Un conto è essere buoni. Un altro è essere troppo buoni. Ed essere in balia degli altri. E delle loro esigenze. Trascurando le proprie.
Io lo sono stato. Non ero capace di dire di no. Anche se ero nel mezzo di un lavoro delicato, bastava che un collega - non il capo, un collega - mi chiedesse un favore perché mollassi tutto e mi dedicassi subito a lui. Lo facevo per un malinteso spirito di solidarietà: pensavo che se sei una persona buona devi mettere gli altri prima di te stesso.
E lo facevo per paura: temevo che un mio "no" mi avrebbe procurato nemici. O che comunque mi avrebbe fatto perdere amici. E io avevo un gran bisogno di avere tanti amici. E di sentirmi apprezzato. Voluto. Amato.
Non che ora mi sia passato il desiderio di essere benvoluto: fa piacere a tutti. Ma ho capito che se dici sempre di sì a tutti, anche quando non hai nessuna voglia di fare ciò che ti chiedono, stai dicendo di no alla persona per te più importante: te stesso. Vai contro le tue esigenze. Contro il tuo bene. Ti senti in balia degli altri. Un debole. E perdi autostima.
Anche gli altri perdono stima in te. Non pensano che tu sia un santo; pensano invece che sei un pusillanime. Un piacione. Uno che non ha le palle di rifiutare.
Quando iniziai a dire di no i colleghi, all'inizio, erano stupiti. "Che ti è preso?", mi rimproveravano. "Ci hai sempre aiutati, tutto a un tratto sei diventato stronzo?" Ma poi accettarono. Capirono che le mie concessioni non erano dovute, ma erano dei favori. E che se i favori diventano obbligatori non sono più favori. Così mi chiesero meno piaceri. E mi ringraziarono di più quando accettavo di farli.
*** Mario FURLAN, giornalista, saggista, docente italiano, esperto di coaching, fondatore e leader dei City Angels, Ho capito perché è importante dire no, 'Huffington Post Italia', 15 ottobre 2105, qui
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