Tu l’hai chiamata collegialità, ma forse è più preciso chiamarla ‘centralismo democratico’, mutuando una espressione politica. Io non ho mai preso decisioni importanti se non con la unanimità o la quasi unanimità del corpo redazionale intero (quando eravamo pochi) e poi, quando questo non fu più tecnicamente possibile, con una direzione molto allargata che noi chiamavamo ‘il senato’: cioè tutti i capiservizio e in più tutti gli editorialisti e gli inviati di spicco che facevano parte del giornale. Perché fino a quando non avessi maturato una decisione comune, io non scioglievo le riunioni. Tant’è che le nostre riunioni, che erano delle riunioni fiume, duravano due o tre ore. E non mi risulta che gli altri giornali avessero riunioni che duravano così a lungo. (...)
C’era una finalità, direi fondamentale. Vedi, ‘Repubblica’ era un giornale giovane e nuovo. Un giornale nuovo doveva costruire un dna della redazione. E il dna della redazione tu non lo crei se non fai partecipare tutti per anni alla fattura e alla discussione del giornale e della sua linea. Ebbene tutto questo ha creato un dna fortissimo. È accaduto che io abbia preso delle decisioni solitarie, ma quando ho preso delle decisioni solitarie, questo è avvenuto perché la redazione mi ha detto: questa è una situazione nella quale solo tu puoi decidere.
*** Eugenio SCALFARI, giornalista, saggista e scrittore, fondatore e già direttore di ‘la Repubblica’, intervistato da Roberto Cotroneo, ‘l’Unità’, 4 aprile 2004.
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