È meglio essere distratti o concentrati? Che domanda! si dirà. Meglio essere concentrati, ovvio: è da quando abbiamo messo piede per la prima volta in un’aula scolastica, se non da prima, che insegnanti, genitori, educatori, superiori ci invitano a fare attenzione, a stare attenti. Valga l’etimo: attenzione da ad+tendo, «aspiro, miro a qualcosa»; per raggiungere lo scopo, qualunque scopo, bisogna impegnarsi. Già. Però è un dato di fatto che la nostra mente ha una forte inclinazione a disimpegnarsi e divagare: la frequenza stessa di quei richiami, a tutti familiari (state attenti! stai attento!) lo dimostra. Dalle ricerche psicologiche emerge un dato sorprendente: per un tempo pari a circa la metà della nostra esistenza vigile – quindi, sonno escluso – non pensiamo a niente di preciso. La mente umana, spesso e volentieri, vaga senza una meta apparente. Questo non significa che sia inattiva, tutt’altro; semplicemente, non è focalizzata su un obiettivo. L’alternanza fra attenzione e distrazione rientra nella fisiologia dell’attività cerebrale: la mente si tende e si allenta, si fissa e gironzola, punta e si guarda intorno. Stavo per chiedere: vi è mai capitato di distrarvi durante una lezione? durante una conferenza, un concerto, uno spettacolo? Ma la domanda giusta sarebbe un’altra: vi è mai capitato di non distrarvi, assolutamente mai, per tutto il tempo? Davvero? (...)
*** Mario BARENGHI, docente di letteratura italiana all'università di Milano Bicocca, Meglio concentrati o distratti?, 'doppiozero', 28 gennaio 2016
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