Una volta ebbi una conversazione con un maestro di cerimonie di una tribù degli indiani Pueblo, il quale mi raccontò cose molto interessanti. “Sì, siamo una piccola tribù – disse –, questi americani vogliono mettere il naso nella nostra religione. E sbagliano, perché noi siamo i figli del Sole. Quello che cammina lassù – e indicò il sole – è nostro Padre. Noi dobbiamo aiutarlo tutti i giorni a levarsi sopra l’orizzonte e a camminare nel cielo. E non lo facciamo soltanto per noi: lo facciamo per l’America, per il mondo intero. E se questi americani interferiscono nella nostra religione con le loro missioni, vedranno cosa capiterà. Fra dieci anni il Padre Sole non sorgerà più, perché noi non potremo più aiutarlo.”
Bene, direte voi, questa è semplicemente una sorta di moderata pazzia. Non è vero! Quelle persone non hanno problemi. Hanno la loro vita quotidiana, la loro vita simbolica. Si alzano il mattino con un senso di grande, divina responsabilità: sono i figli del Padre Sole, e il loro dovere quotidiano consiste nell’aiutarlo a salire sopra l’orizzonte... non solo per loro, ma per il mondo intero. Dovreste vederli: hanno una dignità naturale, pienamente realizzata. E lo capii benissimo quando mi disse: “Guardi questi americani: sono sempre alla ricerca di qualcosa. Sono sempre irrequieti, sempre sul chi vive. Ma che cosa vogliono! Non c’è niente da cercare!” Ed è perfettamente vero. Li vedete questi turisti, che vanno dappertutto e sono sempre alla ricerca di qualcosa, sempre nella vana speranza di trovarla. Durante i miei numerosi viaggi ho incontrato persone che stavano facendo il loro terzo giro intorno al mondo... senza interruzione. Viaggiavano soltanto per viaggiare, all’eterna ricerca di qualcosa. In Africa centrale conobbi una donna che era venuta da sola in macchina da Città del Capo e voleva andare al Cairo. “Perché – le chiesi –. Perché vuol farlo?” Rimasi stupito quando la guardai negli occhi: gli occhi di un animale braccato, che corre, corre, sempre nella speranza di trovare qualcosa. “Che cosa mai sta cercando? – le chiesi – Che cosa si aspetta, a cosa corre dietro?” Era come posseduta: posseduta da tanti diavoli che la perseguitavano. E perché era posseduta? Perché viveva una vita senza senso. Una vita totalmente, grottescamente banale, totalmente vuota, insignificante, priva di senso. Se oggi verrà uccisa, non sarà successo niente, non scomparirà niente... perché non era niente! Ma se potesse dire: “Sono la figlia della Luna. Ogni notte devo aiutare mia Madre, la Luna a salire sopra l’orizzonte”... Ah, allora tutto cambierebbe! Allora sarebbe viva, e la sua vita avrebbe un senso e una continuità e non solo per lei, ma per tutta l’umanità. Dà un senso di pace, sentire di vivere un’esistenza simbolica, di essere partecipi del dramma divino. Questo soltanto dà significato alla vita umana; tutto il resto è banale e si può accantonarlo. Avere dei figli, una carriera: tutto ciò è maya in confronto a quell’unica cosa: un’esistenza che abbia senso.
*** Carl Gustav JUNG, 1875-1961, medico, psichiatra e psicoanalista, antropologo svizzero, da La vita simbolica, trascrizione di un seminario del 5 aprile 1939, in Opere 15, Psicoanalisi e psicologia analitica, a cura di Luigi Aurigemma, Bollati Boringhieri, edizione digitale 2015
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