Ignorati dalla politica
Iniziamo dall’ignoranza politica. Gran parte della classe dirigente italiana non sa cosa siano le nuove generazioni, un po’ per carenza di propri strumenti culturali e un po’ per disinteresse. Quello che conta per chi ha posizioni di potere e influenza in questo paese è aumentare (o quantomeno mantenere) quello che ha conquistato e fermare tutto ciò che può mettere in discussione quanto ha raggiunto. In un sistema rigido, poco aperto al cambiamento, con meccanismi di ricambio inceppati, il vantaggio va tutto alle componenti della società orientate a difendere le rendite del passato a discapito di chi vuole produrre nuovo benessere futuro. L’attenzione è semmai concentrata sui propri singoli figli. In un paese in cui l’ascensore sociale è bloccato, in cui il successo sociale dei giovani è più legato alle risorse dei genitori che al proprio impegno e alle proprie capacità, i “figli di” hanno un vantaggio competitivo rispetto agli altri. Perché allora politici interessati non al bene comune ma al proprio potere e al bene unico dei propri figli, dovrebbero realizzare misure che tolgono a tutti gli ostacoli dalla pista annullando le corsie preferenziali per i propri protetti? Questo non significa che scientemente la politica cerchi di mantenere lo status quo, ma è poco motivata a cambiarlo e ha poche spinte dalla società italiana per farlo. Arriviamo così al tema dell’iperprotezione da parte dei genitori, che non riguarda solo i politici.
Iperprotetti dai genitori
Esiste nel nostro Paese una grande disponibilità di aiuto da parte di madri e padri italiani, culturalmente predisposti a dare di tutto e di più ai propri figli in cambio del piacere di sentirsi parte attiva nella costruzione del futuro che immaginano per essi. Il rischio è però quello di scadere, appunto, nell’iperprotezione e nell’eccesso di protagonismo sul destino dei figli accentuando dipendenza e insicurezza. Al genitore medio italiano non importa davvero quali sono gli obiettivi dei figli e come incoraggiarli a realizzarli seguendo la propria strada, ha invece bene in mente cosa desidera lui per il proprio figlio e ha le sue idee su come farglielo ottenere. Allo stesso modo la classe dirigente italiana non ha ben chiaro quali siano le sensibilità specifiche e le vere potenzialità delle nuove generazioni, ha invece bene in mente cosa essa si aspetta dai giovani in funzione della propria idea (superata) di paese. Nessuno quindi fornisce incoraggiamento e supporto alle nuove generazioni italiane per mettere a frutto le proprie capacità e costruire un futuro coerente con le proprie sensibilità e i propri desideri. La conseguenza è che i giovani italiani rimangono ai margini o il futuro vanno a costruirselo altrove.
Sfruttati dal mercato
Questo errore di impostazione sta alla base anche della condizione di sfruttamento da parte del mercato. Le riforme che si sono susseguite dalla seconda metà degli anni Novanta in poi non hanno mirato a migliorare la condizione delle nuove generazioni nel mondo produttivo ma hanno puntato a consentire alle imprese di offrire contratti al massimo ribasso e con facile disimpegno verso i neo assunti. Anziché quindi creare crescita e sviluppo, miglioramento di prodotti e servizi attraverso il capitale umano e la capacità di innovazione delle nuove generazioni, le aziende sono state incentivate a resiste sul mercato tenendo basso il costo del lavoro e sfruttando il più possibile i nuovi entranti. Si è preferito così prendere il giovane disposto a farsi pagare di meno che quello con potenzialità su cui investire per migliorare produttività e competitività dell’azienda. Un sistema che quindi si è avvitato verso il basso, producendo allo stesso tempo scarse opportunità per i giovani, bassa crescita e crescenti diseguaglianze sociali e generazionali. Il fatto di detenere il record in Europa della percentuale di giovani che vorrebbero lavorare ma non trovano occupazione ne è la conferma.
Incompresi dai media
I media italiani di fronte a tutto questo sono rimasti a guardare ma senza davvero sforzarsi a capire cosa stava succedendo, scegliendo quindi di rappresentare la realtà seguendo vecchi schemi e semplificandola al massimo. Ecco allora che allo stesso tempo sui giornali i giovani sono bamboccioni causa della propria condizione e vittime sacrificali di un paese senza futuro. Nessuna capacità del nostro dibattito pubblico di generare e alimentare una discussione sulle trasformazioni in corso, sulle sfide cruciali che esse pongono, sul ruolo delle nuove generazioni per vincerle e creare nuovo benessere. Questo Paese deve ancora dimostrare con i fatti di credere nelle nuove generazioni e di considerare i giovani non il problema di una società in declino ma la risorsa più preziosa per crescere al meglio delle sue potenzialità. Serve però un salto culturale che riscatti i giovani dalla figura di figli da proteggere dai rischi del presente a quella di nuove generazioni come forza sociale trainante verso le opportunità di un nuovo futuro.
*** Alessandro ROSINA, docente di demografia presso l'università Cattolica di Milano e saggista, Chi fa la guerra ai trentenni, 'pagina 99', 5 febbraio 2016, qui (con grafico)
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