Non so, forse sono ingenuo io.
E mi chiedo se la persona che ha scritto un'Enciclica illuminata sull'economia e l'ambiente - e che tante belle parole spende sulle ineguaglianze, sulla corruzione, sull'avidità di beni materiali - è la stessa persona che sta mandando a processo due giornalisti italiani colpevoli di aver fatto il loro mestiere. Di aver informato sulla verità.
Avanzo l'ipotesi che ci sia ancora un leggerissimo deficit di libertà, in Santa Romana Chiesa.
Tra l'altro, un deficit che un po' ha a che fare con la persistente esistenza di un pur ridotto potere secolare e territoriale: quello che sta processando Fittipaldi e Nuzzi è infatti ancora uno Stato, con le sue leggi e un suo carcere, all'interno del quale i due cronisti dovrebbero trascorrere alcuni anni, se condannati, con tanto di estradizione dall'Italia.
L'esistenza di un potere temporale della Chiesa nel 2015 è un residuo storico che ancora emette i suoi maleodoranti effetti.
Nessuno osa metterlo in discussione - per carità, poi, con questo papa così buono - ma resta una stortura fuori ogni tempo massimo; e lo dovrebbe essere prima di tutto proprio per la spiritualità dei cristiani di fede cattolica.
Poi certo, lo so che Fittipaldi e Nuzzi non attraverseranno mai la soglia di Castel Sant'Angelo. Anche in caso di condanna, il Vaticano con ogni probabilità concederebbe la grazia, il perdono.
Che tuttavia, in linea di principio, si dovrebbe tranquillamente tenere: i due cronisti non hanno infatti niente da cui essere perdonati.
Chi ama la libertà non desidera quindi alcuna concessione di perdono. Vuole invece che siano chiari alcuni princìpi, nello specifico sulla libertà di informazione. Nemmeno di opinione: proprio di informazione, in questo caso. Che anche il Papa della Chiesa dovrebbe riconoscere, se vuol essere credibile nelle altre sue battaglie.
Ci sarebbe poi anche la questione dello Stato Italiano. Che vede due suoi cittadini minacciati di condanne penali all'estero per aver esercitato un diritto sancito dalla Costituzione italiana.
Senza peraltro - almeno nel caso di Fittipaldi - aver nemmeno mai messo piede nello stato Vaticano per scrivere il libro in questione.
Siamo al ridicolo: uno Stato straniero vuole processare un cittadino italiano per un reato inesistente in Italia che il cittadino italiano avrebbe commesso nel territorio italiano.
Sarebbe come se l'Arabia Saudita processasse mia moglie perché ha guidato un'automobile sulla tangenziale di Roma, basandosi sul fatto che guidare un'automobile è vietato alle donne in Arabia Saudita.
Chiaro, l'assurdo?
A proposito: non è che forse anche lo Stato italiano una parolina in merito dovrebbe dirla, vista l'assurdità della situazione che riguarda due suoi cittadini? Magari per bocca del suo capo di governo o, meglio, dello Stato?
*** Alessandro GIGLIOLI, giornalista e saggista, Niente di cui essere perdonati, blog 'piovonorane', 23 novembre 2015, qui
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