciugavo i capelli ho preso la scossa e in un attimo mi sono passati davanti migliaia di frammenti, fotogrammi, persone. C’eravate soprattutto voi, voi siete mio padre e mia madre, siete i miei amici, la mia compagnia. La mia vita. Il resto è veloce illusione o sterco. Grazie» e si mette a piangere.
Dio che scartavetramento di maroni. Sono del movimento, ok, ma Michela proprio non la sopporto. Quando scoppia a piangere, cioè sempre, mi si induriscono tutti i muscoli del corpo. Di lei non tollero né le lacrime perché sono fintissime, né il suono della voce perché è falso. (Eleonora Mazzoni, Gli ipocriti, Chiarelettere, 2015)
Lui non è mica un uomo unico. No. Sono due gemelli. Quello buono si schiera «per la tutela della famiglia, del matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso, dell’essere umano dal suo inizio alla sua fine». Però poi c’è l’altro gemello, quello cattivo, che non ama la mamma ed è adulterino, bigamo, trigamo e compagnia bella.
Che vomito. Se ne dovrebbe stare zitto a capo chino per il resto dei suoi giorni e pregare. Pregare Dio di perdonarlo per non avere combinato un cazzo nella vita, se non pregare Dio di perdonarlo. E invece parla a random: Cristo di qua, Cristo di là. Mi sfavano i suoi discorsi. A me quella parola, che continuamente nel movimento andiamo ripetendo, e che non è una parola tra le tante, è la parola per eccellenza, centro e fulcro di tutte le altre, ecco, sì, quella parola lì, Cristo, quando la pronuncia mio padre, non riesco ad abbinarla a un significato preciso. Invece detta da Paola è una pietra. E se è facile abbandonare un’idea, ad abbandonare Paola come si fa? È questa pietra che mi ancora e mi fa restare.
Perché io Paola la amo. Io a Paola le credo. Lei è il mio dio. Io la sua sacerdotessa. (Eleonora Mazzoni, Gli ipocriti, Chiarelettere, 2015)
«Valeria? Ti disturbo?» «Se ti sbrighi, no.»
«Boh. Magari ti faccio uno squillo dopo su Skype.»
«Sputa il rospo. Se mi chiami a Londra deve essere bello grosso. Lo sai che paghi tu, vero?»
Pausa.
«Secondo te quei due sono mai stati felici?» le chiedo.
«Chi?»
«Il babbo e la mamma.»
«No.»
«No?»
«Nel lager nessuno è felice. Se sei felice non stai nel lager, è chiaro.» «La mia domanda è un’altra: secondo te com’è stato il matrimonio di mamma e babbo?»
«Secondo me è stato un errore delizioso che hanno commesso insieme.»
«Cioè?»
«Niente, è una battuta di Lubitsch, sai quel regista adorato dal babbo?»
Ci penso un attimo prima di riprendere: «Insomma. Il babbo e la mamma secondo te sono stati felici sì o no?».
«Mi ricordo che da piccola li sentivo discutere. Sottovoce, in cucina. E quando uscivano facevano finta di niente. Ma io li sentivo lo stesso. Poi di colpo hanno smesso ed è stato peggio.»
«Perché non si sono separati?» chiedo io.
«Ti pare che nel lager ti puoi separare?»
Pausa.
«Magari finora sono rimasti insieme per noi.»
«Vorrai dire per loro, Manu. Ci vuole coraggio a iniziare una nuova vita, cosa credi?»
«Il Boss diceva che il matrimonio è il gesto sacramentale più valorizzatore dell’umano.»
«E secondo te nel mondo c’è qualcuno che crede in questa boiata?»
«Magari è una frase poco chiara ma non è una boiata. Cioè. Non mi pare.»
«Ma sì, invece. Il Boss si chiedeva anche: “Il matrimonio senza Dio, che razza di matrimonio è?”. Io a lui avrei chiesto: “Quando il matrimonio in Dio va a pezzi, che razza di Dio è?”. Dai, sono griglie. Per dare ordine a quello che invece non lo può avere, un ordine.» Pausa. «Lo conosci il suono di un acino d’uva passa?»
«No, Valeria. Mi manca.»
«Prova a sfregarne uno tra le dita vicino all’orecchio.»
Mia sorella è pazza. Cotta e ripassata nella follia più assoluta. Dal matrimonio all’acino d’uva, è la strada sicura per finire in manicomio.
«Non devi pensare a nulla, capisci? Via tutto il resto, ci sei solo tu, i tuoi polpastrelli e l’acino.»
Dai, Valeria è proprio strana. Troppo. L’acino d’uva, ma si può?! È forse questo che succede uscendo dal movimento? Disgregazione del cervello, personalità frullata, sentimenti sbriciolati.
«È che ci vuole pratica, esercizio e allenamento per essere felici» continua mia sorella. «Chissà. Se avessero ascoltato il suono dell’acino d’uva anche il babbo e la mamma sarebbero stati più contenti.»
Chissà. (Eleonora Mazzoni, Gli ipocriti, Chiarelettere, 2015)
»
Nessun commento:
Posta un commento