Allora: è la pace o la guerra lo stato normale dell’umanità? E la vita, quale noi vorremmo che fosse, desidera la guerra o la pace? C’è una differenza di risposta a quella domanda a seconda che siano gli uomini o le donne, i giovani o i vecchi, i deboli o i potenti, a rispondere?
Sí, una differenza c’è. Le donne odiano la guerra molto piú degli uomini, i deboli molto piú dei potenti, i vecchi molto più dei giovani e la ragione è evidente: chi preferisce la pace non aspira al potere. Lí è la motivazione e lì si gioca la partita: il potere.
In un regime di matriarcato i guerrieri erano amazzoni. C’è di che stupirsi? Da qualche tempo accade spesso di incontrare donne nella polizia di Stato, nell’amministrazione di imprese, nella vigilanza urbana, nella magistratura giudicante e nella politica. Quando questo avviene quasi sempre sono le donne a esercitare il potere all’interno delle strutture in cui operano e all’esterno verso i cittadini o i concorrenti.
Questo fenomeno relativamente recente ha un aspetto positivo: l’eguaglianza dei generi. Ma comporta inevitabilmente il desiderio del potere esteso alle donne.
È possibile, anzi sperabile, che il potere gestito dalle donne sia da esse esercitato per realizzare il bene degli altri, un valore femminile di natura maternale. Ma non è sicuro che sia questo lo sbocco di questo processo. Accade già ora che la donna inserita nelle strutture di comando sia contagiata dai valori maschili, che tendono a finalizzare la conquista del potere al suo mantenimento e al suo rafforzamento, rinviando il bene comune a data da destinarsi, cioè mai.
La questione, osservata da quest’aspetto, mi porta a convalidare che il potere è il regolatore supremo della vita associata e per conseguenza che la guerra è lo stato «normale» della nostra specie, temperato da intervalli di pace e di fraterna solidarietà.
*** Eugenio SCALFARI, 1924, giornalista, saggista, scrittore, fondatore de 'la Repubblica', L'allegria, il pianto, la vita, Einaudi, 2015
Sí, una differenza c’è. Le donne odiano la guerra molto piú degli uomini, i deboli molto piú dei potenti, i vecchi molto più dei giovani e la ragione è evidente: chi preferisce la pace non aspira al potere. Lí è la motivazione e lì si gioca la partita: il potere.
In un regime di matriarcato i guerrieri erano amazzoni. C’è di che stupirsi? Da qualche tempo accade spesso di incontrare donne nella polizia di Stato, nell’amministrazione di imprese, nella vigilanza urbana, nella magistratura giudicante e nella politica. Quando questo avviene quasi sempre sono le donne a esercitare il potere all’interno delle strutture in cui operano e all’esterno verso i cittadini o i concorrenti.
Questo fenomeno relativamente recente ha un aspetto positivo: l’eguaglianza dei generi. Ma comporta inevitabilmente il desiderio del potere esteso alle donne.
È possibile, anzi sperabile, che il potere gestito dalle donne sia da esse esercitato per realizzare il bene degli altri, un valore femminile di natura maternale. Ma non è sicuro che sia questo lo sbocco di questo processo. Accade già ora che la donna inserita nelle strutture di comando sia contagiata dai valori maschili, che tendono a finalizzare la conquista del potere al suo mantenimento e al suo rafforzamento, rinviando il bene comune a data da destinarsi, cioè mai.
La questione, osservata da quest’aspetto, mi porta a convalidare che il potere è il regolatore supremo della vita associata e per conseguenza che la guerra è lo stato «normale» della nostra specie, temperato da intervalli di pace e di fraterna solidarietà.
*** Eugenio SCALFARI, 1924, giornalista, saggista, scrittore, fondatore de 'la Repubblica', L'allegria, il pianto, la vita, Einaudi, 2015
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