Marco REVELLI, "Contro e dentro.
Quando il populismo è di governo", Laterza, 2015
pagine 153, €14,00, ebook € 8,99
Una rilettura puntigliosa della politica italiana degli ultimi anni: dal craxismo al berlusconismo al renzismo. Un'analisi inflessibile, drastica e in profondità, condotta con lo spirito critico che è caratteristica di Marco Revelli e con gli strumenti della storia, della sociologia e della politologia che lui sa governare con abilità.
Ne esce un quadro aspro, impietoso e anche drammatico, raccontato con un periodare ampio e intenso, lontano dallo stile secco, e spesso superficiale, oggi di moda, e con un vocabolario fine e colto, che sa accendere l'anima di chi legge.
Certo, se si condivide la prospettiva di fondo, chiaramente di sinistra, con cui Marco Revelli mette mano allo scavo, tutto è conseguenziale; e si trovano ragioni note (però magari già dimenticate e comunque qui ottimamente formulate) o nuove (e individuate con sottile intelligenza), per confermarsi nella proprie posizioni.
Chi ha altre visioni difficilmente si farà convincere. E del resto dubito che tra le motivazioni dell'autore alla stesura del libro ci fosse un'intenzione pedagogica rivolta ad altri che non fosse il popolo vinto, disperso e frustrato della parte cui Revelli stesso appartiene.
Credo che l'effetto di libri come questo, su chi ancora, nonostante tutto, vuole continuare a pensare in direzione 'ostinata e contraria' sia ambivalente.
Da una parte la rassicurazione di non essere soli e isolati nel disallineamento, talvolta estremo e sempre più difficile da sopportare, produce un senso di relativo sollievo; dall'altra la lettura tanto argomentata e dettagliata dello stato di 'disarmo democratico' in cui ci troviamo ('post-democrazia' è l'espressione autorevole usata da anni, e non solo per l'Italia) sembra togliere speranza alla speranza, spingendo alla desolazione quando non alla depressione.
Anche perché, a rendere più chiuso e plumbeo lo scenario dentro cui sembriamo prigionieri, manca forse un capitolo, ancor più deprimente, nell'ottimo volume di Marco Revelli: un capitolo che tratti più direttamente di noi. Tutti. Che, come sempre e ovunque avviene, siamo certo condizionati da chi ci governa, ma siamo forse anche sempre dimentichi del potenziale di libertà di cui disponiamo ma non impieghiamo.
Perché i leader che io chiamo 'tossici', essendo tossici, fanno il loro mestiere 'intossicandoci'. Ma sta anche ai 'seguaci' smettere di essere 'seguaci' e non farsi più intossicare: è possibile su twitter, potremmo renderlo possibile anche fuori dal virtuale.
Se non avviene, la responsabilità di quel che (non) avviene non è solo dei vari Berlusconi e Renzi. Forse andrebbe recuperata la saggezza delle nonne: quando ricordavano (certo banalmente: ma talvolta un po' di banale aiuterebbe a ridurre le comode 'proiezioni') che 'chi è causa del suo mal pianga se stesso'.
Naturalmente perché questo avvenga è condizione indispensabile che il 'male' venga visto e consapevolizzato.
Marco Revelli non è l'unico che ce lo fa vedere, ma gli va riconosciuto che senz'altro ce lo fa 'vedere bene'.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Sperare a prescindere. Contro l’evidenza, che avrebbe dovuto dire che uno così non può farcela. Perché – la cosa si poteva vedere a occhio nudo fin d’allora – il personaggio non ha né le competenze. Né l’autorevolezza. Né la forza politica (ha seminato troppi cadaveri nella sua marcia forzata), per fare un miracolo del genere, sollevare tutto insieme – partito, istituzioni, paese – come fossero un unico fardello. Di Craxi ha l’arroganza e la presunzione, ma non il profilo da politico di lungo corso (l’uomo che aveva ridato orgoglio a un Psi umiliato dal compromesso storico) e l’aura dell’Internazionale Socialista intorno, oltre che il partito nel pugno. Di Berlusconi ha lo stile da istrione e la ciarlataneria che piace a molti italiani, ma non il capitale monetario e umano che Mediaset e Publitalia (con qualche compartecipazione quantomeno opaca) assicuravano. Dei precedenti leader non è neppur degno del confronto. Aveva, in compenso, fin dall’inizio un’unica risorsa su cui puntare: il mito della velocità. Mito marinettiano (un po’ frusto per la verità, un secolo più tardi). E un unico profilo da presentare: quello che Walter Benjamin aveva chiamato il carattere del distruttore (quello che «conosce solo una parola d’ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia»; e per il quale si può dire che «l’esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso»). Come nel caso della nuova tecnologia usata in America per produrre idrocarburi frantumando gli strati schistosi, anche Matteo Renzi pratica, programmaticamente, il fracking, generando energia dalla frantumazione di tutto ciò che gli sta sotto, a cominciare dal partito che l’ha portato fin sulla cima della piramide, e dalla macchina dello Stato. Ma come gli ambientalisti ci spiegano che il fracking inquina le falde, così il renzismo rischia di inquinare l’intero spazio pubblico. Accelerando non la soluzione, ma la crisi stessa. Rischiando di lasciare tutti – dopo aver fagocitato tutto – «nudi alla meta». O meglio, nudi di fronte al potere, dopo la distruzione – realizzata con sistematicità, bisogna dargliene atto –, dei diversi corpi intermedi che tradizionalmente avevano fatto da filtro e contrappeso, delle strutture di rappresentanza politica e sociale, delle culture politiche capaci di aggregare individui e frammenti sociali, del suo stesso partito. In una parola di quella complessità organizzata che da sempre ha garantito un livello, sia pur minimo e insufficiente, di pluralismo e di articolazione in una società complessa, preservandola dal rischio e dalla tentazione – mortale nell’iper-modernità che viene – dell’«uomo solo al comando» di fronte a una società di atomi competitivi. (Marco REVELLI, Contro e dentro. Quando il populismo è di governo, Laterza, 2015)
Il risultato è stato l’occupazione pressoché completa dell’intero spazio politico da parte di populismi senza sinistra, verticalizzati personalisticamente intorno alla triade Salvini-Grillo-Renzi; e, marginale, una residua sinistra senza popolo, talmente magmatica e confusa da apparire ininfluente. Se tale resterà, allora la partita italiana si giocherà tra le opposte prospettive di chi si illude di poter evadere dalla trappola europea in nome di un neonazionalismo sovranista e isolazionista, e di chi vi si accomoda dentro in posizione subalterna. In entrambi i casi continuando a subire i processi di crescente disgregazione della coesione sociale e di riproduzione sempre più allargata delle diseguaglianze. Tertium, sembrerebbe, non datur. A meno che, per uno di quei soprassalti genetici che a volte sanno produrre le specie in via di estinzione, una qualche sinistra scopra un proprio orgoglio di esistere. Ma in questo caso non potrà ridursi semplicemente a una replica. Si dovrebbe trattare di una sinistra davvero nuova. (Marco REVELLI, Contro e dentro. Quando il populismo è di governo, Laterza, 2015)
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