L’ottimismo aiuta a vivere meglio. Ma è vero che tiene lontane le malattie e favorisce la guarigione? È una credenza piuttosto radicata.
Un gruppo di studiosi della Danish Cancer Society coordinati da Naoki Nakaya ha cercato di far luce sulla questione attraverso un poderoso studio epidemiologico, che ha messo a confronto le storie cliniche e i profili psicologici di quasi 60 mila persone distribuite tra Svezia e Finlandia. La conclusione, pubblicata sulle pagine dell’American Journal of Epidemiology, non è rincuorante: dai dati sul cancro relativi al periodo compreso tra il 1974 e il 2004 non emerge alcun effetto dell’indole dei pazienti sulla probabilità di ammalarsi e sulla capacità di rispondere alle terapie. Il potere dei nostri pensieri, a quanto pare, è limitato.
Un gruppo di studiosi della Danish Cancer Society coordinati da Naoki Nakaya ha cercato di far luce sulla questione attraverso un poderoso studio epidemiologico, che ha messo a confronto le storie cliniche e i profili psicologici di quasi 60 mila persone distribuite tra Svezia e Finlandia. La conclusione, pubblicata sulle pagine dell’American Journal of Epidemiology, non è rincuorante: dai dati sul cancro relativi al periodo compreso tra il 1974 e il 2004 non emerge alcun effetto dell’indole dei pazienti sulla probabilità di ammalarsi e sulla capacità di rispondere alle terapie. Il potere dei nostri pensieri, a quanto pare, è limitato.
È quanto sostiene, osservando la questione da un punto di vi-sta sociologico, anche Barbara Ehrenreich nel suo saggio Smile or Die. How Positive Thinking Fooled America and the World, ovvero Sorridi o muori. Come il pensiero positivo si è preso gioco dell’America e del mondo (Granta Books).
L’autrice, che è anche specializzata in immunologia e ha dovuto affrontare in prima persona una terapia anticancro, critica quella che definisce «ideologia dell’ottimismo».
«Non sono favorevole ai catastrofismi, tuttavia è bene limitare gli eccessi del pensiero positivo». Perché ingannare se stessi è un errore, dice, e poi perché da punto di vista etico non è corretto insinuare che le sofferenze di una persona possano dipendere dai suoi pensieri.
Ehrenreich ha poi osservato gli effetti dell’«ottimismo obbligatorio» su diversi aspetti della vita americana, la finanza per esempio, un settore in cui, alla vigilia del crollo dei mercati finanziari del 2008, molti analisti vennero licenziati perché «pessimisti».
Anche il sorriso obbligatorio, richiesto in alcuni luoghi di lavoro, non sembra efficace.
Brent Scott e i suoi colleghi della Michigan State University hanno osservato per due settimane un gruppo di conducenti d’autobus. Ad alcuni hanno chiesto di sorridere sempre ai passeggeri. Agli altri è toccato un compito più complesso: concentrarsi su pensieri piacevoli e sorridere di conseguenza.
Gli autisti dal sorriso ‘obbligato’ risultavano più stressati e inclini all’assenteismo.
Ma poi anche gli autisti del ‘pensiero positivo’ riferivano sentimenti negativi.
«Certi espedienti» dice Scott «aiutano nel breve periodo, ma poi rischiano di allontanare le persone dalla realtà».
*** Gaetano PRISCIANTELLI, giornalista, Pensare positivo, ‘Il Venerdì di Repubblica’, 11 marzo 2011.
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