Un nuovo genere letterario si sta imponendo con grande successo: l’elogio della coda. Di colpo, dopo aver sentito bestemmiare in più lingue ogni volta che bisogna mettersi in fila anche solo per due minuti, ecco spuntare Oh! di ammirazione e applausi scroscianti a mezzo stampa. Fanno sette ore di coda per il padiglione Giapponese! Che bravi! Quattro per Padiglione Italia! Molto bene! Ora per spiegare questa tendenza, vediamo qualche tipo di coda e come lo storytelling corrente possa farla diventare gradevole.
Le code all’Expo. Trattasi di valutazione ideologica. Essendo diventata l’Esposizione Universale una disputa socio-antropologico-politica (la solita: furbi contro gufi), si è diffusa la furbata che l’Expo sia un successo sulla base dei biglietti venduti. E’ questo il motivo per cui da almeno un mese te li tirano dietro (il due per uno è il minimo, a volte sono veri e propri regali). Folle oceaniche, e code spaventose, salutate come la risposta della nazione al successo del grande evento. Dunque, si esalta la coda come sinonimo di successo (quattro ore! Sette ore! E giù battimani), mentre solitamente chiunque sta in coda è un po’ seccato dalla disorganizzazione che ha creato così tante code (su un flusso atteso, sbandierato, propagandato da mesi). Alcune prestigiose istituzioni come i parchi Disney, ma anche Gardaland, hanno risolto il problema alla vecchia maniera, cioè con la cara, intramontabile questione di classe: se paghi di più salti la fila (si chiama fast-pass, o se preferite, Capitalismo, il ricco passa davanti al povero). Ma resta il genere letterario dell’elogio della coda (titolo di un grande quotidiano: “Rassegnati alla lunga attesa ma felici”), dove si scambia un disagio dell’utente pagante per garrulo entusiasmo. (...)
Tra le code famose dei giorni nostri ci fu quella dei turisti fuori dal Colosseo chiuso per assemblea. Per qualche giorno un’assemblea sindacale fu trattata come l’Armageddon, la piaga purulenta che frena la nostra crescita. Contemporaneamente, si chiudono al pubblico musei e regge per “eventi privati”, o incontri istituzionali, e sulla fila dei turisti fuori, esclusi, nessuna notizia.
Ora il pericolo è che questa divertente narrazione che stare in coda è bello e aiuta le sorti del Paese si trasferisca ovunque. Uno scenario tipo: Franca la coda per la mammografia è lunga due anni! Oh, che bello, Gino, vedi quanta gente vuole fare gli esami? E’ segno che il paese riparte, che c’è entusiasmo! Naturalmente anche lì c’è il fast-pass: se paghi la mammografia la fai domani. Dove si dimostra che le ideologie sono tutt’altro che morte. Anzi, fanno la coda.
*** Alessandro ROBECCHI, giornalista e scrittore, Vietato imprecare come una volta: ora stare in coda è fighissimo, 'Il Fatto Quotidiano', 21 ottobre 2015
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