Qualche tempo fa un amico mi ha spedito un articolo sulla ormai attestata inefficacia del brainstorming. Ammetto di avergli risposto, con una certa antipatica supponenza, di aver affrontato il tema nel 2011 (ahah, io l’avevo già detto!), e di avere, negli anni successivi, aggiornato il testo aggiungendo, nei commenti, i nuovi risultati di ricerca che mi capitava di intercettare.
Il fatto che sul numero 1105 di Internazionale si torni ancora sull’argomento (qui il testo originale, in inglese) mi fa però capire che, oltre a essere supponente, sono anche stata troppo sbrigativa. In realtà, ci sarebbe una bella domanda a cui vale la pena di rispondere: come mai il brainstorming continua a essere praticato anche se la sua inefficacia è ampiamente dimostrata?
Intanto riassumo i termini della questione: il brainstorming è una tecnica per la produzione di idee inventata negli anni quaranta dal pubblicitario Alex Osborn. Rompe la rituale gerarchia delle riunioni aziendali incoraggiando l’interazione spontanea. L’obiettivo è produrre molte idee, senza giudizio o censure: i partecipanti possono sentirsi liberi di concepire le soluzioni più assurde ed esagerate.
Gli assunti di base del brainstorming sono questi: i gruppi producono più idee dei singoli. La critica è paralizzante. Ma si tratta di assunti contraddetti da moltissime ricerche: le persone sono più produttive se lavorano da sole. Facendo lavorare contemporaneamente gruppi e singoli individui sul medesimo tema, è facile verificare che i singoli producono più idee, e idee migliori.
D’altra parte, dopo il notissimo esperimento di Asch (guardate il video) tutti conosciamo i pericoli del conformismo di gruppo: e quindi non è detto che i gruppi, anche i più “spontanei”, siano davvero l’habitat migliore per lo sviluppo delle idee davvero originali.
Inoltre, le critiche altrui servono, eccome: aiutano a buttar via rapidamente le idee inefficaci. Ne parla il New York Times il quale, tra l’altro, ricorda che le persone introverse, che spesso sono particolarmente creative, difficilmente si trovano a loro agio in una situazione di brainstorming.
Il New Yorker nel 2012 pubblica un ampio articolo intitolato Il mito del brainstorming. Ricorda che le prime evidenze contrarie emergono già nel 1958. Segnala che, invece, il confronto tra individui esperti, l’interscambio di idee e competenze e la vicinanza fisica sono potenti acceleratori per la creatività. È il caso del Building 20 del Mit, uno scomodo edificio affollato di scienziati di discipline diverse, dai linguisti agli ingegneri nucleari, diventato una leggenda in termini di innovazione prodotta.
E rieccoci al punto: come mai si insiste con il brainstorming? Credo che ci siano quattro tipi di motivi. (...)
1) Il brainstorming è sì poco efficiente. Ma è molto seducente. (...)
2) …però è vero che per risolvere i problemi bisogna affrontarli. (...)
3) E poi oggi lavorare in gruppo è un imperativo. (...)
4) Infine: il brainstorming virtuale offre buone opportunità. (...)
1) Il brainstorming è sì poco efficiente. Ma è molto seducente. (...)
2) …però è vero che per risolvere i problemi bisogna affrontarli. (...)
3) E poi oggi lavorare in gruppo è un imperativo. (...)
4) Infine: il brainstorming virtuale offre buone opportunità. (...)
*** Annamaria TESTA, pubblicitaria, Più cervello e meno tempesta nelle riunioni, 'internazionale.it', 15 giugno 2015
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