sabato 17 ottobre 2015

#FAVOLE & RACCONTI / Grande Dirigente e cugino Contadino (M. Ferrario)

Lui, il Grande Dirigente, era disperato.
Come avrebbe potuto lasciare l’azienda per una settimana? 

Eppure il medico era stato drastico.
Nulla di organico: solo uno stato psicologico acuto di stress accumulato nel tempo. Se non si fosse fermato, allora sì che la cosa sarebbe diventata grave.
La moglie era da mesi che lo stimolava: 
«Ti prego, caro, vai dal medico, vedrai che una soluzione si trova, ci sarà pure qualche rimedio...». 
In effetti, oltre che preoccupata per la salute del marito, era interessata: da quanto tempo lui non riusciva a fare più l’amore con lei? E non solo perché spesso era fuori Italia, a negoziare il futuro dell’azienda, ma perché anche quando c’era lui, diciamo che... qualcos’altro mancava.

Il Grande Dirigente aveva cercato di resistere alla prescrizione medica. E si era immerso nuovamente nel lavoro: fagocitato dalle riunioni e dai viaggi. 
Ma poi, la moglie aveva fatto valere le sue ragioni di coniuge e aveva vinto. 
Gli aveva ricordato di suo cugino, il Contadino. 

Non si erano più visti dal matrimonio, quando lui gli aveva fatto da testimone. 
Aveva una fattoria in Toscana. 
Campi, animali, vino, olio. Una vita sana. 
Il cugino lo diceva sempre: per nulla al mondo avrebbe lasciato quel paradiso.

«Già», aveva pensato il Grande Dirigente, «potrei andare qualche giorno in campagna da lui». 
E così, detto fatto, era partito.

Il cugino Contadino lo accolse con sorpresa. 
Il Grande Dirigente si presentò con una faccia triste, inconsolabile. 
«Sapessi che mi è successo...». 
E gli raccontò della visita medica. 
«Mi hanno detto che devo assolutamente rilassarmi, che devo stare almeno una settimana senza lavorare... Via dall’azienda, capisci?». 
Il cugino lo tranquillizzò: 
«Credevo ti fosse successo chissà cosa! In fondo, devi solo riposarti. E questo è il posto giusto. Dovrei ringraziare il tuo medico: quanti anni sono che non ci vediamo? Sono contento che tu sia venuto».

Il cugino era di modi spicci e sinceri. Era davvero felice di questo arrivo inaspettato. 
«Naturalmente, niente computer: spero che non te lo sarai portato dietro...». 
Il dirigente guardò la borsa, che aveva depositato in camera accanto alla valigia, come uno scolaretto preso in flagrante. 
«Ho capito, disse il cugino, questa la requisisco io. Vedrai che si sopravvive anche senza essere connessi. Anzi, è appunto questo il segreto per vivere: ci si disconnette col mondo e ci si connette con se stessi. Se non te l’ha detto il medico, te lo dico io che faccio il contadino».

Il Grande Dirigente abbozzò. 
Il cugino riprese: «Ora sistemati le cose in camera, con calma, e comincia ad ambientarti. Poi andiamo a fare un giro per i campi».

La sera, accanto al fuoco del camino, il Grande Dirigente era già in ansia. Gli mancava la sua agenda, sentiva nostalgia dei suoi problemi. 
«Dammi qualcosa da fare per domani», pregò il cugino. «Altrimenti impazzisco. Non posso star qui con le mani in mano». 
Il cugino provò, senza convinzione, a contrastarlo. 
«Goditi i tempi della natura: guarda gli spazi, l’orizzonte, il sole, il cielo, la terra...». 

Era un altro mondo, un altro linguaggio. 
Il Grande Dirigente capiva ma non riusciva a comprendere. 
«Sono abituato a fare, non a contemplare. Ho bisogno di obiettivi, risultati». 
«Ma esistono anche i colori...», ribatteva il cugino. 
«Tu non sai quante sfumature ci sono nel verde di questa stagione. Eppure basta osservare. E imparare. Anche questo è un risultato». 

Il cugino sapeva che era fiato sprecato: il Grande Dirigente era di quelli che avevano in bocca l’espressione, che lui considerava la quintessenza della volgarità, della ‘trincea del fare’. Se ne vantava. E divideva il mondo tra i suoi simili, i ‘giusti’, e gli altri, i perditempo: di fatto, gli esseri inutili. 

«Allora», insistette il Grande Dirigente, «mi trovi un lavoro per domani o vuoi che faccia le valigie e me ne torni in azienda?». 
Il cugino desistette, scuotendo la testa. 
«Io domattina, come ogni mattina, vado al mercato del paese. Mi alzo presto e tornerò quando il sole è alto. Poi... ». 
Il cugino era imbarazzato. 
«Poi?», lo incitò il Grande Dirigente. 
«In questa stagione, in campagna, si concimano i campi. Mi ci vorranno due giorni a spargere il letame». 
«Concimare i campi?», cantilenò il Grande Dirigente, come per essere sicuro di aver capito bene. 
«Sì, mi spiace», si scusò il cugino. 
«Non ho altro da offrirti. Se tu proprio non resisti a riposarti, puoi cominciare a concimare. Trovi tutto nel capannone». 
«No problem, caro cugino». 
Il Grande Dirigente era soddisfatto. 
«Tu vai pure al mercato che al resto penso io».

Così avvenne. 
Verso mezzogiorno della mattina seguente, il cugino stava rientrando dal paese. Per arrivare alla fattoria, prese il sentierino che costeggiava buona parte del suo terreno. 
Ettari su ettari. 
Guardava e riguardava. Non ci credeva. Era tutto perfettamente concimato. Anche l’odore buono di letame confermava. 

Si precipitò a cercare il Grande Dirigente. 
Lo trovò che girava irrequieto per casa. 
«Ma è tutto concimato!», gli disse. 
«Certo. Non era questo che volevi?», domandò il Grande Dirigente. 
«Ma come hai fatto? Quanta gente hai assoldato per fare tutto in così poco tempo?». 
«Diciamo che mi sono dato da fare. E se uno non sta a girarsi i pollici, e per giunta ci mette dell’entusiasmo, la produttività ci guadagna. E poi, hai mai sentito il vecchio proverbio che chi fa da sé fa per tre? Per la verità nelle aziende oggi qualcuno se l’è dimenticato, con tutta la teoria sulla delega che viene fatta circolare. Ma io sono della scuola antica.» 
«Ma…», il cugino non riusciva a trovare le parole. 
«Chiudi la bocca. E fatti passare la meraviglia», scherzò il Grande Dirigente. 
«Piuttosto, non stiamo qua a crogiolarci sui risultati, pensiamo al futuro. Non saranno finiti qui i lavori della campagna. Cosa faccio domani?». 

Il cugino tentò di raccapezzarsi. 
Si ricordò delle patate. 

«Se proprio hai deciso di continuare a darmi una mano, ci sarebbero le patate. In cantina».
«Le patate, dici? Le debbo pelare?». 
«No», sorrise il cugino». Ed ebbe un flash nella memoria: "Quante ne ho pelate quando ho fatto il servizio militare in cucina…!" 
«Si tratta di dividerle a seconda della pezzatura e poi di metterle in cassetta. A fine settimana le porto al mercato col furgoncino. Ti va?». 
Il Grande Dirigente non rispose.
E il cugino ebbe l’impressione che come un’ombra fosse passata, velocemente, sul suo viso. 

La mattina seguente il cugino tornò dal mercato che il sole era già alto da parecchio. 
Si aspettava di vedere il Grande Dirigente in giro per i campi, magari spazientito per aver terminato troppo presto il lavoro. Ma non lo vide. 
Lo chiamò, lo richiamò: con voce sempre più alta. 
Niente. 
Cominciò a temere. 
Corse verso la cantina, scese i gradini a due a due. 
Il Grande Dirigente era in un angolo. 
Immobile. 
Seduto.
Un mucchio enorme di patate, di diversa pezzatura, giganteggiava ancora per metà stanza. 
Vicino al Grande Dirigente, appena sei cassette, tre piene e tre ancora vuote per metà: una per le patate piccole, una per le medie e una per le grandi.

Lui, il Grande Dirigente, aveva una patata in mano. 
La contemplava: assorbito. 
In silenzio. 
Sembrava non aver visto avvicinarsi il cugino. 
Il cugino temette un coccolone. 
Gli chiese subito, affannato, se si sentiva male. 
Il Grande Dirigente lo zittì con un cenno della mano. 
«Tutto bene, tutto bene». 
Il cugino, rinfrancato, si guardò in giro. 
Patate dappertutto, ancora da dividere. 

«Mi hai dato retta, allora. Ti sei riposato, stamattina, e ti sei messo al lavoro da poco…».
«Caro cugino, per la verità sono sceso in cantina appena tu sei partito per il mercato». 

Il cugino non capiva. 
«Ma allora…?». 
«Allora cosa?» ripeté il Grande Dirigente, un po’ spazientito. 
«Se non te la sei presa con comodo…». 
«Per tua informazione, caro cugino, sappi che io non me la prendo mai con comodo. Ho lavorato e sto lavorando. E se tu non mi facessi perdere tempo lavorerei anche meglio».

Il cugino pensò ai campi concimati della mattina precedente. 
«Abbi pazienza, cugino Dirigente. Tra i due lavori, quello di ieri e quello di oggi non c’è paragone in termini di tempo… Allora, per carità, io non voglio certo valutare la tua produttività, ma…»
Il Grande Dirigente, che aveva la patata in mano da qualche minuto, la pose lentamente in terra, in attesa di scegliere la cassetta in cui riporla. 
Poi alzò gli occhi e fissò il cugino.

«Ma davvero, caro cugino, vuoi sapere come stanno le cose?». 
Il cugino era impaziente. 
«Certo». 

Il Grande Dirigente fece cenno al cugino di avvicinare le orecchie alle sue labbra. 

«E’ un segreto?», chiese il cugino. 
«Sì, ma lo sanno tutti. Riguarda me e tutti quelli che hanno un ruolo simile. Dirigenti, ci chiamano. Vedi, finché si tratta di raccontar palle e spandere in giro quel che ho sparso ieri sui campi, io sono a mio agio, perché è il mio mestiere. Il problema nasce quando debbo prendere una decisione: patata piccola, media o grande?».

*** Massimo Ferrario, Il Grande Dirigente e il cugino Contadino, 2013-2015, per Mixtura - Rielaborazione di una vecchia e famosa barzelletta, diffusa anche via internet. 


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