(dal web, via linkedin)
Lungi da me mettere in discussione il mostro sacro Steve Jobs.
Però.
Posso dire, senza per questo essere accusato di blasfemia, che la frase sopra citata, pure se letta in forma non letterale e con spirito aperto a comprendere anche il più profondo senso provocatorio, non mi piace?
Di più: la sento 'pericolosa'?
Di più: la sento 'pericolosa'?
Rileggiamola:
«Il mio compito non è di essere indulgente con le persone. Il mio compito è di renderle migliori».
«Il mio compito non è di essere indulgente con le persone. Il mio compito è di renderle migliori».
Attenzione.
Non: "Aiutare le persone a diventare migliori".
Ma (direttamente, arrogantemente): "Renderle migliori".
Cioè: "Compito mio. Lo faccio io".
Torno al tempo in cui Steve Jobs, in quanto capo incontrastato di Apple, manifestava una leadership, appunto, assai poco 'easy': come ormai confermato da un numero crescente di libri e testimoni.
Mi vengono alla bocca tre domande immediate.
Mi vengono alla bocca tre domande immediate.
* Prima domanda, fondamentale: le persone contrattavano con lui questo compito?
(E non mi si risponda che le persone, avendo accettato di essere assunte da lui e di lavorare con lui, di conseguenza... Perché la conseguenza non consegue: e se consegue deve essere esplicitata, sia pure all'interno di una relazione che si mantiene ineluttabilmente e potenzialmente 'pericolosa' per l'asimmetria ovvia che la caratterizza, in termini di potere, tutta a favore di un lui che è Lui).
(E non mi si risponda che le persone, avendo accettato di essere assunte da lui e di lavorare con lui, di conseguenza... Perché la conseguenza non consegue: e se consegue deve essere esplicitata, sia pure all'interno di una relazione che si mantiene ineluttabilmente e potenzialmente 'pericolosa' per l'asimmetria ovvia che la caratterizza, in termini di potere, tutta a favore di un lui che è Lui).
* Seconda domanda, ancora più cruciale: se no, con quale diritto lui pensava/pretendeva di migliorare le persone?
* Terza domanda: e con quali modi?
Avrò, dentro di me, una componente particolarmente acuta di ipersensibilità al possibile condizionamento dell'altro, ma immediatamente, di fronte a uno che mirasse a 'migliorarmi', reagirei male.
Malissimo, anzi (come infatti è accaduto).
Malissimo, anzi (come infatti è accaduto).
E reagirei malissimo proprio perché, fino ad argomento contrario (che dovrebbe essere assai convincente), ritengo così di reagire più che bene.
Almeno per me stesso.
Porto due motivi, che peraltro a me sembrano ovvi.
Almeno per me stesso.
Porto due motivi, che peraltro a me sembrano ovvi.
* Primo. Penso di dover essere io, e solo io, a decidere se migliorare me stesso. E di dover essere sempre io, solo io, a decidere se, eventualmente, qualcuno (e chi e quando e come) mi può aiutare in questo miglioramento.
* Secondo. Ma, in generale, cosa significa 'meglio'? E, in particolare, chi stabilisce qual è, o quale dovrebbe essere, il 'meglio' per me? Un altro, o forse, naturalmente, io?
* Secondo. Ma, in generale, cosa significa 'meglio'? E, in particolare, chi stabilisce qual è, o quale dovrebbe essere, il 'meglio' per me? Un altro, o forse, naturalmente, io?
Non è arroganza.
E' difesa, attiva e legittima, di me stesso dall'imposizione altrui.
E' consapevolezza, comprovata dall'esperienza non solo diretta e non solo mia, che spesso l'altro, quando ti vuol fare del bene, ti ha già fatto del male.
Magari senza volontà di nuocerti.
Anzi, con le migliori intenzioni: lo fa appunto per il tuo bene.
Ma è con le migliori intenzioni 'sull''altro (quando appunto non ci si relaziona 'con' l'altro) che si commettono le cose peggiori.
E' consapevolezza, comprovata dall'esperienza non solo diretta e non solo mia, che spesso l'altro, quando ti vuol fare del bene, ti ha già fatto del male.
Magari senza volontà di nuocerti.
Anzi, con le migliori intenzioni: lo fa appunto per il tuo bene.
Ma è con le migliori intenzioni 'sull''altro (quando appunto non ci si relaziona 'con' l'altro) che si commettono le cose peggiori.
Insomma: il tuo diritto si ferma al confine con i miei diritti.
E comunque: questo tuo diritto, per quanto mi riguarda, si esplicita unicamente, se credi di operare 'con' me a fin di bene (e magari successivamente, per questo, potrò pure, doverosamente, ringraziarti), in una (rispettosa) proposta: me la avanzi e io decido se accettare o rifiutare.
Chiunque tu sia.
Che ti chiami Steve Jobs. O pure Gesù Cristo.
Non è controdipendenza: quella di chi dice sempre no e, prigioniero del proprio narcisismo, non ammette la 'dipendenza funzionale' dall'altro, perché non riconosce, ad esempio, che può avere sempre qualcosa da imparare da lui in quanto non si finisce mai di imparare da chiunque.
Mi sembra soltanto una posizione psicologicamente sana.
Mi sembra soltanto una posizione psicologicamente sana.
Che vale per me.
E dovrebbe valere per tutti.
Particolarmente in un tempo in cui da tempo prevale una dipendenza patologica che si esprime a priori nei confronti di ogni autorità, vera e, più spesso, presunta.
E che va dall'ossequio aprioristico, all'adulazione strisciante, alla disponibilità a tappeto: quando non alla proposta, preventiva, di vendita della propria dignità a chi magari neppure ha fatto richiesta.
E dovrebbe valere per tutti.
Particolarmente in un tempo in cui da tempo prevale una dipendenza patologica che si esprime a priori nei confronti di ogni autorità, vera e, più spesso, presunta.
E che va dall'ossequio aprioristico, all'adulazione strisciante, alla disponibilità a tappeto: quando non alla proposta, preventiva, di vendita della propria dignità a chi magari neppure ha fatto richiesta.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
In Mixtura ark #Spilli di M. Ferrario qui
In Mixtura, sempre su Steve Jobs, un altro mio Spillo (Da Steve Jobs a buonismo, cattivismo, stronzismo) qui
Nessun commento:
Posta un commento