(dal web, via linkedin)
Elenco le reazioni a caldo che mi ha provocato la lettura di questa citazione.
(1) - Mi sarebbe piaciuto vedere una firma sotto il testo, o comunque una indicazione della fonte: specie quando si fanno affermazioni drastiche, sparando a zero con chi ha altre opinioni, il nome e cognome non sono solo un indice di buona educazione: sono la condizione indispensabile per dimostrare che ti sai esporre e ti prendi la responsabilità conseguente di ciò che affermi con cotanta sicurezza (fondamentalista).
(2) - Mi ha infastidito il tono: arrogante, supponente, tipico di chi è sicuro di essere nel 'solo giusto possibile'. E appagato dal navigare, applaudito, sull'onda del momento.
(3) - Il proverbio 'chi si contenta gode', come tutti i proverbi, va preso con le molle; ma, come tutti i proverbi, contiene, appunto in quanto tale, un grano di saggezza che solo la nostra hybris, stolta e rozza, può non vedere.
Siamo tanto ossessionati dal bisogno di felicità che crediamo che la felicità 'è' (neppure: 'sia', congiuntivo; ma indicativo presente, con sottinteso un 'deve essere') un diritto. E spasimiamo per ottenerla.
Non appartengo ai fan della felicità. Però mi sembra ovvio che se davvero vi aspiriamo (e per certi versi è pure sano aspiravi), non essere sempre alla rincorsa di ciò che non abbiamo aiuta a propiziarla, la felicità.
Desiderare è cosa buona e giusta. E anche segno di vitalità.
Ma saper godere ('accontentarsi') anche del presente, senza soffrire perché non abbiamo, o non siamo, ciò che vorremmo, e quindi senza necessariamente pensare-a, e vivere-nel, domani, attendendo, o dandoci ossessivamente da fare per ottenere ciò che ci sogniamo ogni notte e di cui sentiamo la mancanza, è una virtù che dovremmo recuperare.
Non c'è bisogno di richiamare buddismi vari o la nuova moda della mindfulness.
Basta un po' di intelligenza. Logica.
Può darsi che qualche volta 'chi si contenta muore'.
Ma è altrettanto certo che chi non si contenta, stressato com'è, non vive.
E non basta, poi, un corso sulla gestione dello stress o un manuale di aiutoaiuto che ti abbindola con le 10 mosse giuste per non soffrire più.
Forse, la soluzione, la nonna, con i suoi proverbi, la conosceva.
*** Massimo Ferrario, Chi si contenta non muore, per Mixtura
In Mixtura ark #Spilli di Massimo Ferrario qui
Siamo tanto ossessionati dal bisogno di felicità che crediamo che la felicità 'è' (neppure: 'sia', congiuntivo; ma indicativo presente, con sottinteso un 'deve essere') un diritto. E spasimiamo per ottenerla.
Non appartengo ai fan della felicità. Però mi sembra ovvio che se davvero vi aspiriamo (e per certi versi è pure sano aspiravi), non essere sempre alla rincorsa di ciò che non abbiamo aiuta a propiziarla, la felicità.
Desiderare è cosa buona e giusta. E anche segno di vitalità.
Ma saper godere ('accontentarsi') anche del presente, senza soffrire perché non abbiamo, o non siamo, ciò che vorremmo, e quindi senza necessariamente pensare-a, e vivere-nel, domani, attendendo, o dandoci ossessivamente da fare per ottenere ciò che ci sogniamo ogni notte e di cui sentiamo la mancanza, è una virtù che dovremmo recuperare.
Non c'è bisogno di richiamare buddismi vari o la nuova moda della mindfulness.
Basta un po' di intelligenza. Logica.
Può darsi che qualche volta 'chi si contenta muore'.
Ma è altrettanto certo che chi non si contenta, stressato com'è, non vive.
E non basta, poi, un corso sulla gestione dello stress o un manuale di aiutoaiuto che ti abbindola con le 10 mosse giuste per non soffrire più.
Forse, la soluzione, la nonna, con i suoi proverbi, la conosceva.
*** Massimo Ferrario, Chi si contenta non muore, per Mixtura
In Mixtura ark #Spilli di Massimo Ferrario qui
Perfettamente d'accordo.
RispondiElimina"Accontentarsi" è una parola sempre complessa da usare, per questo credo vada usata delicatamente e non in un proverbio che la fissi su pietra senza possibilità di interpretazioni dinamiche.
Una persona mi fece riflettere tempo fa sulla doppia valenza di questa parola bistrattata: positiva, se pensiamo che indichi il trovare contentezza in qualcosa; ma negativa, se la vediamo come un farsi andare bene "a forza" qualsiasi cosa.
Come ha spiegato benissimo lei nel suo discorso, credo che dovremmo utilizzare questa parola con più garbo, trovando il giusto equilibrio del suo altalenante significato in ogni situazione della vita. Tuttavia l'equilibrio è qualcosa che facciamo tanta fatica a comprendere noi esseri umani, non trova? Soprattutto se si tratta di felicità.
Grazie per la riflessione mattutina.
Sara
Grazie a lei, Sara.
RispondiEliminaHa aggiunto al mio pensiero parole preziose: chiare e precise.
(1) Sui proverbi - I proverbi, si dice, sono la saggezza dei popoli: e bisognerebbe prestar loro più 'rispetto'. Etimologico, intendo: cioè prenderli in considerazione senza superficialità e con uno sguardo intenso. Lo suggerisce il verbo 'respicio': 'ri-osservare intensamente'.
Tra l'altro, come appunto avviene per ciò che ha a che fare con la 'sapienza' (vedi ogni testo appunto 'sapienziale'), sono spesso contraddittori: nel senso che, ad esempio, accanto a 'tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino' c'è pure 'chi non risica non rosica'.
La realtà infatti 'è' contraddittoria. Le scelte sono nostre, ma nella realtà c'è tutto. Perché la realtà è ossimorica: due polarità che coesistono. Siamo noi che diciamo che 'tertium non datur': mettendo l'aut-aut dove invece c'è, come dato strutturale, l'et-et. Nella realtà esiste il terzo, il quarto e via così, all'infinito.
(2) - Sulla 'contentezza'. - L'etimologia ci ricorda il limite: è 'contento' chi è 'contenuto': cioè sta dentro il limite, accoglie il limite in sé. Oltre il limite c'è l'arroganza di chi, sapendo di essere o sentendo di essere impotente, si crede, e si fa credere, onnipotente. Un problema ben consapevolizzato dagli antichi. Sarebbe utile che ci ricordassimo l'insegnamento dei Greci, spesso ben rappresentato nelle loro tragedie: la 'hybris', la dismisura, andrebbe ri-scoperta e ri-conosciuta. Almeno qualche volta tenuta in considerazione. Ma non è il tempo. E quando arriverà il tempo, speriamo di essere ancora in tempo.
Grazie, quante cose che ha da insegnare. Magari fossero tutti sensibili alle sue riflessioni, avremmo più idee e meno vuote lamentele.
RispondiEliminaPer carità, Sara: arrossisco..!
RispondiEliminaE' vero che quanto scrivo è frutto di un po' di anni (quasi una quarantina, ahimè: ed è colpa dell'anagrafe...) di (ri)pensamenti vari, anche erratici, facendo il formatore/consulente in giro per le imprese e divertendomi a curiosare tra libri e giornali. Però assicuro: con un po' di cervello (ce l'abbiamo tutti: il punto è se vinciamo la pigrizia e lo vogliamo usare più di quanto facciamo o preferiamo essere sempre 's-pensierati'...), chiunque può fare certe riflessioni.
Per dire: non sono assolutamente un 'etimologo', ma da almeno vent'anni, anche per (far) capire meglio parole e concetti che esprimo, mi diverto a cercare sul dizionario. E poi, oggi, c'è pure google che aiuta. Si trova tutto: basta cercare.
Insomma, non faccio demagogia: credo davvero che tutti possano di più di quanto fanno e credono di potere.
E dio sa quanto ci sia bisogno di un 'pensiero critico' più solido e diffuso. Che poi, l'aggettivo 'critico', accanto a 'pensiero', è pure pleonastico: se non è critico, che pensiero è...?
Ancora grazie.